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La teleangiectasia emorragica ereditaria

Il logo della Fondazione Italiana HHTLa teleangiectasia emorragica ereditaria (HHT è la sigla in inglese) è una malattia ereditaria, che colpisce circa 1 individuo su 10.000, senza distinzioni di sesso, razza o etnia, e che interessa principalmente i vasi sanguigni
Essa viene indicata anche come morbo di Rendu-Osler-Weber, perché descritta la prima volta nel 1896 dal medico francese Henri Jules Louis Marie Rendu, che la identificò come malattia ereditaria, caratterizzata da epistassi e lesioni cutanee di colore rosso, distinguendola dall’emofilia.
Pur essendo già nota in precedenza, si riteneva che essa potesse dipendere da un difetto di coagulazione, anziché da un’alterazione dei vasi sanguigni. William Osler e Carl Weber, ai primi del Novecento, definirono il quadro completo delle sue manifestazioni cliniche.
A distanza di quasi cent’anni dalla sua scoperta, l’HHT è purtroppo una malattia ancor oggi non sempre correttamente diagnosticata, in quanto le sue molteplici manifestazioni non vengono riconosciute.

Caratteristiche
In ogni paziente affetto da teleangiectasia emorragica ereditaria, la maggioranza dei vasi sanguigni è assolutamente normale, al contrario di una piccola parte di essi, che presentano una particolare anomalia
In generale, la funzione dei vasi sanguigni è di trasportare il sangue all’interno dell’organismo. Il cuore pompa il sangue con una certa pressione verso il resto del corpo attraverso le arterie, mentre le vene lo raccolgono dalla periferia e lo riportano, a bassa pressione, al cuore. Arterie e vene di norma non sono in comunicazione diretta: tale connessione è svolta da piccoli vasi, detti capillari
L’HHT provoca un difetto nello sviluppo della rete sanguigna, per cui il sangue da un’arteria va ad immettersi direttamente nel circuito venoso, senza che si frappongano di mezzo i capillari. Per effetto della pressione esercitata dal sangue arterioso, la parete della vena allora si gonfia e diviene fragile sino a potersi rompere, dando un’emorragia. Secondo la struttura dell’anomalia vascolare, essa è definita teleangiectasia, fistola o malformazione artero-venosa (MAV). 
Le teleangiectasie interessano maggiormente le superfici interne ed esterne dell’organismo, quindi colpiscono la cute e le mucose, soprattutto quella che riveste la cavità del naso, mentre fistole e MAV compaiono di preferenza negli organi interni.
Complessivamente le sedi più colpite dalle lesioni vascolari dell’HHT sono il naso, il cavo orale, il volto, le mani, la mucosa dello stomaco e dell’intestino, il fegato, i polmoni e il cervello. Non è noto, peraltro, il motivo di tale distribuzione preferenziale.

