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Quando l’amministrazione di sostegno entra in conflitto con la Convenzione ONU

Oriella Orazi, "Libertà costretta"

Oriella Orazi, “Libertà costretta”

Anche su queste pagine, come si può vedere dall’elenco di contributi qui a fianco pubblicati, abbiamo più volte avuto modo di occuparci delle modalità distorsive con le quali viene talvolta applicato l’istituto dell’amministrazione di sostegno. Modalità che possono portare a configurare situazioni di arbitraria compressione dei diritti di soggetti vulnerabili, quando non vere e proprie violenze.
Quella che raccontiamo qui è la storia di Alice, una giovane donna con disabilità, e del padre Antonio che, loro malgrado, hanno dovuto e devono ancora fare i conti con le degenerazioni di questo istituto di tutela, e con molte altre forme di discriminazione sistemica che incidono pesantemente sulle loro vite. Ne ricostruiamo la vicenda con l’aiuto dell’avvocata Rosella Malune, che li rappresenta.

Gentilissima avvocata Malune, vuole presentarci Alice e suo padre Antonio?
«Alice è una giovane donna di 28 anni nata con un lieve-moderato ritardo mentale a cui all’età di 11 anni è stata diagnosticata un’epilessia tipo assenze, senza cerebropatia. A 12 anni è stata affidata ai Servizi Sociali dal Tribunale dei Minori, presso i quali è rimasta sino a 18 anni a causa dei conflitti, allora esistenti, tra i genitori, come spesso accade alle coppie separate che si rivolgono ai Servizi Sociali. Per alcuni anni, divenuta maggiorenne, ha rifiutato di assumere con regolarità farmaci per l’epilessia e ha fatto uso di sostanze stupefacenti a partire dal 2014. In seguito ad un eccesivo uso di droghe, nel 2017 ha riportato un presunto arresto cardiorespiratorio che ha determinato un coma post-anossico cui sono residuati diversi esiti, tra cui un’insufficienza respiratoria trattata con tracheostomia. Tale situazione doveva essere temporanea in quanto all’epoca, come è stato riferito al padre Antonio, la cannula poteva essere rimossa; di fatto, però, Alice porta tuttora la cannula tracheostomica.
Antonio è un padre che si prende cura della figlia, che nutre un amore incondizionato verso di lei, che vuole essere partecipe della sua vita e vuole essere informato delle decisioni che riguardano la stessa al fine di tutelarla. Inoltre non si rassegna ad una condizione patologica della figlia, ma è disposto a fare tutto il possibile per rendere migliore e più autonoma la vita di Alice. Soprattutto si batte affinché ne venga rispettata la volontà».

Come da lei ricordato, la vicenda di Alice inizia nel 2017, a seguito di un presunto arresto cardiaco che ha comportato il suo ricovero presso il Reparto di Rianimazione del Careggi a Firenze, e un successivo trasferimento prima all’Istituto Don Gnocchi, poi in altre strutture. Come ha vissuto Alice l’esperienza dell’istituzionalizzazione e quali conseguenze ha avuto sulla sua salute?
«Alice è stata sradicata dal proprio contesto sociale, dal suo paese, dalle sue amicizie, dalla sua vita e pertanto non può avere vissuto serenamente questa orribile esperienza durata anni. Infatti è stata trasferita da una struttura all’altra. Tali luoghi sono utilizzati, frequentati, solo da persone con disabilità e spesso è negata ogni iterazione con l’esterno; infatti, nel caso specifico, sono state addirittura negate ad Alice le visite del padre, per alcuni periodi, per non parlare del divieto di frequentazione da parte degli amici. Per cui Alice ora è traumatizzata dall’idea di ritornare in una struttura, che vive come un incubo. Inoltre non è stata sufficientemente assistita dal punto di vista della salute, non sono stata fatte le visite mediche e i doverosi controlli al fine di migliorare la sua condizione».

