Le persone non sono frazionabili!

Una riflessione profonda riguardante la recente triste vicenda accaduta nei pressi di Palermo, ove un padre pensionato ha ucciso il figlio ventiseienne, con problemi di autismo. I servizi alle persone con disabilità, dichiara tra l’altro la presidente dell’ANFFAS siciliana, non possono più essere «episodici e frazionabili, come non è frazionabile la persona e la sua condizione di cittadino»

Donna disperata con la testa fra le maniAncora una volta la prima pagina dei quotidiani ci restituisce – al di là delle analisi e dei giudizi che lasciamo alle competenti autorità – un’immagine agghiacciante e insopportabile: un genitore che a Villagrazia, presso Palermo, pone fine alla vita del figlio disabile – in questo caso si tratta di autismo – semplicemente (l’avverbio va letto fra virgolette) per l’impossibilità, maturata in lui, di continuare a sopportare il peso, quotidiano, implacabile, globalizzante, della vita con questa disabilità, una vita che diventa essa stessa al di là del normale, in ogni manifestazione: mangiare, dormire, uscire di casa, restare fra quattro mura, ma sempre in “pervasivo” confronto con la malattia, la solitudine, la paura, l’incognita non solo del domani, ma dell’oggi stesso.
Il genitore, il parente, il familiare sono e si sentono soli, preda, a volte,  della fragilità sempre crescente della propria psiche, logorata, come la goccia logora la pietra, dal quotidiano che diventa “per sempre”.

Restiamo, da soci dell’ANFFAS (l’Associazione Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e Relazionale), ma soprattutto come persone umane e cittadini, tremanti di sdegno e di commozione!
Non entriamo nei dettagli della “storia” che oggi i giornali ci mettono sotto gli occhi, ma conosciamo, per la nostra vita vissuta e per l’attività associativa costante, la situazione generale dell’assistenza ai disabili e alle loro famiglie: leggi concettualmente ottime di fronte ad un’attuazione fortemente o del tutto carente!
Restando alla realtà che abbiamo vicina – quella di Palermo – la nostra città non ha oggi un’efficiente rete di servizi di supporto alle famiglie e ai disabili.
Se la scuola, poi ancora riserva – con fatica – un posto ai ragazzi fino ai 18 anni, dopo comincia una “terra di nessuno” costellata di porte chiuse e di risposte negative.
E ancora, i cosiddetti “centri diurni” o di socializzazione sono, nella maggior parte dei casi, mere chimere e una volta passata l’età adolescenziale, anche le terapie nei centri convenzionati (logopedia, psicomotricità ecc.) vengono dichiarate «non più idonee rispetto all’età», con conseguente uscita del soggetto dal circuito dell’assistenza concreta.

In poche parole, quel che manca ancora è la “presa in carico” del soggetto disabile prevista dall’articolo 14 della Legge 328/2000 a carico del Comune, che dovrebbe garantire una “rete” complessiva di interventi, flessibile e adeguata alle diverse fasi della vita e al mutare delle esigenze, includendo l’attività del parent training a sostegno anche dei familiari e i servizi di “respiro” per il loro recupero psicofisico.
Bene lo sanno le associazioni che, come la nostra – ma a Palermo ce ne sono molte altre – sottolineano ogni giorno, con iniziative, ma soprattutto con tentativi di “supplenza” rispetto ai servizi mancanti, la necessità drammatica di un intervento forte, incisivo, ma sopratutto non episodico e non frazionato, come non sono frazionabili la persona e la sua condizione di cittadino. 

Ci corre obbligo ribadire una semplice verità ed è drammatico doverlo fare in tali circostanze: i servizi, i centri, le terapie adeguate e tempestivamente erogate alla persona con disabilità e alla sua famiglia sono interventi salvavita che dovrebbero, a nostro giudizio, avere priorità nell’azione di tutti i soggetti preposti – Enti Locali, ASL, Regione, Stato – e nella destinazione concreta delle risorse da predisporre.
In mancanza di tutto ciò, rischia di restare aperta – e noi la rifiutiamo con tutte le nostre forze – la cruda logica della “soppressione”, quale viene insidiosamente proposta laddove si parla, ad esempio per le patologie genetiche diagnosticabili in epoca prenatale, di una “prevenzione” che corrisponde quasi sempre all’aborto terapeutico come unica risposta ad un’infausta diagnosi.
Lungi da noi entrare in questa delicatissima questione “morale”, appartenente alla dolorosa e sofferta capacità di scelta riconosciuta a ciascuno, ma la libertà della scelta, ed un’eventuale scelta per la Vita (con la V maiuscola) – che non significa sopravvivenza – passa attraverso la condivisione da parte di tutti del dolore e della differenza, dimostrata dall’elezione di quelle scelte e di quelle priorità che garantiscano in concreto, e non in modo ipocritamente teorico, il sostegno e l’inclusione sociale delle persone con disabilità!

Poi, più o meno nelle stesse pagine dei giornali, leggiamo anche un’altra notizia che – quasi beffardamente – irride la disgrazia avvenuta: si scopre cioè – e per questo si ringraziano le forze dell’ordine – un giro di falsi invalidi che, pare, abbiano attinto serenamente a queste stesse risorse, sempre più scarse e per ottenere le quali anche i disabili gravi, anche quelli con patologie genetiche, ancora oggi devono ripetutamente sottoporsi a numerosi e defatiganti controlli e “revisioni” nel corso della loro vita.
Non ci resta dunque che comprimere, non sappiamo ancora per quanto, un ulteriore urto di vomito.

*Presidente ANFFAS ONLUS Palermo – ANFFAS ONLUS Regione Sicilia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e Relazionale).

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