Manifestazioni
Le teleangiectasie e le MAV possono dare differenti manifestazioni, a seconda della parte del corpo che ne è colpita. La conseguenza più frequente è il sanguinamento: le emorragie si manifestano specialmente a livello del naso, della cute, dello stomaco e dell’intestino.
Le MAV del cervello e del fegato, sanguinando raramente, sono più difficilmente rivelabili e richiedono quindi una specifica competenza del medico che segue il paziente HHT.
Va detto in ogni caso che è praticamente impossibile osservare, in uno stesso malato, il quadro clinico completo di tutte le lesioni e dei possibili sintomi: una caratteristica tipica della malattia è, infatti, la sua estrema variabilità clinica, anche fra membri di una stessa famiglia.
Talora un genitore malato può presentare epistassi assai gravi, senza MAV agli organi interni, e il figlio meno epistassi e presenza di MAV ad uno o più organi. Non vi è alcun rapporto diretto fra numero di teleangiectasie, frequenza di epistassi e rischio di sviluppare MAV interne; in altre parole, chi ha poche epistassi ha lo stesso rischio di MAV polmonari, ad esempio, di chi ha frequenti sanguinamenti nasali.
Le epistassi da teleangiectasie nasali sono il segno più frequente della malattia, presente dall’80 al 95% dei malati in età adulta, comparendo in media dai 12 anni, ma potendo insorgere anche nell’infanzia. La loro frequenza oscilla da appena una o due volte l’anno, sino a più volte al giorno, e la durata varia da pochi secondi talora anche a varie ore. La quantità di sangue persa, ora è di poche gocce, ora talmente profusa da richiedere una trasfusione. Nella maggior parte dei casi, la loro gravità si situa in posizione intermedia fra tali estremi.
Molti soggetti presentano altresì teleangiectasie alla cute delle mani (soprattutto ai polpastrelli delle dita), a quella del volto e alle mucose della cavità orale, che però compaiono più tardivamente, in genere fra i 30 e i 50 anni di età.
Si tratta di piccole lesioni rilevate, assai fragili, di colore che va dal rosso al violaceo, grandi quanto una capocchia di spillo o appena un po’ di più, costituite da capillari dilatati e raggomitolati.
In alcuni soggetti le teleangiectasie sono molto evidenti, specie in età adulta; in altri restano numericamente più rade e con l’età esse tendono comunque in genere ad aumentare di numero.
Il 30% dei malati può sviluppare una o più fistole a livello dei polmoni, andando incontro alla compromissione di una delle importanti funzioni che la rete dei capillari polmonari svolge normalmente. Quando la fistola supera un determinato diametro, essa impedisce ai capillari polmonari di trattenere eventuali impurità circolanti, costituite da piccoli coaguli, colonie batteriche, microscopiche bolle d’aria e così via.
In mancanza di tale filtro, queste impurità possono passare nel sangue arterioso e dal cuore dirigersi soprattutto verso il cervello, provocando così un ictus o un ascesso cerebrale, rispettivamente per colpa di un coagulo o di una colonia di batteri. Più raro è il possibile sanguinamento di tali fistole, evento per il quale sembra lievemente più a rischio la donna in gravidanza.
Si tratta di complicanze sempre drammatiche, potenzialmente letali, o in ogni caso in grado di causare gravi invalidità. D’altro canto, però, le fistole polmonari possono essere sempre curate in maniera radicale.
Nel 30% circa dei soggetti affetti, compaiono fistole all’interno del fegato, possibili cause di scompenso cardiocircolatorio ed epatico soprattutto quando sono più voluminose. Il flusso sanguigno anomalo che le attraversa comporta, infatti, rispettivamente un sovraccarico di lavoro per il cuore e un aumento di pressione a danno del sistema venoso portale, cui è affidato il delicato meccanismo di “nutrizione” del fegato.
Il trattamento delle fistole epatiche generalmente non è necessario e viene riservato ai casi in cui esse sono causa delle complicanze sopra descritte. 
Per quanto poi concerne le MAV cerebrali esse sono state riscontrate nel 4% dei casi (in uno studio sistematico di Plauchu e colleghi) e pur potendo andare incontro a sanguinamenti letali o invalidanti, possono essere anch’esse per lo più essere efficacemente trattate.
Più rare le MAV a livello del midollo spinale e ad ogni modo curabili. Queste possono essere sospettate in presenza di intensi dolori che si irradiano dalla colonna vertebrale, e talora per disturbi della sensibilità ad un braccio o una gamba.
Provette con campioni di sangueIl 10-15% circa dei pazienti manifesta infine sanguinamenti all’apparato digerente, talora lievi, in altri casi anche gravi, dovuti al formarsi di teleangiectasie alla mucosa dell’esofago, dello stomaco e dell’intestino, del tutto simili a quelle cutanee. A maggior rischio di rottura sono le lesioni localizzate allo stomaco e al primo tratto dell’intestino tenue, ove l’emorragia si manifesta con la comparsa nelle feci di sangue rosso, o di feci particolarmente nere, o con sintomi di pallore, affaticabilità e vertigini, indizio di progressiva anemia.

