Ancora “pazienti di Serie B” le persone con disabilità che si ammalano di cancro

Come spiega la FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), le persone con disabilità vengono trattate come “pazienti di serie B” anche in àmbito oncologico, se è vero che sia sul campo della diagnosi precoce che su quello dell’accesso alle terapie, si registrano notevoli disagi rispetto al resto della popolazione. In tal senso, sempre secondo la FAVO, è assodato che le difficoltà affrontate da una persona con disabilità congenita o acquisita, motoria o intellettiva, quando si ammala di cancro, rappresentano tuttora una tematica negletta della medicina

Particolare di persona in carrozzina, con un infermiere a fianco, in un ospedaleA quanto pare le persone con disabilità vengono trattate come “pazienti di serie B” anche in àmbito oncologico, se è vero che sia sul campo della diagnosi precoce che su quello dell’accesso alle terapie, si registrano notevoli disagi rispetto al resto della popolazione.
Recentemente, a portare all’attenzione tale questione è stata la FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), facendo riferimento a una serie di articoli pubblicati dalla rivista «The Lancet Oncology».
Come spiega la FAVO, dunque, le difficoltà che le persone con una disabilità congenita o acquisita, motoria o intellettiva sono chiamate ad affrontare nel momento in cui si ammalano di cancro rappresentano una tematica negletta della medicina. «I grandi progressi ottenuti dalla ricerca scientifica – considera Elisabetta Iannelli, segretario generale della FAVO – e i supporti garantiti sul piano sociale permettono oggi alle persone con disabilità di contare senz’altro su una maggiore aspettativa di vita rispetto al passato. Si tratta ovviamente di un risultato incoraggiante, che tuttavia porta con sé anche una maggiore probabilità di sviluppare una serie di malattie croniche più comuni nella seconda metà della vita, come per l’appunto i tumori. Di conseguenza il numero totale dei casi riguardanti queste persone è destinato ad aumentare. Chiediamo pertanto che il Paese, sul piano istituzionale e scientifico, consideri questo aspetto e attui una serie di misure per rendere il sistema sanitario più inclusivo e realmente universalistico, facilitando l’accesso e il percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale per le persone con disabilità, un passaggio fondamentale, anche per il  fatto che una parte di questi pazienti potrebbe ritrovarsi ad affrontare il tumore e le cure senza un adeguato supporto da parte dei familiari, soprattutto nel caso in cui la diagnosi arrivi in età avanzata».

Si parlava in precedenza di “tematica negletta della medicina” e infatti, come spiegano dalla FAVO, «rispetto alla grande mole di dati prodotti quotidianamente dalla comunità scientifica, quelli relativi ai pazienti oncologici con disabilità rappresentano una parte infinitesimale. Le stesse persone con disabilità, poi, ben di rado vengono coinvolte nelle sperimentazioni cliniche e le loro disabilità non sono tenute adeguatamente in conto nemmeno negli studi epidemiologici. E ancora, nella valutazione delle condizioni complessive dei malati, il peso della disabilità non viene ancora riconosciuto in maniera adeguata, cosicché i sistemi sanitari non risultano in grado di fornire l’assistenza “speciale” di cui essi avrebbero bisogno, in termini di disponibilità di personale altamente qualificato, di infrastrutture e macchinari più adatti alle loro esigenze, di strategie di comunicazione e supporto psicologico efficaci e rivolte tanto alle persone con disabilità quanto ai loro caregiver.

Vi è un’analisi condotta da Lisa Iezzoni, che dirige il Centro di Ricerca sulle Politiche Sanitarie al Mongan Institute del Massachusetts General Hospital di Boston, USA, che ha riconosciuto tre priorità per potenziare l’assistenza alle persone con disabilità affette da un tumore: accrescere la partecipazione agli screening oncologici, agevolare il percorso diagnostico, ottimizzare l’accesso alle cure e al follow-up. Senza poi considerare la necessaria riabilitazione. «Rappresentando una comunità di migliaia di pazienti oncologici italiani – commenta Iannelli -, ci sentiamo, come FAVO, di condividere tutte le raccomandazioni diffuse dalla professoressa Iezzoni. Il lavoro da compiere, infatti, è su vari livelli e per garantire un’offerta sanitaria adeguata, è necessario innanzitutto partire dai numeri. In altre parole oggi non sappiamo quanti siano gli italiani e le italiane che, già alle prese con una disabilità, si sono poi ammalati/e di cancro. Occorre inoltre aumentare la consapevolezza da parte dei sanitari della problematica oncologica legata alla disabilità ed eliminare tutte le barriere, fisiche e culturali che portano spesso queste persone a non conoscere le opportunità a loro disposizione e a rivolgersi meno di frequente alle istituzioni sanitarie».