Il padre Antonio ha raccontato che mentre era ospitata preso l’Istituto Don Gnocchi di Firenze, Alice veniva legata al letto o alla sedia, imbottita di psicofarmaci, e presentava infezioni e piaghe conseguenti alle cattive condizioni igieniche. Ci sono state delle verifiche riguardo all’uso della contenzione e agli aspetti igienico-sanitari?
Purtroppo non è stato fatto niente e il padre non è stato ascoltato. In quel periodo ha presentato degli esposti alla Procura di Firenze, ma che io sappia non vi sono stati controlli negli istituti».

Mentre Alice era istituzionalizzata, il fratellastro ha proposto che le venisse affiancato un amministratore di sostegno. Da allora ne sono stati nominati diversi. In quale misura è stata presa in considerazione la volontà di Alice e di suo padre riguardo a queste nomine?
«Occorre precisare che Alice è una ragazza non in grado di provvedere ai propri interessi perché versa in stato di disabilità, ma non è tout court incapace, nel senso che è in grado di esprimere i propri desideri e di riferire su quello che è accaduto nel suo passato; è in grado inoltre di comprendere le domande che le vengono poste e di dare risposte adeguate e opportune e, soprattutto, è in grado di esprimere il proprio dissenso per una collocazione in istituto, mentre esprime il desiderio di abitare con il padre. Alice ha il diritto di scegliere dove, come e con chi vivere nonostante la disabilità, di essere una persona attiva e decidere per la propria vita in quanto libero individuo. Il Giudice Tutelare dovrebbe tener conto dei desideri e delle preferenze di Alice, nel rispetto della nostra Costituzione e delle norme sovranazionali, in particolare della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Purtroppo però non viene ascoltata e nonostante abbia espresso chiaramente il proprio disagio nei confronti dell’attuale amministratore di sostegno, nonché, tramite la sottoscritta, abbia espresso in un suo scritto tale disapprovazione, il Giudice ad oggi non ha disposto una sua audizione.
Il padre non si rassegna, esprime le proprie opinioni e contestazioni, ma tutto questo viene visto dalla Istituzioni come una “mancanza di collaborazione” o come “comportamento oppositivo”. Egli, giustamente, vuole solo essere presente per la figlia e a suo modo tutelarla, dare voce ad Alice e metterne in risalto la volontà, vuole migliorare le sue condizioni di vita e di salute nel rispetto della sua volontà. Ma purtroppo, nonostante ci siano state decine di istanze e richieste, abbiamo sempre avuto grosse difficoltà ad essere ascoltati, né mi risulta sia stato richiesto il parere di Alice e del padre sulla nomina dei vari amministratori di sostegno».

Come descriverebbe il rapporto di Alice con i diversi amministratori di sostegno che si sono succeduti? E le interazioni con i Giudici Tutelari?
«La funzione dell’amministratore di sostegno è sostanzialmente quella di supportare la beneficiaria, pertanto ha il dovere di prendersi cura dell’amministrata. Il dovere di supportare richiede che vengano ascoltati i bisogni e le aspirazioni dell’amministrato, come afferma il Codice Civile, nonché che l’amministratore informi l’amministrato delle iniziative che intende prendere e che provveda a comunicare al Giudice il suo eventuale dissenso. Tutto questo non c’è e non c’è mai stato. L’amministratore di sostegno non parla con Alice. E anche quando era collocata in istituto non vi era comunicazione con lei. Ultimamente la giovane donna si agita e non vuole vederlo perché ha paura di lui, teme di essere ricondotta in una struttura e per questo, nel suo modo di ragionare, vuole evitarlo.
L’amministratore di sostegno dovrebbe aiutare Alice a curarsi nel modo migliore, ma non imporre il luogo in cui stare. Per quanto mi è stato riferito che anche i precedenti amministratori non prendevano in considerazione la volontà di Alice. Una o due volte, da quando è stato aperto il procedimento, è stata sentita dal Giudice Tutelare, ma tendenzialmente si prendono in esame le relazioni dei Servizi Sociali, senza ascoltare la volontà diretta di Alice».

