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Serve più impegno per l’integrazione scolastica

Durante il  mese di settembre ho avuto occasione di girare il nostro Paese in occasione di alcuni corsi di aggiornamento per l’integrazione scolastica.
Dapprima mi sono recato a Finale Emilia (Modena), dove ho potuto apprezzare la collaborazione delle scuole con gli Enti Locali e successivamente a Bergamo, dove il Centro Servizi Amministrativi (CSA) ha coinvolto molte scuole in progetti di integrazione, riuscendo a provvedere ai vari bisogni con risposte adeguate, soprattutto grazie a una seria programmazione promossa da decenni. 
Abbastanza diversa la realtà di Palermo, dove ho riscontrato che malgrado l’impegno dei dirigenti scolastici, gli Enti Locali non collaborano come invece la legge prevede in questi casi e dove non ho trovato coordinamento fra l’impegno nelle scuole superiori e una quasi totale assenza di formazione professionale.Giovane studente in classe con la mano alzata
Tornando al Nord Italia, a Biella mi sono imbattuto in una coraggiosa associazione di genitori (Agenda), che è riuscita a fare interessare in modo considerevole alle proprie attività le istituzioni scolastiche e gli Enti Locali.
E per finire, di nuovo in Lombardia, mi sono trovato di fronte a due realtà abbastanza diverse tra loro: Gallarate e Brescia, nella prima delle quali, malgrado l’impegno dei dirigenti scolastici e dell’Azienda Sanitaria Locale, gli Enti non rispondono con una rete di rapporti interistituzionali rassicuranti.
A Brescia, invece, tale rete esiste da tempo e si è pervenuti addirittura alla stipula di un recente accordo di programma provinciale, che sostiene molto l’integrazione.

Cosa manca?
Nonostante, quindi, un panorama di situazioni abbastanza diverse tra di loro, ciò che ho riscontrato ovunque è stata la scarsa partecipazione degli insegnanti curricolari, malgrado la recente Nota Ministeriale Protocollo n. 4798 del 27 luglio scorso, che ribadisce la centralità della presa in carico del progetto d’integrazione da parte di tutto il consiglio di classe, che non può delegare la sua realizzazione al solo insegnante per il sostegno.
Inoltre, tanto al Sud quanto al Nord, la partecipazione delle famiglie delle persone con disabilità si è rivelata molto scarsa, ad eccezione dei dirigenti delle associazioni, molto impegnati a tessere relazioni con  i responsabili dei servizi territoriali.

Come fare?
Come superare, dunque, questi due gravi scogli che ostacolano la qualità e la partecipazione all’integrazione?
Personalmente ritengo che da un lato i sindacati dovrebbero impegnarsi molto nell’aggiornamento dei docenti curricolari, essendo questo garanzia di maggiore professionalità e quindi di migliori condizioni di lavoro per ogni docente.
Dall’altro lato, ritengo che anche le associazioni, e in modo particolare i loro coordinamenti locali e regionali, dovrebbero compiere un grosso lavoro formativo presso i propri soci.
E questo per far comprendere che solo con una maggiore padronanza dei problemi e delle loro soluzioni a livello istituzionale è possibile garantire migliori condizioni di vita ai loro figli, prima nella scuola, poi nel lavoro e, comunque, nella società.

*Vicepresidente FISH – Federazione Italiana Superamento Handicap.

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