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Dove la disabilità è questione di sopravvivenza

Nagwa e Abu, i delegati del SudanNagwa arriva da Khartoum, capitale del Sudan, in rappresentanza di Abrar, associazione che si occupa di persone con disabilità colpite dalla guerra che ha dilaniato il Sudan vent’anni fa.  Si tratta di una consigliera che opera nel campo sociale.
«La nostra Associazione – ci ha raccontato – si occupa di 2.800 persone con disabilità, offrendo vari tipi di servizi. In Sudan, su 40 milioni di abitanti, circa 2 milioni subiscono ancora oggi conseguenze derivanti dalla guerra e tra questi, circa 500.000 sono persone con disabilità, molte divenute tali a causa degli effetti di residuati bellici, prime tra tutti le mine antiuomo».

Vestita con un abito a più colori, Nagwa è di religione islamica, come la maggioranza della popolazione sudanese.
«Per quanto vi siano aree rurali molto tradizionali, la condizione femminile nel nostro Paese non è molto diversa da quella degli uomini. Un esempio è quello dell’educazione, nel senso che il problema non è tanto quello che vi siano discriminazioni tra donne e uomini o tra bambini senza e con disabilità, bensì che solo il 20% della popolazione del mio Paese abbia accesso all’educazione, con  una notevole carenza di professori specializzati. Inoltre, molte scuole sono private e questo rende più difficile l’accesso gratuito all’educazione stessa».

«Dal mio punto di vista – ha sottolineato Abu Osama Abdallah Mohammed, dell’associazione sudanese Jasmar, che si batte contro le mine terrestri – l’Occidente ha una visione sin troppo generica dei Paesi di lingua araba. In realtà, come in Europa, esistono Paesi arabi ricchi – come il Qatar o il Kuwait – e altri poveri. Il Sudan è tra questi ultimi e pensare che si possano includere sotto l’espressione Paesi Arabi nazioni con culture e tradizioni differenti è come ridurre le differenti nazioni del vostro continente alla generica nozione di europee. In Sudan, ad esempio, la situazione delle infrastrutture è sicuramente più arretrata che in altri Paesi».

«Ma quali sono i problemi avvertiti con maggiore urgenza dalle persone con disabilità in Sudan?», abbiamo chiesto ad Abu. «I bisogni primari – ci ha  risposto – sono sicuramente i più sentiti: l’educazione, l’accesso all’acqua pulita, i servizi di salute. Naturalmente, poi, vi sono i costi aggiuntivi che le famiglie devono sostenere per le persone con disabilità, che in un Paese povero risultano imsostenibili per chi viva con un reddito al limite della sopravvivenza.
Per quanto poi riguarda le persone con disabilità intellettiva, in Sudan non ci sono attenzioni e servizi, e spesso esse sono completamente a carico delle famiglie. Per loro, l’accesso alla scuola risulta impossibile, per l’assenza di scuole pubbliche specializzate, e spesso esse vengono considerate “un investimento non conveniente”, perché valutate in ogni caso non produttive. D’altra parte, costruire istituzioni speciali ha dei costi molto elevati, praticamente insostenibili per il nostro Paese».
«Ma non esiste alcuna forma di sussidio?». «Non abbiamo pensioni – ha continuato Abu – e quei pochi sussidi che le famiglie più povere ricevono dallo Stato sono del tutto insufficienti a rispondere anche solo ai bisogni primari. Spesso, la condizione delle persone con disabilità nei Paesi poveri è una questione di sopravvivenza. Per questo siamo venuti all’Ad Hoc Committee, grazie al fondo volontario delle Nazioni Unite che sostiene la partecipazione delle persone con disabilità alla discussione della Convenzione. Infatti, per noi sarebbe molto importante che ci fosse un’obbligazione legale rispetto ai nostri diritti umani. Abbiamo fatto pressione sul nostro governo affinché mantenga la dovuta attenzione sul processo negoziale in atto nell’Ad Hoc Committee. La discussione che vi sta avendo luogo e l’approvazione di una Convenzione, infatti, darebbero maggiore forza alle nostre richieste a livello nazionale e locale.
Va detto infine che molti dei nostri problemi derivano dalla mancanza di sensibilizzazione e di consapevolezza della nostra condizione presso i governi e le comunità. In Sudan, vi sono leggi che tutelano i nostri diritti, ma spesso è la generale ignoranza rispetto ai nostri problemi che le rende inapplicate. Proprio per questo abbiamo necessità di sviluppare campagne di sensibilizzazione e di informazione anche verso le stesse persone con disabilità».Il Sudan

Quando salutandoci abbiamo chiesto a Nagwa e ad Abu «quale fosse il loro sogno», il loro sguardo si è illuminato, come se avessimo toccato un tasto profondo. «Il nostro sogno è quello di una convenzione che dia dignità e diritti a tutte le persone con disaiblità nel mondo!».

Certo, è straordinario come diventi percepibile e viva la speranza nelle persone che vivono nei Paesi poveri ed è questo sguardo vivo e aperto al futuro che dà slancio ed energia al movimento delle persone con disabilità – realmente quindi un movimento di liberazione mondiale – che trasmette desiderio di vivere senza discriminazioni e in totale uguaglianza di opportunità.

Il 5 agosto, tra l’altro, su iniziativa di Disabled Peoples’ International (DPI), molte organizzazioni di persone con disabilità hanno inviato al presidente dell’Assemblea dell’ONU per il Summit sugli Obiettivi del Millennio  (Millennium Development Goals, MDG), Mr Ping, una lettera nella quale è stato chiesto ufficialmente che nel documento finale del Summit che avrà luogo a settembre, sempre a New York, sia prestata adeguata attenzione e anzi priorità ai 600 milioni di persone con disabilità che rappresentano la metà dei poveri del mondo.

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