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La rivoluzione della consapevolezza*

Oriella Orazi, Sorelle, 1990L’approccio che oggi vede la disabilità come una questione di diritti umani è ormai accettato a livello internazionale. Alle persone con disabilità vengono riconosciuti i diritti politici e civili – come a tutti gli altri – e anche la necessità di adottare tutte le misure necessarie a vivere pienamente la loro vita.
Viene quindi riconosciuto il loro diritto alla sicurezza economica e sociale, al lavoro, a vivere nella propria famiglia, a partecipare alla vita sociale e culturale, ad essere protetti contro ogni forma di sfruttamento, abuso o condizione degradante.
Prova di tutto questo è la Convenzione, in discussione all’ONU, il cui quadro di riferimento è appunto quello dei diritti umani. Secondo questa prospettiva, non discriminazione, uguaglianza di opportunità e partecipazione piena, cioè un rapporto diretto ed etico tra Stato e cittadino, tra società e cittadino, si ottengono soltanto assumendo il punto di vista dell’altro, o meglio dei diretti interessati, cioè di coloro ai quali spetta o è dovuto qualcosa, ai quali verrebbe fatto un torto se ciò venisse negato.
Partendo da siffatta prospettiva, la Convenzione richiede l’attenzione ai modi di trattamento di ogni singola persona con disabilità, nella concretezza della condizione esistenziale e delle relazioni sociali.

Per quanto riguarda l’universo femminile, molto è cambiato nel modo di percepire la donna. Le donne sono considerate come attrici dirette della vita sociale, politica, culturale e  lavorativa. L’approccio di genere ha assunto come obiettivi l’avanzamento dello status della donna nella società e il raggiungimento della parità tra i sessi, comportando nella sua realizzazione una forte attenzione per i bisogni, gli interessi e le prospettive femminili.
Il momento decisivo per il cambiamento di prospettiva nei confronti  delle donne e delle persone con disabilità si ha negli anni Novanta, quando emerge un nuovo approccio e cioè quello del mainstreaming (Gender Mainstreaming e Disability Mainstreaming).
Mainstreaming non significa solo aggiungere la componente femminile e della disabilità nelle politiche, nelle azioni e nelle attività esistenti, ma significa anche portare l’esperienza, la conoscenza e gli interessi delle donne e delle persone con disabilità nelle agende della politica, dell’economia, delle azioni sociali e culturali. Significa trasformare le strutture politiche, sociali e istituzionali ingiuste e carenti in apparati giusti e uguali per tutti.
A mio avviso questo cambiamento è avvenuto in seguito al collegamento di  due princìpi: inclusione e trasformazione, dove inclusione vuol dire garantire a tutti pari opportunità e trasformazione vuol dire rileggere il sapere stabilito, rivoluzionando l’ordine delle cose. Significa cioè ripensare i sistemi rappresentativi di abilità e disabilità, genere e sessualità, diversità e normalità. Significa, per le donne scardinare lo stereotipo di inferiorità che da sempre caratterizza la loro condizione sociale, per le persone con disabilità scardinare l’ideologica visione negativa della disabilità che pervade le pratiche culturali, la strutturazione delle istituzioni, il pensiero e la prassi politica, la storia e l’esperienza umana.
Il movimento delle donne e quello delle persone con disabilità hanno, se pur in tempi e con modi diversi, lavorato per dimostrare che la condizione naturale delle persone non è una scelta e che si può costruire una “cultura” capace di racchiudere e accogliere ciò che è diverso, percependolo come arricchente.
Una società e una cultura nuove si costruiscono riconoscendo le differenze – anche se minoritarie – come parti interne ed essenziali del loro stesso assetto. Una cultura diversa si costruisce eliminando le dicotomie, che caratterizzano le nostre società, tra corpo e mente, animale e umano, primitivo e civilizzato, normale e anormale, disabile e abile ecc.

