Come fare perché l’inclusione scolastica non sia “un’isola”

Un’ampia analisi di Salvatore Nocera del documento intitolato “L’inclusione non è un’isola”, Mozione Finale del 13° Convegno Internazionale “La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale”, tradizionale evento promosso a Rimini dal Centro Studi Erickson e svoltosi nel novembre scorso. In particolare Nocera si sofferma sui “tre ponti necessari” indicati dal documento stesso e riguardanti rispettivamente la formazione iniziale di tutti i docenti sulle didattiche inclusive, gli insegnanti di sostegno e la statalizzazione degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione

Realizzazione grafica con due omini che cercano di completare un ponte

Parla della «necessità di “fare ponti”, per ricucire e spesso cucire ex novo un tessuto sociale ed educativo solidale e creativo, che rischia altrimenti di strapparsi», la Mozione Finale del recente convegno di Rimini sulla scuola, organizzato dal Centro Studi Erickson

L’inclusione non è un’isola è il titolo della Mozione Finale del 13° importante Convegno Internazionale La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale, tradizionale evento promosso dal Centro Studi Erickson di Trento, che si è svolto a Rimini dal 12 al 14 novembre scorsi in presenza, proseguendo online sino al 30 novembre, con la partecipazione di migliaia di docenti universitari, insegnanti, dirigenti scolastici, genitori, studenti, educatori e assistenti per l’autonomia e la comunicazione [se ne legga anche la nostra ampia presentazione, N.d.R.].
L’interessantissimo documento prende le mosse denunciando l’emarginazione subita dagli alunni e dalle alunne con disabilità per lo sconvolgimento avvenuto in tutte le scuole a causa della pandemia e dell’inarrestabile crescita del numero delle certificazioni di disabilità, con conseguente  aumento esponenziale del numero di docenti per il sostegno e degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione, ancora privi, questi ultimi, di uno stato giuridico nazionale, il tutto con la conseguente  enorme crescita della spesa pubblica, denunciata  recentemente dalla Corte dei Conti.
Segue quindi un appello alla coesione sociale, sconvolta dalla pandemia: «Mai come questa volta – si legge nella mozione – il claim del nostro convegno 2021, “l’inclusione non è un’isola”, vuol essere una speranza e una provocazione perché il Paese, nell’auspicabile recupero della sua vita sociale, sia più capace di inclusione e di equità, avendo compreso dalla catastrofe sanitaria quanto si debba ancora lavorare per una società aperta e solidale. Ecco perché parliamo oggi della necessità di “fare ponti”, per ricucire e spesso cucire ex novo un tessuto sociale ed educativo solidale e creativo, che rischia altrimenti di strapparsi [grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni, N.d.R.]».

Ecco dunque i tre “ponti” su cui puntare:
1. Occorre realizzare un ampio sistema di formazione iniziale di tutti i docenti sulle didattiche inclusive, al fine di creare una cultura comune ai docenti stessi, che garantisca l’effettiva presa in carico comunitario del progetto di inclusione degli alunni con disabilità, evitando la delega al solo docente per il sostegno. Su questo “ponte” la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) si batte da anni, ma ancora con scarsissimi risultati.
Anche sul Decreto Ministeriale 188/21 sulle 25 ore di aggiornamento obbligatorio in servizio sulle didattiche inclusive da svolgersi all’inizio dell’anno scolastico, la FISH ha espresso parere positivo, precisando che tali corsi, più che essere corsi teorici di formazione permanente, dovrebbero favorire concretamente la presa in carico del progetto inclusivo da parte di tutti i docenti della classe, formandoli a saper leggere in comune la diagnosi funzionale dell’alunno (il Profilo di Funzionamento, quando finalmente verrà emanato; il Regolamento sulle Linee Guida relative ai nuovi PEI-Piani Educativi Individualizzati, la cui prima bozza, emanata col Decreto Interministeriale 182/20, è stata annullata, come noto, dalla Sentenza del TAR Lazio del 14 settembre scorso); saper formulare collegialmente il PEI e saperlo correggere in itinere, oltreché valutarlo nei suoi risultati apprenditivi.
Purtroppo anche il Decreto Ministeriale 188/21 è stato impugnato dalla CGIL Scuola per mancata previa contrattazione collettiva, e così quella che poteva essere un’importantissima prima realizzazione della presa in carico collegiale del progetto inclusivo è rimasta bloccata. Un’occasione perduta, quindi, che speriamo possa riemergere, tramite la nuova Legge di Bilancio e il dialogo tra Ministero e sindacati, quale norma di sistema per tutti gli anni a seguire.
Con tale auspicio, pertanto, ci si augura che pure i corsi di specializzazione per il sostegno, passati dai due anni formativi delle specializzazioni monovalenti al solo unico anno di specializzazione polivalente, possa tornare al biennio formativo, con un arricchimento più specifico per i diversi bisogni educativi derivanti dalle differenti disabilità, pur rimanendo polivalente ed evitando gli “incidenti di percorso “ denunciati proprio in questi giorni a proposito delle selezioni di ammissione in talune università.