Nonostante Antonio non abbia mai avuto precedenti penali, né problemi con la giustizia o perizie psichiatriche negative, e nonostante Alice abbia innumerevoli volte manifestato la volontà di vivere con lui, per un certo periodo gli è stato impedito di vedere sua figlia, e non è stato preso in considerazione nella nomina ad amministratore di sostegno. Sono state date delle spiegazioni in merito?
«Nessuna spiegazione reale ed esaustiva. In generale viene giustificato con la relazione dei Servizi Sociali riguardo alla conflittualità genitoriale, quando in realtà non è una situazione attuale e in ogni caso i genitori non vivono insieme, per cui non ha alcuna rilevanza; inoltre si dà credito al giudizio, sempre dei Servizi Sociali, di inadeguatezza in rapporto ai bisogni della ragazza (per entrambi i genitori). Purtroppo non vi è un buon rapporto con l’amministratore di sostegno, per cui il signor Antonio viene descritto diversamente da come è realmente. Sono state fatte tantissime illazioni senza prova alcuna, senza contradditorio e senza rispetto dei suoi diritti. Inoltre vi è stata alcuni anni fa una Consulenza Tecnica d’Ufficio su Alice in cui sul padre è stato espresso un giudizio di “personalità paranoide e narcisistica” (un parere, tra l’altro, non richiesto nel quesito del Giudice) e questo viene utilizzato in negativo. In realtà le perizie psichiatriche che sono state fatte per mia richiesta sul signor Antonio negano tale condizione».

Lei è riuscita a ottenere che da gennaio 2021 Alice fosse trasferita dapprima presso l’abitazione della madre a Montevarchi (Arezzo), con la quale però la giovane non ha un buon rapporto, e in seguito (agosto 2021) presso l’abitazione di Antonio, nello stesso Comune. Può illustrarci brevemente questi passaggi e quali criticità persistono tuttora?
«Abbiamo fatto innumerevoli istanze e utilizzato il periodo emergenziale per porre il problema al Giudice, in quanto Alice, essendo una persona potatrice di cannula trachestomica, era soggetta ad un rischio maggiore nella struttura piuttosto che a casa. Con l’intervento anche del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale e del Difensore Civico della Toscana, i quali hanno scritto più volte all’amministratore di sostegno per porre delle domande sui rischi concreti di Alice, siamo riusciti a ottenere una collocazione provvisoria nella casa materna. La madre aveva all’epoca preso una casa in affitto vicino al padre, a Montevarchi, e di comune accordo abbiamo proposto tale collocazione e l’abbiamo ottenuta. Successivamente la madre non ha potuto prendersi cura di lei e ha chiesto l’intervento del padre, anche perché Alice ripetutamente chiedeva di essere portata da lui; di fatto, con l’accordo dell’amministratore di sostegno è stata trasferita a casa del padre. Purtroppo, però, ad oggi non abbiamo un provvedimento ufficiale di collocazione presso il padre e persistono delle problematiche in quanto, come detto sopra, Alice rifiuta di vedere l’amministratore di sostegno. Alice è seguita dal padre che si prende cura di lei, la porta ai controlli medici, assume i farmaci prescritti (è migliorata notevolmente sia nell’aspetto estetico che nella postura), tutto a sue spese, senza ricevere alcun aiuto economico, nonostante percepisca una pensione di invalidità e un’indennità di accompagnamento, ovviamente amministrata dall’amministratore di sostegno. Per fare un esempio, quando era in struttura e dalla madre neppure camminava più, ora è in grado di andare in bicicletta da sola, mangia da sola, esegue dei compiti semplici in casa ecc.
In generale quando un figlio maggiorenne ha una disabilità di particolare gravità, ha bisogno (e diritto) di frequentazioni, visite e rapporti significativi con i parenti, ha diritto a uno speciale accudimento e cure particolari, continuative e permanenti da parte dei genitori. Cure non sempre delegabili, sotto il profilo dell’impegno e dell’attenzione esternata, a soggetti terzi. Nello specifico Alice ha bisogno di tali cure e frequentazioni e il padre ha dimostrato che con il suo impegno e la sua assistenza lei è migliorata. Ora, dunque,  è necessario ottenere un provvedimento di collocazione presso la casa paterna e una sostituzione dell’amministratore di sostegno a favore del padre. Purtroppo l’attuale amministratore di sostegno non è dello stesso avviso e si oppone a tali richieste».