Le questioni che le donne e le persone con disabilità pongono sono fortemente significative e rilevanti per tutti gli individui e per l’intera società: esse hanno invitato e continuano ad invitare tutti ad interrogarsi sulla propria identità, sul proprio corpo, sulle proprie emozioni e sulla propria sessualità. Ciò favorisce così una vera e propria “rivoluzione della consapevolezza”, che inizia a porsi domande sul sé e su un’“appartenenza più responsabile” alla propria società.
Questi due gruppi hanno dimostrato senza ombra di dubbio che i Diritti Umani sono diritti inalienabili e universali di tutti gli esseri umani e che ovunque non dipendono dalle leggi del singolo Stato, ma dalla stessa appartenenza al genere umano, composto da uomini e donne, diversi nel corpo e nell’identità, ma uguali nei loro diritti naturali.

Nell’ambito del movimento delle persone con disabilità, si è presunta l’irrilevanza del genere, così come irrilevanti sono stati considerati la dimensione sociale, di classe, quella etnica e dell’orientamento sessuale. La disabilità è stata considerata insomma come un concetto unitario che eclissa tutte le altre dimensioni.
Tale approccio ha rivelato la tendenza a nascondere il genere nell’esaminare le vite delle persone con disabilità, trascurando di esplorare l’influenza che il genere stesso ha su di esse.
In sostanza, il movimento delle persone con disabilità non ha per molto tempo riconosciuto la discriminazione multipla, determinata dalla combinazione di genere e disabilità e sperimentata dalle donne con disabilità, ciò che ha comportato una mancanza di interesse nel progettare interventi e pratiche, politiche e azioni per soddisfare le necessità specifiche di queste ultime.
Rita BarbutoD’altro canto la radicale messa in discussione da parte delle donne del secolare predominio del genere maschile su quello femminile, che ha sovvertito l’ordine simbolico della non uguaglianza di valore dell’essere uomo e dell’essere donna, e che ha prodotto la giusta condanna degli abusi e delle violenze perpetrati sulle donne, sembra non investire e coinvolgere le donne con disabilità.
Il pensiero femminista continua ad ignorare e ad escludere le donne con disabilità, cosicché si può dire che le donne si siano unite agli uomini – senza o con disabilità – relegate altresì ad un livello inferiore della loro riflessione intellettuale e politica.
L’impegno a veicolare un’immagine di donna forte, potente, competente e attraente è una delle ragioni, a mio parere, per cui le donne con disabilità sono escluse dalla riflessione del pensiero femminista; infatti, l’immagine che si ha di loro, di donne indifese, eterne fanciulle, dipendenti, bisognose e passive, rinforza lo stereotipo tradizionale della donna.
La donna con disabilità, considerata da sempre non adatta a ricoprire i tradizionali ruoli di madre, moglie, casalinga e innamorata, non è altrettanto considerata adatta a ricoprire i nuovi ruoli di una società in cui domina il mito della produttività e dell’apparenza.

Le donne con disabilità
Le donne sono la metà della popolazione umana e le donne con disabilità sono nella stessa proporzione rispetto agli uomini con disabilità. Nel mondo ci sono circa 600 milioni di persone con disabilità, di cui 300 milioni sono donne e 240 milioni di esse vivono nei Paesi in via di sviluppo.
In questo grande gruppo sono incluse donne con disabilità fisiche, sensoriali e psichiche, più o meno gravi, più o meno visibili.
Per meglio comprendere la discriminazione multipla che vivono le donne con disabilità, esaminiamo le seguenti aree di vita, nelle quali compareremo la loro condizione con quella degli uomini con disabilità.

Istruzione
L’accesso all’istruzione rimane un problema notevole per le persone con disabilità. Il livello di istruzione e il tasso di alfabetizzazione delle donne con disabilità tende ad essere ovunque più basso di quello degli uomini con disabilità. La percentuale mondiale di alfabetizzazione per le persone con disabilità è circa del 3%, mentre quella delle donne e delle ragazze con disabilità è solo dell’1% (1). Le statistiche mondiali dimostrano che la percentuale di donne con disabilità che partecipano ad esperienze di tirocinio, quelle cioè che consentono in seguito di svolgere una professione, è molto bassa. Studi eseguiti in Svizzera mostrano che si investe maggiormente in training indirizzati verso gli uomini con disabilità piuttosto che verso le donne con disabilità.