«Nella definizione di disabilità – afferma dal canto suo l’oncologa Paola Varese, presidente del Comitato Scientifico della FAVO – confluiscono categorie di pazienti molto diverse tra loro. Per una valutazione corretta ed esaustiva, occorre dunque considerare un’ampia serie di fattori: il tipo di disabilità, le limitazioni correlate, la proporzione tra beneficio atteso e le probabilità di effetti collaterali di un trattamento, l’aspettativa di vita, i desiderata di un paziente e la presenza di un caregiver o di un amministratore di sostegno e anche l’interferenza delle cure oncologiche su quelle della malattia preesistente. Su quest’ultimo aspetto, basti pensare a persone affette da malattie neurologiche infiammatorie come la sclerosi multipla o altre patologie demielinizzanti oppure con malattie degenerative come l’Alzheimer e il Parkinson, che scoprano di avere anche un tumore: molti trattamenti oncologici potrebbero aggravare il decorso di quelle malattie, mentre altri trattamenti potrebbero peggiorare i sintomi sensitivi a causa degli effetti collaterali diretti dei trattamenti. È un’elevata complessità che si traduce spesso in ridotte opportunità di cura a causa della mancata integrazione tra i servizi. Mai come in contesti del genere, quindi, è necessaria una pianificazione assistenziale integrata, con una valutazione multidisciplinare reale che consenta di elaborare un progetto di cura individualizzato».

C’è inoltre un ulteriore aspetto evidenziato dalla FAVO, ovvero che le persone con disabilità possono ammalarsi più facilmente di cancro, «un aspetto – secondo la Federazione – dovuto a diversi fattori, che chiamano in causa gli stili di vita (maggiore attitudine al fumo di sigaretta e alla sedentarietà), la necessità in alcuni casi di sottoporsi più di frequente a esami radiografici, con un aumento del rischio di sviluppare alcuni tumori legato all’esposizione alle radiazioni ionizzanti e un generale processo di invecchiamento  che tende a manifestarsi in anticipo rispetto alle persone senza disabilità. Due studi pubblicati tra il 2020 e il 2021 hanno evidenziato ad esempio un rischio più alto per le persone con disabilità di sviluppare alcuni tumori (seno, cervice uterina, colon-retto, prostata e linfoma non-Hodgkin) rispetto al resto della popolazione. Si tratta di evidenze ancora preliminari, che confermano però quanto sia importante investire nella ricerca anche in questo settore».

Quanto infine alle persone con una disabilità intellettiva, uno studio coordinato da Anne Boonman, ricercatrice del Dipartimento di Cure Primarie e di Comunità del Radboud University Medical Center di Nijmegen (Olanda), ha evidenziato che in questo caso i pazienti sono più vulnerabili anche durante il percorso terapeutico, per tre ragioni fondamentali: una maggiore fragilità fisica, che più li espone agli effetti collaterali delle terapie, le difficoltà a rispettare il piano terapeutico dall’inizio alla fine e i limiti nella gestione degli aspetti decisionali da condividere con il proprio oncologo durante le terapie. «Le disabilità intellettive – sottolinea Varese – hanno molteplici sfumature e rappresentano un problema nel problema. In oncologia, più che in altri settori della medicina, la partecipazione attiva del malato al processo decisionale terapeutico è determinante, in virtù del margine di incertezza sul decorso e del rischio di tossicità. Per offrire dunque un trattamento adeguato a queste persone non esistono risposte univoche. Agli operatori sono richieste tenacia, competenze trasversali, una solida preparazione bioetica e la capacità di creare e sostenere con costante sforzo la rete socioassistenziale. Un surplus di fatica non da poco, in un momento di grave crisi per la Sanità Pubblica, ma senza la quale non è possibile contrastare l’isolamento e la preclusione di accesso alle cure per chi ha una disabilità intellettiva». 

«Come FAVO – ricorda Iannelli in conclusione – ci siamo battuti, assieme all’INPS e all’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), per introdurre il certificato oncologico online, al fine di semplificare, accelerare e migliorare il corretto accertamento dell’invalidità civile. A questi temi abbiamo dedicato ampio spazio negli ultimi anni nei Rapporti sulla condizione assistenziale dei pazienti oncologici. Ma il lavoro da fare è ancora molto. Quello che possiamo promettere è che non lasceremo mai soli i malati, in particolare quelli in condizione di maggiore fragilità, anche a causa di una pregressa disabilità psichica, fisica o motoria. E sosterremo con tenacia i valori della Sanità Pubblica, nell’ottica di una presa in carico globale e continua del malato e della sua famiglia». (S.B.) 

Per approfondire ulteriormente, accedere a questo link.

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