In realtà ci risulta che il 23 giugno scorso il Giudice Tutelare abbia preso in considerazione le vostre richieste e nominato un Consulente Tecnico d’Ufficio preposto a valutare le capacità genitoriali di Antonio. L’udienza per il conferimento dell’incarico è stata fissata per il prossimo ottobre. Siamo vicini alla soluzione della vicenda o ci sono altri aspetti da risolvere?
«La logica e la giustizia dovrebbero portare ad una soluzione con la collocazione di Alice presso il padre e la sostituzione dell’amministratore di sostegno, ma purtroppo, per esperienza, non posso permettermi di pensare che tutto sia risolto in quanto ci sono i Servizi Sociali e l’attuale amministratore di sostegno che non sono dello stesso avviso e si oppongono a tale soluzione. Inoltre, Alice essendo un soggetto fragile, portatrice di cannula tracheostomica, ha necessità di maggiori cure e tale condizione viene utilizzata per impedire la collocazione domiciliare. Tale problematica dovrebbe essere risolta dal fatto che in undici mesi il padre non ha avuto nessun problema con la cura di Alice, al contrario di quanto accaduto in struttura, però dobbiamo aspettare la Consulenza Tecnica d’Ufficio e la decisione del Giudice. Un aspetto ancora più importante è quello di far fare ad Alice tutti i controlli per una possibile eliminazione della cannula trachestomica: in tanti anni di istituzionalizzazione, infatti, nulla è stato fatto per migliorare le condizioni della giovane, nonostante entrambi i genitori chiedessero interventi in tal senso. Solo ultimamente vi è stato un intervento a Cesena, quando Alice era già fuori dalla struttura, ma non ha portato ad un esito positivo. È necessario perciò continuare e non fermarsi, come sostenuto dal direttore del reparto dell’Unità Operativa di Otorinolaringoiatra dell’Ospedale Bufalini di Cesena, il quale esorta a rivolgersi ad altri centri con diverse tipologie di intervento».

Nella sua vicenda Alice si è vista negare molti dei diritti riconosciuti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09). Tra le violazioni più vistose vi è il fatto di non avere alcuna voce in capitolo nelle decisioni che riguardano la sua vita (articolo 12), il non poter scegliere dove e con chi vivere (articolo 19), una tracheotomia che doveva essere temporanea immotivatamente protratta per anni (articolo 25). A suo giudizio, com’è stato possibile?
«Credo che la ragione sia da ricercare nel fatto che in gran parte la Convenzione ONU, nonostante la ratifica del 2009, in Italia non sia sufficientemente conosciuta. Inoltre le decisioni politiche troppo spesso non si occupano della disabilità, che di fatto viene trascurata. È necessario far comprendere che se la Convezione ONU venisse realmente attuata, darebbe maggiore dignità e sosterrebbe i diritti delle persone con disabilità, che non sono diversi da quelli delle altre persone. Probabilmente la soluzione è proprio quella di fare informazione tramite le Associazioni che si occupano di queste problematiche, dare voce alle persone e alle loro testimonianze, nonché creare una rete tra queste Associazioni che pongono il problema e in tal modo farsi sentire e ottenere maggiori soluzioni».

Ringraziamo l’Associazione Diritti alla Follia per averci messo in contatto con i protagonisti di questa storia, nonché con l’avvocata Rosella Malune.

Responsabile di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente servizio è già apparso. Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

Sui temi trattati nel presente servizio suggeriamo anche la consultazione della sezione dedicata alla Tutela giuridica, nel sito del Centro Informare un’h.

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