Lavoro e impiego
Nel mondo i tre quarti delle donne con disabilità sono escluse dal lavoro e nei Paesi in via di sviluppo lo sono quasi al 100%, sebbene la maggioranza rappresenti una risorsa inestimabile per la propria famiglia: sono infatti loro che cucinano, puliscono e accudiscono i bambini. Questo comporta per le donne con disabilità una condizione di estrema povertà.
LydiaSecondo uno studio spagnolo, pubblicato nel 2003 dal Consiglio d’Europa, nell’Unione Europea il 35% degli uomini con disabilità ha un lavoro, mentre la percentuale di donne che lavora è solo del 25% (2).
E ancora, secondo uno studio effettuato negli Stati Uniti nel 2000, le donne con disabilità hanno un reddito medio mensile di 1.000 dollari, contro il reddito mensile medio di un uomo privo di disabilità di 2.190 dollari. Sempre secondo questo studio, gli uomini con disabilità guadagnano il 55% in più delle donne con disabilità (3).

Diritto alla famiglia
Per molte donne con disabilità – sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo – né il matrimonio né la maternità sono considerati una scelta di vita. Alcuni studi hanno dimostrato che solo il 50% di donne con disabilità, più o meno gravi, si sposano, contro il 68% degli uomini che vivono la stessa condizione (4).
Inoltre le donne che diventano disabili dopo il matrimonio sono più a rischio di divorzio e di perdere la custodia dei figlio rispetto agli uomini.
Bisogna ancora aggiungere che la rottura di coppie in seguito alla nascita di un figlio con disabilità è molto alta e quasi sempre la custodia del figlio resta alla madre.

Salute
Spesso le persone con disabilità non possono accedere ai servizi sanitari, poiché sono considerate persone per le quali è inutile investire risorse il più delle volte già scarse. Specie nei Paesi in via di sviluppo, quando una ragazza o una donna sono malate, può succedere che non vengano curate in modo adeguato: un mal d’orecchi non curato, ad esempio, può dar luogo alla perdita dell’udito.
Molte sono le barriere che le donne e le ragazze con disabilità affrontano quando si devono far curare. Spesso i loro bisogni e problemi specifici, come ad esempio quelli riguardanti la maternità e la ginecologia, non vengono inseriti negli ordinari programmi di cura. Difficilmente, poi, hanno accesso alle campagne sulla sessualità e sul controllo riproduttivo.
In vari paesi, infine, le donne con disabilità sono sottoposte a sterilizzazione, isterectomie e aborto il più delle volte non autorizzati. Quando poi riescono ad avere il bambino, possono essere costrette a darlo in adozione. Particolarmente alto è il rischio che corrono le donne con disabilità mentale di essere sterilizzate.

Violenza e abuso
Molto alto è il rischio di violenza fisica e sessuale delle donne con disabilità, quasi raddoppiato rispetto a chi non vive tale condizione. In sostanza esse sono viste come un “target facile”!
Studi effettuati nei Paesi industrializzati mostrano che dal 39 al 68% di ragazze e dal 16 al 30% di ragazzi con ritardo nello sviluppo mentale saranno sessualmente “abusati” prima del loro diciottesimo compleanno (5). Pure le donne con disabilità psichiatriche o che vivono in istituto sono ad alto rischio di violenze o abusi. Se poi una donna riesce a fuggire da una situazione violenta, va detto che pochi centri anti-violenza sono accessibili…

