Unico rimedio l’umanità (ma non si acquista online)

«La disabilità – scrive Antonio Giuseppe Malafarina, commentando la vicenda della persona con disabilità chiusa in casa per quindici anni, a causa di chi si opponeva alla realizzazione di un ascensore nel suo condominio – sembra sempre essere qualcosa che riguardi gli altri. L’altro è spesse volte percepito come un inesistente, un concorrente, un ostacolo. Il rimedio? L’umanità, che non si acquista online. Eravamo uniti a cantare dalle finestre e dai balconi in tempo di lockdown. Avevamo bisogno l’uno dell’altro, separati e coesi. Poi ce lo siamo dimenticati»

Leon Zernitsky, "Path" ("Il percorso") (©fineartamerica)

Leon Zernitsky, “Path” (“Il percorso”) (©fineartamerica)

Un uomo resta chiuso in casa per una quantità infinita di anni. Ogni anno è infinito quando vuoi uscire di casa e non puoi. Vorrebbe costruire un ascensore affinché con la sua carrozzina potesse raggiungere l’esterno, ma nulla. Per legge, senza la maggioranza dei condòmini, si può solo se lo costruisci tu, e lui i soldi non ce li ha. Arriva il superbonus e tutto si fa gratis, ma un condòmino si oppone. Infine il lieto fine. Vi dico come la penso [di tale vicenda si legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.].

Questa sembra una storia eccezionale, ma statisticamente non lo è. Si consumano ogni anno decine di storie analoghe: una persona vuole rimuovere le barriere architettoniche che le impediscono di uscire dal proprio appartamento in condominio e i condòmini si oppongono: qual è la novità? Per abbattere le barriere è necessario ottenere il consenso dei proprietari di più del 50% dei millesimi del condominio. In questo modo le barriere si abbattono senza ostacoli e paga il condominio, compresi i dissenzienti.
Se non c’è la maggioranza, in linea di massima il condòmino può abbattere le barriere a sue spese, purché non ci sia pregiudizio nei confronti della stabilità della casa. Questo perché i buoni pronunciamenti dei tribunali e la migliorata interpretazione delle normative in vigore sull’accessibilità, fanno prevalere i diritti della persona con disabilità rispetto ad altri.
In pratica: se hai i soldi puoi fare quello che vuoi. Ma qualche condòmino rabbioso – e parlo per esperienza – c’è in ogni condominio degno di questo nome. Quindi anche nel caso decida di costruire a spese tue, il capzioso che si oppone è onnipresente: e quando il fattore estetico, e quando la stabilità, e quando la vicinanza con il palazzo a fianco, il rigore scientifico dell’opporre l’obiezione più esclusiva è encomiabile. Se ci sono cervelli in fuga non sono i loro.

La giurisprudenza, grazie al cielo, nella più parte respinge le obiezioni, perché prevale il principio che la disabilità sia una questione sociale, cioè che riguarda tutti. E se riguarda tutti è nell’interesse di ognuno abbattere le barriere architettoniche. Anche in considerazione della possibilità che condòmini senza disabilità possano desiderare di accogliere persone con disabilità (figli che desiderano accogliere i propri genitori anziani in carrozzina, per esempio). E in considerazione che essendo la disabilità una questione sociale, non riguarda esclusivamente le persone con certificato di invalidità, ma può riguardare anche le persone anziane, dunque tutti.

E allora? Allora sono sempre perdite di tempo, e denaro. E nel protrarsi del procedimento giuridico può anche capitare che il condòmino richiedente l’abbattimento delle barriere muoia. Segreta speranza di una delle parti in causa…
Nel caso del signore di Bologna che finalmente vedrà il bell’ascensore installato nel suo condominio, il condòmino che si era opposto per motivi di stabilità si è ravveduto dopo l’intervento del cantante J-Ax, dell’ex sindaco della città Virginio Merola, e di quello nuovo, Matteo Lepore, che si sono mobilitati riuscendo fare emergere che non sussistono ostacoli strutturali sull’installazione dell’ascensore, secondo quanto riportato dalle cronache.

La domanda in questi casi è: a chi giova? Perché ostacolare il diritto di un altro a vivere la propria esistenza anche fuori di casa? Quale diritto personale prevale su quello altrui di uscire di casa? Ma la domanda corretta sarebbe: quale privazione reca a uno o più condòmini l’esercizio della libertà altrui?
Ecco, io non me lo spiego. Proprio non riesco. Posso immaginare che ci siano interessi individuali che vengono lesi, ma se venissero lesi in profondità, la legge impedirebbe l’abbattimento delle barriere. Perché se la libertà di movimento prevale, è pur vero che la proprietà privata è inviolabile.
E allora non posso che abbandonarmi all’idea che queste persone siano egoiste, chiuse rispetto al concetto di collettività. Non oso immaginare cosa succederebbe se fossero loro a trovarsi dalla parte del bisogno.

Mi faccio domande molto banali. E mi do risposte scontate, deplorevoli. La disabilità sembra sempre essere qualcosa che riguardi gli altri. L’altro è spesse volte percepito come un inesistente, un concorrente, un ostacolo.
Il rimedio? L’umanità, che non si acquista online. Eravamo uniti a cantare dalle finestre e dai balconi in tempo di lockdown. Avevamo bisogno l’uno dell’altro, separati e coesi. Poi ce lo siamo dimenticati. Ci ricordassimo che siamo un’unica specie, un branco, un gregge, uno stormo, riscopriremmo la comfort zone dell’essere uniti.

Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Quindici Anni in casa gridano umanità”). Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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