Ma in quella brutalità c’è anche un lampeggiare di verità

Continuando a dare spazio al dibattito suscitato dal contestato questionario inviato ai caregiver familiari dai Comuni di Roma e di Nettuno, del quale ci siamo occupati nei giorni scorsi, ben volentieri ospitiamo oggi l’opinione di Andrea Pancaldi, che scrive tra l’altro: «Sia il tema della comprensione dell’evento disabilità da parte dei genitori di un bambino o di una bambina con disabilità, sia in generale gli aspetti delle dinamiche familiari in presenza di disabilità sono questioni sparite dal dibattito pubblico. Forse sarebbe bene riaprire il confronto anche su questi temi»

Padre insieme a figlio con disabilitàContinuando a dare spazio al dibattito suscitato dal contestato questionario CBI (Caregiver Burden Inventory), inviato ai caregiver familiari dai Comuni di Roma e di Nettuno, del quale ci siamo occupati nei giorni scorsi (a questo link la versione italiana del questionario stesso, utilizzata dai citati Comuni), ben volentieri ospitiamo oggi l’opinione di Andrea Pancaldi.

Si sarà senz’altro letto delle polemiche sul questionario inviato a Roma e a Nettuno ai caregiver familiari, di cui molta stampa ha parlato, ma che oltre alla versione italiana pubblicata anche su queste pagine, è stato ripreso nell’edizione originale americana del 1989 solo da «Quotidiano Sanità.it». E questo, contestualizzando le domande poste, fa apparire quel questionario in una luce diversa da quella “sparata” dai titoli di stampa.
Da notare che il CBI è presente in molti siti scientifici, di Università, Aziende USL, Società Scientifiche, riviste scientifiche e anche in quello dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità).

Ha scritto la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) in un comunicato intitolato Il questionario dei pregiudizi [se ne legga anche su queste pagine, N.d.R.]: «“Ci risiamo, questa volta sono le stesse amministrazioni locali ad alimentare gli stigmi e i pregiudizi nei confronti delle persone con disabilità e dei loro familiari”. Commenta così il Presidente Nazionale della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, Vincenzo Falabella, le due notizie rivelate da Repubblica Roma e Sky Tg24 secondo cui prima il Comune di Roma, e poi anche quello di Nettuno, in provincia di Latina [in realtà nella Città Metropolitana di Roma, N.d.R.], avrebbero predisposto dei questionari destinati alle famiglie con all’interno delle domande che evidenziano una arretratezza culturale che alimenta lo stigma arcaico e putrescente verso le persone con disabilità e le loro famiglie. E cioè: “quanto risentimento provi nei confronti di tuo figlio disabile?”, è una di queste. E ancora: “da zero a quattro, quanto ti vergogni del tuo familiare?”. “Con questi episodi, che purtroppo sappiamo essere non sporadici abbiamo veramente toccato il fondo. Ci troviamo all’interno di un baratro culturale”, aggiunge Falabella: “stavolta rileviamo una cattiveria inaudita da parte delle amministrazioni pubbliche che avrebbero il compito, invece, di tutelare i più fragili, e non di alimentare pregiudizi”».
Eppure, avendo sottomano il testo del questionario per poter contestualizzare le domande e capire se sono messe così brutalmente o se hanno un filo che le lega ad altri ragionamenti… non sapendo se le stesse cose potevano essere indagate con parole diverse… se davvero si è trattato di una traduzione fatta usando il traduttore di Google alterando l’originale significato del questionario americano CBI del 1989, come qualcuno ha scritto…
Personalmente trovo che in quella presunta brutalità ci sia anche un lampeggiare di verità, di sentimenti ambivalenti e di vissuti drammatici che sarebbe bene aver cura di osservare senza partire solo con la caccia alle streghe della discriminazione e al “vecchio” culturale, che pure esistono e danno altrettanto drammatica prova della loro esistenza ogni giorno.

Già negli Anni Settanta in Italia Carla Gallo Barbisio (il suo volume più noto è I figli più amati. Venti storie di «bambini diversi») raccontava dell’ambiguità dei sentimenti delle madri e dei padri verso i loro bambini con disabilità. Prima ancora ne avevano anche scritto studiosi di fama mondiale.
Il dolore, il tragico, la disperazione, il risentimento, la ricerca di una colpa esterna a sé, la fatica della propria libertà limitata, esistono e non basta Bebe Vio in cima a un grattacielo a fare sparire queste condizioni che necessariamente devono essere comprese, aiutate, non colpevolizzate, accompagnate ad una comprensione e consapevolezza di sé e dell’altro che è un dato in divenire, tra inevitabili parzialità, tra inevitabili alti e bassi offerti dalle vicende della vita.

Sia il tema della comprensione dell’evento disabilità da parte dei genitori di un bambino o di una bambina con disabilità, sia in generale gli aspetti delle dinamiche familiari in presenza di disabilità sono questioni sparite dal dibattito pubblico, assorbito da tematiche più rassicuranti o comunque spendibili nel mercato del politically correct, relegate al massimo in qualche rivista specializzata medico scientifica.
Forse sarebbe bene riaprire il confronto anche su questi temi e accanto a quanto hanno da dire blogger, webmaster, attivisti e campioni paralimpici con disabilità, rispolverare, organizzandole in modo divulgativo, anche qualche pagina di Maud Mannoni, Françoise Dolto, Donald Winnicott o Andrea Canevaro.
Eppure la colpa sarà pure di qualcuno se sono così, andò avanti Davide a dire per un lungo periodo. Per sei mesi fu arrabbiato con me e sua madre, poi per un anno solo con sua madre. Poi i baci di Sara gli fecero capire che era amabile anche così, amabile e desiderabile. Qualche difettuccio lo mantenne comunque, come il farsi espellere dagli arbitri a basket per una sua certa troppo foga nel gioco e insofferenza ai falli che gli fischiavano

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