Le cure
La teleangiectasia emorragica ereditaria si può curare: infatti, pur non potendosi prevenire le lesioni vascolari tipiche della malattia, esse possono essere positivamente trattate nella maggioranza dei casi. È necessario per altro intervenire solo quando esse sono causa di disturbi significativi (ad esempio frequenti epistassi), o quando si associano ad un alto rischio di complicanze (ad esempio di ictus cerebrale da fistola a livello polmonare). Le modalità terapeutiche variano in base alla sede e alla dimensione delle lesioni.
Per limitare le epistassi, ad esempio, a volte sono sufficienti piccole precauzioni quotidiane, consistenti in una buona umidificazione dell’ambiente domestico e nell’impiego a livello nasale di pomate emollienti, tali da ridurre la fragilità delle teleangectasie. Quando però queste precauzioni non bastano più, il primo trattamento raccomandato è la fotocoagulazione laser. Il raggio luminoso viene focalizzato non direttamente sulla lesione, bensì attorno ai suoi margini, facendola scomparire. I benefici sono spesso però temporanei, rendendo necessario ripetere periodicamente il trattamento: va sottolineata l’importanza di rivolgersi, ogni volta, a specialisti esperti nell’utilizzo del laser a livello otorinolaringoiatrico.
La dermoplastica del setto è un’ulteriore opzione terapeutica, da prendere in considerazione, però, solo quando il laser ha ripetutamente fallito lo scopo.
Con questa delicata tecnica chirurgica, la sottile mucosa che riveste la cavità nasale viene eliminata con le sue teleangiectasie sanguinanti e definitivamente sostituita con una più resistente porzione di cute. Ai fini di un risultato ottimale e duraturo, si richiede al paziente un particolare impegno nel tempo, al fine di mantenere la cavità nasale sempre umidificata e libera da secrezioni. In rari casi è possibile anche qui una recidiva, che però non consente di ripetere l’intervento e che va quindi trattata in altro modo.
L’embolizzazione arteriosa è in grado anch’essa di ridurre le epistassi che non rispondono ad altre terapie, ma mantiene la sua efficacia solo temporaneamente, perché le arterie collaterali a quella embolizzata provocano presto o tardi una recidiva. Si tratta quindi di una tecnica indicata soprattutto per fronteggiare casi d’emergenza. 
Un trattamento ormonale per via intramuscolare può trovare efficacia in una quota di pazienti, di sesso femminile, che non rispondano né alle misure di umidificazione nasale, né ai trattamenti di fotocoagulazione laser.
La laserterapia dermatologica è risolutiva invece delle teleangectasie cutanee che sanguinano in modo rilevante, oppure che sono più antiestetiche: anche qui è preferibile rivolgersi ad uno specialista esperto di laser dermatologici.
Emorragie a livello gastrointestinale vanno trattate in quanto causa di anemia. Dagli iniziali supplementi orali di ferro, si passa nei casi più gravi alle emotrasfusioni e ai trattamenti di cauterizzazione termica o laser per via endoscopica; parziali benefici provengono anche qui dalla terapia ormonale.
Medico visita pazienteLe fistole polmonari vanno invece trattate prima di causare disturbi neurologici o emorragie: per tale motivo esse vanno cercate in tutti i pazienti anche asintomatici. Il trattamento avviene in primo luogo mediante un’embolizzazione, effettuabile anche in day hospital da parte di un radiologo interventista. Attraverso una piccola incisione praticata all’inguine, si inserisce un catetere in una vena profonda, facendolo proseguire sino all’arteria che alimenta la fistola, da occludere con un palloncino o una spirale lasciati in situ. La seduta dura in tutto una o due ore.
Le MAV che, a livello cerebrale sono sintomatiche, vengono trattate con modalità diverse secondo la loro dimensione, struttura e sede. Si possono utilizzare, da sole o congiunte, una tecnica chirurgica, oppure l’embolizzazione con catetere, o la radioterapia focale, preferibile quest’ultima quando la lesione è relativamente superficiale e di dimensioni ridotte.
Le fistole epatiche, infine, meritano un trattamento quando sono causa di scompenso epatico o cardiaco. Diversamente da quanto avviene per i polmoni, l’embolizzazione a livello epatico può dare gravi complicazioni e quindi tutto va deciso caso per caso e va affidato a specialisti con esperienza di localizzazione epatica dell’HHT.

Esami e controlli
Attualmente non esistono esami di laboratorio specifici per la diagnosi di teleangiectasia emorragica ereditaria, anche se è probabile che in futuro venga sviluppato un test genetico basato su di un semplice campione del sangue. Sino ad allora il medico dovrà porre la diagnosi basandosi su sintomi, segni e storia familiare del paziente. 
Essendo il morbo di Rendu-Osler-Weber così variabile nelle sue manifestazioni, tanto che a volte i sintomi sono davvero pochi, porre una diagnosi di certezza può in qualche caso essere disagevole.
I quattro criteri diagnostici dell’HHT sono stati fissati da un gruppo di esperti internazionali:
1) Epistassi spontanee e ricorrenti.
2) Teleangiectasie multiple presenti nelle sedi tipiche della malattia (labbra, cavo orale, naso e polpastrelli delle dita).
3) Fistole, MAV o altre anomalie vascolari agli organi interni (stomaco, intestino, fegato, cervello, midollo spinale o polmoni).
4) Familiarità positiva (un parente di primo grado con HHT definita). 

La diagnosi può essere, alternativamente:
– Definita (quando sono soddisfatti almeno 3 criteri su 4).
– Sospetta (quando vengono soddisfatti solo 2 criteri su 4).
– Improbabile (con meno di 2 criteri).

Chi appartiene ad una famiglia con HHT, o chi sospetta di esserne affetto, deve senz’altro compiere approfonditi esami. Tra le manifestazioni della malattia, quelle polmonari sono le uniche che meritano di essere indagate anche in assenza di qualunque sintomo premonitore. Non escludere la presenza di fistole polmonari, in un paziente con HHT, significa correre un inaccettabile rischio potenziale.
Le modalità di screening di tali lesioni possono lievemente differire tra Centri differenti, pur basandosi fondamentalmente sull’utilizzo dell’ossimetria (per valutare la percentuale massima di saturazione di ossigeno nel sangue) e sulla radiografia del torace.
Nel caso in cui queste tecniche evidenzino o facciano sospettare la presenza di una fistola, si passerà ad ulteriori indagini quali la TAC spirale e l’angiografia
Altri tipi di lesioni vanno indagati ed eventualmente trattati solo quando sono causa di disturbi. È consigliabile eseguire una visita presso un medico esperto di HHT, che eseguirà dapprima alcune indagini di base, poi eventualmente altre più approfondite, suggerendo altresì la più opportuna periodicità di controlli. 