2. L’assegnazione di parte dei quasi 200.000 attuali docenti per il sostegno ai posti comuni in cui sono abilitati, collocando la restante parte ai CTS (Centri Territoriali di Supporto all’inclusione scolastica), per costituire gruppi di consulenza itinerante presso la rete di scuole rientranti nei CTS stessi, con i quali collaborare per garantire una buona qualità dell’inclusione.
Questa proposta è opposta a quella della FISH, che invece da tempo propone l’istituzione di classi di concorso specifiche per i docenti per il sostegno per ciascuno degli ordini di grado di istruzione. Ciò perché attualmente  non esistono  apposite classi di concorso per tali docenti, i quali sono abilitati nelle varie discipline curricolari e, se in possesso della specializzazione per il  sostegno, possono essere utilizzati obbligatoriamente sul posto di sostegno per cinque anni (secondo l’articolo 399 del Testo Unico sulla Scuola, approvato con il Decreto Legislativo 297/94), ma ora anche dopo soli tre anni (a seguito dell’articolo 1, comma 17 del Decreto Legge 126/19, convertito nella Legge 159/19, per tutti i docenti di scuola secondaria immessi in ruolo a partire dal 2021).
Molti di tali docenti, dopo tale “ferma obbligatoria”, passano troppo spesso a domanda su cattedra curricolare, magari per avvicinarsi al proprio domicilio, ciò che crea un’inaccettabile discontinuità didattica che nuoce irreparabilmente agli alunni e alle alunne con disabilità, specie intellettive e relazionali, che costituiscono circa l’80% dei quasi 300.000 alunni/alunne con disabilità.
Personalmente non sarei contrario a questa proposta avanzata da tempo dal professor Dario Ianes, cofondatore del Centro Studi Erickson e regista impareggiabile dei convegni di Rimini con le sue bravissime collaboratrici e collaboratori, purché prima sia pienamente realizzato il primo “ponte”, cioè la formazione iniziale sulle didattiche inclusive di tutti i docenti con almeno una cinquantina di Crediti Universitari Formativi. Infatti, senza tale formazione iniziale, i docenti curricolari continueranno ad essere tentati di rivolgersi ai colleghi specializzati, transitati nei posti curricolari, e quindi la delega non più ad un solo docente per il sostegno, ma a più docenti, non cesserà. Quando però questi docenti specializzati andranno in pensione, che succederà? Ci saranno solo i docenti itineranti dei CTS, ma senza la collaborazione degli insegnanti curricolari privi di formazione iniziale, come potranno assicurare la qualità dell’inclusione scolastica?