La questione di genere nella Convenzione
Internazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità
Il genere è una delle categorie più importanti dell’organizzazione sociale, e modelli di svantaggio o vantaggio, oltre alle posizioni sociali, sono spesso determinati dall’essere uomo o donna. Tutto ciò si riflette anche nella vita diversa sperimentata da donne e uomini con disabilità. Le donne con disabilità hanno molto in comune con gli uomini con disabilità, ma esse devono affrontare in molti casi una discriminazione multipla e sono spesso molto più svantaggiate.
Ogni Stato membro delle Nazioni Unite ha accettato di eliminare tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne e di assicurare l’uguaglianza tra donne e uomini, attraverso la Convenzione sui Diritti delle Donne [Convention on the Elimination of All Forms of Discriminations against Women – CEDAW, N.d.R.].
Garantire per legge questa uguaglianza non è però sufficiente, come il dovere di eliminare la discriminazione vuol dire di più che non discriminare attivamente.
Vuol dire che ogni Stato è obbligato a prendere – come stabilito dalla legislazione internazionale sui diritti umani – tutte le misure necessarie affinché le donne possano praticamente godere di uguali diritti. Queste misure devono essere prese immediatamente e non progressivamente, il che vuol dire che gli Stati non possono addurre scuse, quali quella della mancanza di risorse, per giustificare atteggiamenti discriminatori o trattamenti disuguali.
Vuol dire che i Governi sono obbligati ad individuare un modo concreto per proteggere tutte le donne dalle discriminazioni affinché esse possano godere di un’effettiva uguaglianza. Bisogna purtroppo sottolineare che nei meccanismi di monitoraggio della Convenzione sui Diritti delle Donne non veniva presa in considerazione la condizione delle donne con disabilità.

AnnaNel 2001 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha nominato un Comitato Ad Hoc (6) per la stesura della Convenzione Internazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità, riconoscendo che ogni trattamento speciale non giustificato, ogni svantaggio sociale e/o materiale che una persona con disabilità deve affrontare a causa della mancanza di inclusione delle sue esigenze particolari negli standard delle politiche e dei servizi, rappresenta una violazione dei diritti umani.
Nel 2005, durante la sesta sessione del Comitato Ad Hoc, si è discusso se e come inserire le questioni specifiche delle donne con disabilità e la prospettiva di genere nella nuova Convenzione.
Anche questa Convenzione sarà il risultato di una sapiente e meticolosa mediazione tra diverse culture, strutture sociali, religioni ecc. Questa eterogeneità di Paesi ha fatto sì che durante le negoziazioni e negli incontri informali siano state sollevate molte domande e preoccupazioni relativamente ad un riferimento esplicito delle donne con disabilità nella Convenzione. Né ancor oggi è chiaro in quale modo sarà inserita la dimensione di genere nella Convenzione. Ma è importante farlo. Cerchiamo di capire insieme il perché:

I. I documenti genere-neutrali non danno luogo ad un’adeguata attenzione alle donne, incluse quelle con disabilità.
II. Le donne con disabilità, oltre a sperimentare forme di discriminazione multipla, devono affrontare il problema di una doppia invisibilità: come donne e come persone con disabilità.
III. Esplicitare in pieno il principio del mainstreaming vuol dire adottarlo come mezzo per assicurare che la prospettiva di genere sia introdotta, in ogni Paese, nello sviluppo e nella realizzazione di leggi, azioni e programmi relativi alla disabilità.
IV. L’affermazione dell’uguaglianza tra uomini e donne è necessaria ma non sufficiente.
V. Scrivere esplicitamente dei problemi specifici delle donne con disabilità fa aumentare le probabilità che i Governi prendano le misure adatte per risolverli.

La discussione su come includere le questioni di genere nella Convenzione si è concentrata fondamentalmente su due opzioni possibili:
1. Fare riferimento alle donne e alle ragazze con disabilità in un articolo specifico.
2. Fare riferimento a temi di genere nei vari articoli di particolare importanza per le donne.
Oggi non è ancora chiaro quale opzione verrà scelta, anche se la bozza attuale – negli articoli 6 (7) e 16 (8) – presenta una combinazione delle due che sembra prevalere.
Ognuna di queste due opzioni presenta in ogni caso dei vantaggi e degli svantaggi che cerchiamo di riassumere qui di seguito.

