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Come impiegare (meglio) quei fondi sull’autismo

Mano che scrive la parola autismo con lettere colorateAll’interno dell’iter di conversione del Dcereto Legge 24/22, contenente Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza, è previsto un emendamento che contiene delle disposizioni in materia di autismo. Nello specifico è in discussione alla Commissione Affari Sociali della Camera un emendamento al comma 402 dell’articolo 1 della Legge 208/15 (Legge di stabilità per il 2016) che verrà posto in votazione già in questa settimana.
Riguardo all’autismo si cerca di sbloccare i 50 milioni di euro già destinati che vanno ad aggiungersi a quelli non ancora spesi, pari a circa 10 milioni.
Ebbene, riteniamo che dedicare la metà della somma di questi fondi finalizzati all’autismo per l’assunzione di personale sanitario già previsto dalla legislazione vigente (articolo 60 del DPCM-Decreto del Presidente del Consiglio del 12 gennaio 2017 che ha ridefinito e aggiornato i LEA–Livelli Essenziali di Assistenza) sia una modalità impropria e inefficace per compensare le carenze del Fondo Sanitario Nazionale, che dovrebbe già coprire le spese per far fronte alle esigenze dei LEA.
La proposta attualmente in discussione, infatti, prevede che il 50% dei 60 milioni, pari a 30 milioni, vada a coprire le spese correnti per meno di 400 neuropsichiatri infantili per un anno soltanto. A parte la difficoltà o l’impossibilità di trovare questi sanitari, questo intervento sarebbe soltanto momentaneo e non potrebbe certamente coprire le carenze enormi esistenti nel far fronte alle esigenze di cura di 43.000 minori con autismo in età 6-14 in Italia (dati ISTAT). Se poi si considerano tutte le altre classi d’età, appare ancor più evidente che 30 milioni sono una vera e propria “goccia nel mare”. Per comprendere quanto la cifra stanziata sia inadeguata, è sufficiente considerare che in concreto servirebbero almeno diecimila esperti che dovrebbero svolgere il ruolo di psicopedagogista esperto, i quali dovrebbero essere pagati quanto i neuropsichiatri infantili e dovrebbero avere in trattamento meno di diciotto casi a testa. A ciò si aggiunga che la destinazione del 15% dei 60 milioni per la ricerca di base e applicata, nonché su modelli clinico-organizzativi e le buone pratiche terapeutiche ed educative, da parte di Enti di ricerca e strutture pubbliche e private accreditate dal Servizio Sanitario Nazionale, è decisamente insufficiente per inserirsi con un minimo di autorevolezza nella ricerca internazionale. Pertanto suggeriamo di ampliare questa voce e di inserirla come contributo all’attivazione del Patto stabilito nel settembre dello scorso anno tra il Ministro della Salute italiano e il suo omologo degli Stati Uniti, dove lavorano attivamente anche i nostri ricercatori. Si potrebbero a tal proposito rinverdire i fasti del Decennio del Cervello di fine millennio con figure come Renato Dulbecco e Rita Levi-Montalcini.

Anche la formazione dev’essere maggiormente finanziata, in modo tale da consentire di attivare corsi di laurea universitari triennali e magistrali, in analogia a quelli di cui alla norma sulla LIS (Lingua dei Segni Italiana) recentemente approvata (Decreto 10 gennaio 2022, Disposizioni in materia di professioni di interprete in lingua dei segni italiana e lingua dei segni italiana tattile), e relativi albi professionali sanitari per gli analisti del comportamento e i loro assistenti. Occorre quindi fare riferimento alle due Mozioni recentemente approvate all’unanimità dalla Camera che seguono le indicazioni delle due Associazioni Scientifiche degli analisti del comportamento italiani: l’AIAMC (Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento e Terapia Comportamentale e Cognitiva), accreditata secondo la cosiddetta “Legge Gelli-Bianco” [Legge 24/17, N.d.R.], e l’AARBA (Association for the Advancement of Radical Behavior Analysis), unica Società Scientifica di Behavior Analysis (Analisi del comportamento) nella FISM (Federazione Italiana delle Società Medico-Scientifiche Italiane), e della loro Federazione, denominata IACABAI (Italy Associate Chapter of ABA International). Alla formazione iniziale, inoltre, occorre aggiungere quella permanente, per cui alla formazione si devono destinare maggiori finanziamenti.

IACABAI ha partecipato ai lavori della comunità scientifica internazionale ABAI che ha deliberato i criteri per la formazione di questa specifica figura professionale (l’analista del comportamento) per il mondo intero. Formazione che secondo la comunità scientifica internazionale di riferimento deve essere esclusivamente accademica universitaria e fondata su programmi scientifici identici nel mondo. Escludiamo che possa essere attuata l’ipotesi ventilata negli emendamenti in oggetto, di affidare a enti privati la formazione di personale sanitario di tale alta specializzazione e tanto meno di limitare la residuale formazione universitaria a personale già assunto e in ruolo.

*Presidente dell’APRI (Associazione Cimadori per la ricerca italiana sulla sindrome di Down, l’autismo e il danno cerebrale), già docente di Programmazione e Organizzazione dei Servizi Sociali e Sanitari nelle Università di Modena e Reggio Emilia e di Bologna.

Le presenti riflessioni sono già apparse nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e vengono qui riprese – con alcune modifiche dovute al diverso contenitore – per gentile concessione.

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