C’è ancora tanto da fare contro l’intolleranza e l’odio verso la disabilità

Sconcertano, ma fanno capire quanto ancora ci sia da fare, per tentare di arginare tali fenomeni, i dati della nuova “Mappa dell’Intolleranza” di Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, basata sui tweet prodotti da gennaio a ottobre di quest’anno, secondo cui «l’odio online diminuisce ma si radicalizza, colpendo specie le donne che lavorano, le persone con disabilità e i musulmani». Significativo è pure che termini come “demente”, “mongoloide”, “cerebroleso” o “handicappato” si usino in modo dispregiativo anche verso altre categorie, sintomo di «un lessico venato di frustrati stereotipi»

Persona dietro a un vetro, dove appoggia le mani«Più di un milione di tweet contro le donne, 6mila antisemiti, più di 100 mila quelli omofobi, 154 mila a sfondo razzista e quasi 500 mila contro i disabili»: era l’inizio del 2015, quando avevamo riferito di quei dati riportati dalla Mappa dell’intolleranza, presentata allora da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, basandosi sullo studio di quasi due milioni di tweet estratti dal social network Twitter.
Lo scorso anno, poi, avevamo ripreso il tema, riferendoci al Barometro dell’Odio di Amnesty International, nella cui ultima edizione si scriveva: «Le maggiori difficoltà incontrate nel tentativo di accesso ai diritti sociali quali la casa, l’educazione e, in particolar modo la salute, fanno sì che le persone con disabilità siano più esposte di altre al rischio di esclusione e marginalizzazione».
Cosa è cambiato da allora? Purtroppo molto poco, anzi i dati prodotti dalla nuova Mappa dell’intolleranza di Vox (sesta edizione), redatta sempre in collaborazione con le Università di Milano, Bari e Roma, fanno pensare che le cose stiano addirittura peggiorando. Vi si legge infatti che «nel secondo anno della pandemia da Covid-19, l’odio online diminuisce ma si radicalizza. E colpisce soprattutto le donne che lavorano, le persone con disabilità e i musulmani».

«Nonostante il periodo di rilevazione sia stato più lungo –si legge ancora nel rapporto -, sono stati raccolti meno tweet, ma è cresciuta significativamente la percentuale di tweet negativi sul totale dei tweet rilevati. Questa relazione inversa da un punto di vista quantitativo, riporta un’informazione qualitativa di rilievo, considerando che a un minore numero di tweet raccolti corrisponde un maggiore numero di tweet negativi e con messaggi di odio e discriminazione, segno evidente di una radicalizzazione del fenomeno. A questa prima peculiarità ne segue una seconda, che identifica un allargamento dei target di odio online. Così, ben cinque categorie su sei sono interessate da tweet negativi e discriminatori: le persone con disabilità (16,43%) che hanno ricevuto più tweet negativi di tutte le altre; le persone omosessuali (7,09%); gli ebrei (7,60%); le donne (43,70%) e gli islamici (19,57%). L’anno scorso le categorie caratterizzate da un’incidenza maggiore di tweet negativi erano state tre. Maggiore radicalizzazione, odio generalizzato contro le donne e soprattutto contro le donne più esposte (politiche e giornaliste), spostamento semantico nella costruzione del linguaggio d’odio: questi, i fattori chiave della rivelazione 2021».
Dal punto di vista della distribuzione geografica, infine, la diffusione dei discorsi di odio e di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità è a livello nazionale, seppure con concentrazioni superiori al Centro e al Nord d’Italia.

«Su un totale di 797.000 tweet estratti – rileva il portale Persone con disabilità.it, commentando un altro dato riportato dalla Mappa dell’Intolleranza – più di 118.000 riguardano le persone con disabilità. Di questi, più di 90.000 sono tweet “negativi”. Demente, mongoloide, cerebroleso, handicappato sono alcuni dei termini più utilizzati. Ma spesso le parole usate in modo dispregiativo e caratterizzanti la disabilità sono rivolte ad altre categorie, sintomo di un lessico venato di frustrati stereotipi».

Il quadro, dunque, è decisamente sconfortante e lascia ben capire quanto ancora ci sia da lavorare, nel nostro Paese e oltre, anche sul piano di una corretta comunicazione sulla disabilità, per tentare di arginare il fenomeno di cui si è detto. In tal senso «Superando.it» è sempre aperta ad ogni contributo che possa servire a migliorare la situazione anche in questo campo. (S.B.)

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