3. Terzo “ponte”: la statalizzazione degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione, trasferendo gradualmente i fondi assegnati dallo Stato agli Enti Locali e alle Regioni che attualmente provvedono a questo servizio.
Tale proposta è stata proprio nei giorni scorsi affidata ad emendamenti presentati da alcuni deputati del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle al Disegno di Legge Delega sulla disabilità in discussione ora alla Camera, collegato al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), Disewgno di Legge che deve quindi essere approvato entro il 31 dicembre. Temo però, anzi sono certo, che il Disegno di Legge non si occuperà della scuola e quindi questi importantissimi emendamenti cadranno, permanendo l’attuale competenza degli Enti Territoriali, con  tutte le relative disfunzioni che vengono denunciate dagli stessi assistenti per l’autonomia e la comunicazione. Infatti, gli Enti Territoriali affidano quasi tutti quel compito a delle Cooperative, con gare di appalto indette in estate le cui graduatorie finali, anche a causa dei numerosi ricorsi, mettono a disposizione delle scuole questo personale con mesi di ritardo rispetto all’inizio dell’anno scolastico. Inoltre, le remunerazioni offerte dalle Cooperative sono talmente basse rispetto alla professionalità degli assistenti (tranne  rarissime eccezioni, su 26 euro orari previsti dai bandi, solo 9 euro vanno agli assistenti soci o dipendenti delle cooperative), che questi, appena possono, di solito da un anno all’altro (ma talora anche durante l’anno) lasciano l’incarico per attività più rimunerate.
E ancora, molte Cooperative non assumono formalmente tali professionisti, ma pretendono che essi acquisiscano la Partita IVA, divenendo così formalmente lavoratori autonomi, privi quindi, alla  cessazione dal lavoro, di indennità di fine rapporto e di pensione.
Ritengo assai ingenuo, quindi, questo passaggio della Mozione di Rimini che si affida al Disegno di Legge Delega sulla disabilità. Infatti il Disegno di Legge Delega non contiene alcun riferimento alla riforma della scuola e quindi, come già accennato, non si occuperà certamente di tale importante aspetto, i cui disservizi creano una paurosa discontinuità educativa ai danni degli alunni e delle alunne con disabilità, specie intellettive e relazionali.

La Mozione di cui si parla indica altri «ponti di comunità territoriale inclusiva a breve termine», che possono anticipare e accompagnare le tre proposte precedenti, ovvero «una maggiore attenzione a numerosi aspetti organizzativi e di governance cui basterebbe poco per migliorare la qualità delle relazioni professionali e territoriali»:
° A livello di istituto:
– potenziare e valorizzare le figure di sistema;
– semi esoneri almeno nelle scuole con un numero elevato di alunni e alunne con disabilità;
– sperimentare figure interne o territoriali (psicopedagogisti) che possano conciliare il rapporto di fiducia personale caratterizzante le attuali figure di sistema con competenze tecniche specifiche, ma evitando figure apicali che producano, magari involontariamente, processi di delega e di non partecipazione.
°A livello di territorio:
– organizzare reti efficaci e stabili, ben monitorate, partendo dalle tante esperienze positive, ma mai veramente decollate ovunque, come i CTS (Centri Territoriali di Supporto per l’inclusione), integrandole se opportuno con i GIT (Gruppi per l’Inclusione Territoriale), ma garantendo risorse adeguate per poter funzionare con continuità; è importante, inoltre, favorire la consapevolezza, nell’istruzione secondaria, che l’inclusione scolastica degli studenti e delle studentesse con disabilità sia un percorso di transizione alla vita adulta, anche in connessione con la Legge 68/99 sul collocamento lavorativo mirato e personalizzato, perché oggi la transizione è ancora un anello debole delle potenzialità;
– nella governance territoriale, infine, partecipazione multiprofessionale alla funzionalità dei servizi socio-sanitari e del Terzo Settore locali, nella forma dei Patti di Comunità e di relazione professionale e istituzionale continua per la realizzazione di veri progetti di vita (Legge 328/99, la Legge di riforma dell’assistenza sociale).
° A livello nazionale:
– attivare finalmente un servizio efficace di supporto e documentazione, scambio di esperienze, consulenza su temi specifici ecc.

