Il 7 febbraio si è svolta nella sede del MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) di Viale Trastevere a Roma l’ultima riunione, per questa legislatura, dell’organismo tecnico e dell’Osservatorio Permanente in materia di Disabilità cui partecipano i rappresentanti delle associazioni dell’handicap, una ventina di esperti designati dal ministro e alcuni funzionari, il tutto sotto la regia del direttore generale per lo studente on. Mariolina Moioli e del sottosegretario on. Valentina Aprea.
Non è la prima volta che mi accade in queste riunioni che hanno una cadenza di una-due volte all’anno di arrivare alla cabina degli uscieri accompagnato dal taxista e di chiedere se per cortesia qualcuno mi può accompagnare alla sala della riunione.
Generalmente, per la mia attività in Confindustria o al Ministero del Welfare o per visitare clienti o rappresentanti di organizzazioni, mi muovo da solo in aereo e con il taxi; e ancora una volta al MIUR, il Ministero che per legge gestisce dal 1977 l’integrazione scolastica degli alunni disabili, alla cortese richiesta di un aiuto, mi sono sentito rispondere che non avevano tempo.
Mi sono permesso di azzardare che in quella giornata era indetta la Commissione Handicap e che quindi qualcuno cieco come me probabilmente avrebbe avuto bisogno di un qualche aiuto, ma l’usciere zelante, dopo avere interpellato un suo collega, mi ribadiva la sua indisponibilità e così, sentendo i passi di qualcuno che transitava di lì, mi sono girato e ho supplicato un accompagnamento che la persona con cortesia e disponibilità mi ha offerto fino al secondo piano alla sala dei ministri, dove da poco era incominciata la riunione.
Ma tant’è, così gira in questo nostro Paese dove tra le parole e la realtà ogni giorno che passa si scava un abisso sempre più profondo, dove più si dispone dei dati e più ci si rende conto che le persone disabili sono soltanto un’occasione per occupare gli altri.
E pensare che in queste riunioni poco utili c’è qualcuno che si preoccupa non tanto della professionalità degli insegnanti, ma della loro sofferenza a stare per tanto tempo accanto a una persona disabile, arrivando a chiedere per questi “poverini” – che usano la disabilità solo come trampolino per un loro inserimento professionale – un anno sabbatico per consentir loro di ricaricare le batterie, di ricostituire le energie per il così faticoso lavoro svolto.
E poi anche le cose più semplici si fanno complesse, prendono percorsi che si perdono nell’alimentare interessi lontani da quelli degli alunni in difficoltà, come la richiesta dell’UIC (Unione Italiana Ciechi) di far sì che gli editori forniscano non il libro cartaceo, ma il libro in formato elettronico – quello cioè che può essere letto direttamente al computer – non direttamente alla scuola dell’alunno cieco e ipovedente, ma alla Biblioteca di Monza, così magari lì ci sarà qualcun altro “che mangia” e il libro al bambino cieco arriverà certamente con un po’ più di ritardo.
Il dubbio che sempre più si trasforma in certezza è che la disabilità sia una grande questione e nello stesso tempo una grande opportunità per mantenere in vita tanti “carrozzoni”, per occupare tanta e tanta gente e magari per provare un po’ di fastidio quando qualche persona disabile rivendica il diritto di essere cittadino come gli altri.