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I Diavoli Rossi, storia di inclusione, di sport e di amicizia

Diavoli Rossi

Foto di gruppo per i Diavoli Rossi schierati in campo

Lo sport come strumento di integrazione e inclusione sociale, che aggrega le persone più fragili e che si apre a tutti senza paura: ovvero l’esperienza dei Diavoli Rossi, nata a Casalecchio di Reno presso Bologna, che fa scuola in questo senso. Anzi, fa squadra. Quella dei Diavoli Rossi è una squadra di calcio composta da persone con patologie psichiatriche di diversa natura e in cura presso i Centri di Salute Mentale. Una sfida che va ben oltre la vittoria in campo, perché l’obiettivo è quello di dare un’occasione di socializzazione a persone altrimenti relegate ai margini delle proprie abitazioni o dei centri residenziali.

La storia dei Diavoli Rossi, che oggi conta circa trenta persone, inizia ben vent’anni fa da un’idea di un gruppo di operatori e infermieri dei Centri di Salute Mentale. «Abbiamo pensato ad un interesse comune – racconta Mino Di Taranto, vicepresidente della squadra – e che coinvolgesse quante più persone possibili. Il calcio è stata la nostra risposta. Siamo partiti come progetto autonomo, fino a quando, andando avanti nel corso degli anni, abbiamo creato la nostra Polisportiva, che ci ha dato modo di entrare a far parte di diversi progetti dell’ASL».
La Diavoli Rossi ha iniziato a partecipare ai tornei tra squadre simili, viaggiando in lungo e in largo per l’Italia. Le trasferte hanno sempre rappresentato un’occasione per far viaggiare le persone, metterle a contatto tra loro, creare occasioni di socializzazione.
Negli ultimi anni la Polisportiva ha iniziato però ad aprirsi ad altre opportunità, entrando a far parte di alcuni circuiti di squadre miste locali con cui ha iniziato a gareggiare. «Siamo usciti dalla logica dei tornei “tra matti”», dice ancora Di Taranto. E questo è un elemento distintivo del progetto dei Diavoli Rossi. Alla base di tutto, infatti, c’è anche la volontà di superare lo stigma che ruota ancora attorno alle patologie psichiatriche, spesso sconosciute e oggetto di pregiudizio o di scherno.
A questo scopo la squadra si ritrova spesso, grazie soprattutto ai progetti delle ASL, a rivolgersi ai ragazzi delle scuole medie e superiori, per sensibilizzarsi e far conoscere questo mondo ancora in parte sommerso. Parlare e mostrare esperienze come quelle dei Diavoli Rossi contribuisce a diffondere conoscenza sulla salute mentale e creare così comunità intorno alle persone che stanno seguendo un percorso terapeutico.

Sono tutte queste le ragioni per cui la squadra dei Diavoli Rossi è aperta a tutti: in campo la Polisportiva schiera i giovani di 20 anni, così come gli anziani di 60. Il senso «è dare vita ad un luogo dove creare socialità e favorire i rapporti umani tramite l’esempio».
Una storia che è stata anche raccontata nei giorni scorsi dalle reti RAI, durante O anche no, trasmissione di Raitre dedicata alle disabilità.

Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Dai centri di salute mentale al campo da calcio: i Diavoli Rossi raccontano una storia di inclusione e di amicizia”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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