Cause e trasmissione dell’HHT
La malattia è causata da differenti alterazioni (mutazioni) in uno dei due geni sinora identificati e localizzati uno sul cromosoma 9, l’altro sul 12. Il primo di essi è quello che codifica la sintesi dell’endoglina, l’altro quello di una proteina indicata dalla sigla ALK-1.
Ogni singolo paziente – come pure i membri della sua stessa famiglia affetti da HHT – presenta la medesima alterazione in uno solo dei due geni. L’endoglina e l’ALK-1 sono proteine necessarie al corretto sviluppo dei vasi sanguigni: l’anomalia in uno di tali geni comporta un difetto nella produzione della rispettiva proteina e quindi altera lo sviluppo dei vasi sanguigni.
L’HHT è una malattia ereditaria con trasmissione di tipo autosomico dominante, il che significa che ogni individuo che ne è affetto possiede, nello specifico gene, un’informazione genetica corretta (allele normale) ed una errata (allele mutato). Ad ogni gravidanza, padre o madre affetti da HHT hanno una probabilità del 50% di trasmettere al figlio la mutazione, e quindi la malattia, indipendentemente dal sesso del nascituro. 
Nel caso in cui il bambino erediti la mutazione e quindi la malattia, non è possibile però prevederne il grado di gravità clinica. In caso contrario, se il figlio eredita ambedue gli alleli normali, non solo non svilupperà la malattia, ma essa non verrà più in alcun modo tramandata ai discendenti
È pertanto impossibile che la malattia faccia “salti” di generazioni, in quanto per tale tipo di trasmissione ereditaria non esistono portatori sani in grado di trasmetterla senza esserne affetti.
Se un soggetto con HHT non evidenzia alcun genitore malato, ciò può dipendere dalla particolare benignità del decorso di tale affezione presso il genitore, in modo da non suscitare il minimo sospetto diagnostico. Alla scoperta di ogni nuovo caso di HHT, ove possibile, è importante studiare attentamente ambedue i genitori, al fine di confermare ulteriormente la diagnosi e prevenire possibili complicanze. 
A tale proposito, è possibile, anche se molto raro, che un soggetto con HHT abbia davvero entrambi i genitori sani. Ciò è dovuto all’inaspettata e casuale mutazione in uno dei geni in questione, avvenuta nelle primissime fasi del concepimento del soggetto (neomutazione). Per contro, nella maggior parte dei casi, la mutazione era già presente negli ascendenti da più generazioni.

Lo stato della ricerca
Oltre ad approfondire sempre nuove tecniche di prevenzione e cura delle molteplici manifestazioni cliniche dell’HHT, un decisivo contributo può provenire dalla ricerca genetica.
Alla metà degli anni Novanta, gli scienziati sono riusciti ad individuare due geni responsabili dell’HHT: occorre a questo punto vedere se possano esservene altri in gioco, eventualità che non può affatto essere esclusa a priori.
Individuati esattamente i geni, è necessario in primo luogo approfondire i meccanismi con cui l’anomalia nel DNA interferisce con il normale sviluppo vascolare.
In secondo luogo occorre cercare il modo con cui poter ovviare alla mutazione, riparando il gene anomalo, oppure fornendo direttamente all’organismo la sua proteina deficitaria. 
I ricercatori dovranno altresì, in futuro, confermare o meno quella che sembra una caratteristica della malattia, cioè una diversa incidenza di complicanze cliniche secondo il gene interessato dalla mutazione, tanto da far sospettare l’esistenza di differenti forme cliniche di HHT
L’individuazione della precisa mutazione genetica che colpisce un paziente con HHT è oggi possibile, ma è stata sinora effettuata in un numero limitato di casi. Questo perché l’analisi di tutte le possibili alterazioni a carico di determinato gene richiede tempi e costi abbastanza elevati.
Nuove tecnologie, in un futuro non lontano, potranno di molto semplificare tali indagini genetiche.

Fondazione Italiana HHT “Onilde Carini”:
presso Studio Associato Cremonesi, Via San Giovanni, 28, 29100 Piacenza
tel. 349 7181943 (lunedì-venerdì, 10-12),
informazioni@hht.itwww.hht.it
Consulenti scientifici:
dr.ssa Elisabetta Buscarini, 0373 280726, ebuscarini@rim.it
prof. Cesare Danesino, 0382 507730, cidi@unipv.it
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