Riprendiamo ora un lungo passaggio della Mozione di Rimini, intitolato Il ponte delle certezze per il governo dell’inclusione: «È sconcertante che, a sei anni dalla Legge 107/15 [cosiddetta “della Buona Scuola”, N.d.R.], non siano stati attuati tutti i Decreti Delegati previsti in quella Legge. La  mancata visione complessiva e condivisa dei processi da attuare per qualificare l’inclusione ha paralizzato una serena e chiara definizione degli aspetti normativi da attuare. Di fatto l’ICF [Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001, N.d.R.] è fermo al palo, e non appare chiara neppure una visione condivisa tra i diversi Ministeri coinvolti. Non si è avuto ancora il coraggio di definire i profili professionali delle diverse competenze dedicate all’inclusione, non si è lavorato per la costruzione di Livelli Essenziali nelle Prestazioni (LEP) efficaci, per darsi i giusti livelli standard di qualità, né a sistemi di valutazione della qualità che aiutino le scuole e il sistema a migliorarsi. Manca un quadro serio di riferimento sulla governance delle competenze territoriali tra scuola, Enti Locali, servizi sociosanitari, tali da immaginare che il “progetto di vita” sia al centro di politiche e pratiche multiprofessionali condivise e armonizzate. La solitudine frequente dell’insegnante di sostegno è pari alla solitudine di molte scuole nel proprio territorio sociale di appartenenza. Non basta dire, per auto-consolarsi, che l’Italia è il paese “più avanzato” in fatto di inclusione scolastica, è necessario invece trovare il coraggio di superare le molte difficoltà e incongruenze presenti. Non si tratta tanto e solo di completare normative necessarie, ma di evitare una confusione normativa e burocratica che sta relegando le scuole a condizioni di forte incertezza, anche per lo scarso rispetto delle loro autonomie, cui si dovrebbero dare finalità chiare, risorse certe, orizzonti sensati e poi una fiducia seria per la loro capacità pedagogica. Non abbiamo bisogno di commi in più, ma di un senso pedagogico e istituzionale chiaro tra tutti i soggetti coinvolti. Insomma, non una nuova bulimia di commi, ma la politica e la pedagogia».
Ebbene, questo ampio passaggio quasi conclusivo della Mozione sembra molto risentire del “pessimismo della ragione e dell’ottimismo della volontà”.

Segue l’auspicio che il Disegno di Legge Delega sulla disabilità e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza possano dare forza a queste richieste di miglioramento della qualità inclusiva, anche perché il primo  provvedimento vuole, secondo la Mozione, calare in tutta la normativa scolastica italiana i riferimenti all’ICF contenuti nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, e il secondo offre numerose risorse finanziarie per favorire il dialogo tra scuole autonome e soggetti del Terzo Settore, facendo sì che la scuola eviti l’isolamento e l’autoreferenzialità, garantendo veramente la realizzazione del Progetto di Vita degli alunni e delle alunne con disabilità il quale, cominciando nella scuola con il PEI, abbia uno sbocco efficace nel progetto di vita, per quanto possibile “indipendente” da forme di emarginazione e istituzionalizzazione segreganti, ancora assai presenti nel nostro Paese, specie per le persone con disabilità adulte prive di lavoro e per gli anziani con disabilità.
Purtroppo, però, tali appelli a queste due grandi novità normative poco gioveranno al miglioramento dell’inclusione scolastica, poiché, come ho accennato sopra, il Governo ha deciso che il Disegno di Legge Delega sulla disabilità non si occupi della scuola.
Sarà quindi importante che quanti operiamo per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica facciamo più assegnamento sul Ministero dell’Istruzione e sull’Osservatorio Nazionale per l’Inclusione, istituito presso il Ministero stesso, affinché vengano subito emanati tutti gli atti applicativi del Decreto Legislativo 66/17 sull’inclusione scolastica e venga approvato l’emendamento, magari con atto normativo autonomo, concernente la statalizzazione degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione. Verrebbe così pienamente adeguata la normativa inclusiva ai princìpi sanciti dalla Convenzione ONU, ossia le vere grandi novità che possano realizzare una vera qualità della normativa e dell’inclusione scolastica nel suo complesso. Infatti, solo la Convenzione ONU, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09, inserisce la scuola nella trama delle relazioni arricchenti dei contesti territoriali, in modo che l’inclusione scolastica non rimanga appunto “un’isola”.

Presidente del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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