L’educazione che divide

Tra gli argomenti che hanno tenuto banco nella prima settimana dell’Ad Hoc Committee alle Nazioni Unite, per la definizione della Convenzione ONU sulla disabilità, il più dibattuto è stato quello inerente l’educazione e la scuola. L’articolo 17, che se ne occupa, nella versione del testo base (Working Group Text) è composto di cinque paragrafi nei quali vi sono due questioni particolarmente controverse correlate fra di loro, e una quasi dimenticata…
Una nota sulla questione di Pietro V. Barbieri, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), attivamente presente ai lavori di New York

Immagine simbolica della scuolaNella prima settimana di lavoro dell’Ad Hoc Committee a New York, per la definizione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, la lobby della World Blind Union (WBU) e della World Federation of the Deaf (WFDF) ha imposto alla discussione il tema delle forme alternative di educazione, correlate solo con i ciechi, i sordi e i sordociechi.
Alcuni Stati – come la Thailandia, la cui delegazione governativa è guidata da un non vedente – hanno presentato emendamenti in favore di questa ipotesi, sostenuta inoltre da un gruppo importante di associazioni non governative.
Il dibattito ha dato vigore a quelle delegazioni dei Paesi ricchi che sono spaventate dall’idea di cambiare il proprio sistema educativo e a quelle dei Paesi in via di sviluppo, il cui problema risiede principalmente nell’80% di bambini privi di possibilità di frequentare la scuola. Gli argomenti di questi ultimi vengono facilmente fagocitati dai primi per respingere l’ipotesi di tendere ad un’educazione inclusiva nel sistema scolastico generale. 
Nel mezzo vi sono delegazioni come quella dell’Australia, che ha il compito di moderare e pertanto di mediare sul tema specifico.
Alcune delegazioni, poi, come quelle della Giordania, della Giamaica e dello Yemen, hanno rifiutato l’idea della categorizzazione che vuole specifici interventi per sordi e ciechi. Altre ancora hanno cercato di spiegare come una Convenzione rappresenti il fulcro internazionale per realizzare diritti in un percorso che progressivamente realizzi il futuro dell’inclusione delle persone con disabilità.
L’Unione Europea, che parla con la voce unica della Presidenza di turno (quella del Regno Unito), ha assunto una posizione intermedia tra quella italiana -ovviamente di carattere completamente inclusivo – e quella di altri Paesi europei che in larga maggioranza non prevedono l’integrazione scolastica nelle loro politiche di istruzione presenti e future.
La proposta dell’Australia era quella di eliminare ogni riferimento a forme alternative di educazione, ma di specificare la necessità di abilitare sordi e ciechi rispettivamente con la lingua dei segni e con il Braille.
Entrambe le proposte hanno ricevuto forti critiche da parte delle maggiori associazioni. Nel primo caso si trattava di aprire all’educazione speciale per tutti, anche se eccezionalmente e condizionata dall’obiettivo dell’inclusione.
Nel secondo caso la critica è stata esercitata sia per l’assenza di percorsi speciali, sia per la previsione di specifici interventi per sordi e ciechi con un articolo appositamente predisposto.

Il dibattito si è concluso con il rinvio ad ulteriori confronti informali tra le delegazioni affinché preparino una proposta per la prossima sessione dell’Ad Hoc Committee.
Al termine di questo dibattito, un’Organizzazione Non Governativa ha tenuto un evento collaterale al quale ha preso parte anche chi scrive, presentando la situazione italiana e riscuotendo ampio interesse tra i presenti, tra cui delegazioni governative e di associazioni provenienti da Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Paesi Arabi, Stati Uniti, Gran Bretagna, Irlanda e Austria.
La caoticità causata da questo argomento è ruotata attorno ad un’azione dei delegati italiani che in ogni contesto hanno promosso l’educazione inclusiva possibile realizzata non quale buona prassi bensì come intervento sistematico.
A margine di questo aspro confronto, rileviamo come le associazioni che unitariamente avevano deciso di parlare con una sola voce si siano divise e abbiano isolato la volontà istituzionalizzante dei poteri storicamente più forti tra le associazioni stesse.

Da ultimo un’amara constatazione. Poco è previsto e ancor meno si è discusso in ambito di formazione professionale, vocational training e lifelong learning, nonostante il qualificato intervento dell’International Labour Organization, agenzia delle Nazioni Unite.
La battaglia dei sordi e dei ciechi ha quindi implicitamente oscurato la questione del diritto all’accesso ad ogni forma di educazione.

*Presidente della FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap.

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