Assegno mensile invalidi civili parziali: restrittiva interpretazione dell’INPS

Per avere diritto all’assegno mensile per invalidi civili parziali, erogato a persone tra i 18 e i 67 anni, con invalidità tra il 74 e il 99%, non vi deve essere alcuna attività lavorativa, neanche minima, che produca reddito, anche se inferiore al limite annuo di 4.931,29 euro: lo ha stabilito un Messaggio prodotto dall’INPS, sulla scorta della giurisprudenza in materia, come bene spiega un approfondimento curato dal Centro Studi Giuridici HandyLex. Tale interpretazione restrittiva sta suscitando preoccupazione in molte persone e viene contestata dalle organizzazioni UNIAMO-FIMR e CoorDown

Foto in bianco e nero di uomo che rifletteCome sottolineato dal Centro Studi Giuridici HandyLex in un approfondimento del quale suggeriamo senz’altro la consultazione (a questo link), «con il Messaggio n. 3495, pubblicato il 14 ottobre scorso, l’INPS ha fornito chiarimenti circa l’erogazione dell’assegno mensile per gli invalidi civili parziali, suscitando preoccupazioni da parte dei soggetti percipienti».

Si parla, va ricordato, di quell’assegno erogato in tredici rate mensili a persone di età compresa tra i 18 e i 67 anni (dopo i 67 anni muta in assegno sociale), con invalidità riconosciuta tra il 74% e il 99%, che non svolgano attività lavorativa (per il 2021 l’importo mensile è di 287,09 euro e il limite di reddito personale di 4.931,29 euro). «Il messaggio prodotto il 14 ottobre dall’INPS – spiegano da HandyLex – nasce dal fatto che per un certo periodo lo svolgere un lavoro che non facesse superare il limite di reddito stabilito per l’erogazione dell’assegno era considerato al pari dell’inattività lavorativa e pertanto non precludeva l’iscrizione al collocamento. Ora invece l’INPS, sulla scorta della giurisprudenza formatasi in materia, ritiene che lo svolgimento dell’attività lavorativa, a prescindere dalla misura del reddito ricavato, precluda il diritto al beneficio. L’assegno mensile di assistenza previsto dall’articolo 13 della Legge 118/71 sarà pertanto liquidato, fermi restando tutti gli altri requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’effettiva inattività lavorativa del soggetto beneficiario».
In altre parole, quindi, per avere diritto all’assegno, non vi deve essere alcuna attività lavorativa, neanche minima, che produca reddito, e anche se inferiore ai 4.931,29 euro annui.

Sulla questione sono intervenuti, con una nota congiunta (disponibile integralmente a questo link), UNIAMO-FIMR (Federazione Italiana Malattie Rare) e il CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down), ritenendo che «l’impatto, al di là del residuale “risparmio” per le casse dell’INPS, sia grave per le persone con disabilità già a bassissimo reddito, per le loro famiglie, per la possibilità di svolgere lavori con orari limitati e magari con finalità più terapeutiche e socializzanti che di reale sostentamento. Una scelta che in questi giorni sta gettando nello sconforto molte persone e molte famiglie, un’interpretazione estremamente restrittiva, che limiterà la possibilità di qualsiasi lavoro o inserimento per le persone con disabilità».
Le due organizzazioni, quindi, hanno rivolto un appello al Parlamento e al Governo, affinché intervengano «per sanare questa stortura a tutela dei più fragili, dei più poveri, dei più esclusi e anche per restituire un segnale positivo a favore dell’occupabilità delle persone con disabilità». (S.B.)

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