Riferimento alle donne e alle ragazze con disabilità in un articolo specifico
Vantaggi:
– Visibilità (discriminazione multipla e maggiore mancanza di pari opportunità)
– Profilo più alto (la realizzazione dell’uguaglianza di fatto delle donne con disabilità avrà la stessa importanza dell’applicazione in toto della Convenzione)
Mobilitazione più attenta (i Governi e gli Stati si dovranno mobilitare maggiormente per adottare misure appropriate)
Maggiore comprensione (delle ineguaglianze tra donne e uomini con disabilità)
Svantaggi:
– Isolamento dei problemi
Ripetizione dei contenuti di altri articoli
Lavorare contro la strategia del mainstreaming

Riferimento a temi di genere in articoli specifici di particolare importanza per le donne
Vantaggi
:
– Visibilità
supplementare
– La concentrazione su aree specifiche può assicurare meglio l’azione a favore delle donne con disabilità
Svantaggi:
– Potrebbero emergere
solo alcuni diritti trascurandone altri
– Duplicazione

Il movimento delle persone con disabilità è stato riconosciuto come interlocutore all’interno del Comitato Ad Hoc. Per la prima volta, quindi, in una Convenzione internazionale, la società civile ha un ruolo così importante e le donne con disabilità stanno giocando un ruolo attivo nella scrittura della Convenzione stessa, perché sono consapevoli che questo documento internazionale sarà decisivo per conseguire l’eguaglianza di trattamento non con le donne, non con gli uomini con disabilità, ma con gli uomini.
Adriana e FrancescaQuello che ci auguriamo è che anche in Italia ci sia una forte mobilitazione, non solo per la ratifica, ma anche per l’applicazione concreta della Convenzione.
Da molti anni mi occupo delle questioni di genere nel contesto della disabilità. Ho partecipato, grazie ad alcuni progetti finanziati dal Programma Europeo Daphne, ad alcune ricerche sulla condizione di discriminazione, di mancanza di opportunità, di violenza che vivono le donne con disabilità.
In Italia, da questo lavoro, svolto negli ultimi quattro anni, coinvolgendo le stesse donne con disabilità, sono emersi i seguenti elementi:

A. Una completa mancanza di visibilità delle donne con disabilità: ad esempio non esistono statistiche sul fenomeno e le donne con disabilità non sono mai comprese nelle statistiche sulle donne.
B. Debolezza, frammentazione, vuoti nelle politiche del welfare nei confronti delle donne con disabilità.
C. Confusione tra le questioni relative alle donne con disabilità e quelle complessive della disabilità. Le leggi e le risposte hanno come soggetto le persone con disabilità in genere, non sempre ga­rantendo necessarie e specifiche tutele alle donne con disabilità.
D. Mancanza di consapevolezza della propria condizione: le donne con disabilità non sono consapevoli della condizione di discriminazione multipla e violazione dei diritti umani che vivono.

Allo stesso tempo è emerso anche che politiche e azioni mirate permettono alle donne con disabilità di raggiungere obiettivi universali quali:
– pari opportunità
– piena partecipazione nelle società
– libertà individuale
– sviluppo personale
– vita di qualità.

Qui mi limito ad indicare alcuni strumenti che consentono alla donna con disabilità di curare la propria crescita di persona e di individuare percorsi che le consentano di acquisire la sua identità:

1. Empowerment
– come rafforzamento di sé
– come acquisizione della possibilità di essere e di fare
– come possibilità di scelta partendo dai propri limiti e dalle proprie possibilità
– come possibilità di utilizzo dei mezzi che ognuno ha dentro di sé o che gli vengono offerti dal proprio ambiente di vita e sociale
– come possibilità e libertà di interagire in modo ottimale con il mondo.

2. La vita indipendente
– che permette alla donna con disabilità di riconquistare la propria libertà e di convertirsi da soggetto passivo ad artefice e protagonista del proprio destino individuale, capace di autodeterminarsi, in linea con i propri bisogni e desideri.

3. Costruire o rinforzare la rete delle donne con disabilità
– Gruppo donne con disabilità della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap)
– Gruppo donne con disabilità di DPI Italia.

*Relazione tenuta alla Conferenza Regionale sulla Disabilità Diritti umani e strumenti di tutela, Padova, 8 marzo 2006.
**Regional Development Officer – DPI Europe.

Note:
(1) Groce 1997a, citato in: Rousso, Harilyn, Girls and women with disabilities: An international overview and summary of research, Disability Unlimited Consulting Services, New York 2000 (Background paper for the Beijing +5 Conference in New York, June 2000).
(2) Council of Europe, Discrimination against women with disabilities, Council of Europe Publishing, Strasbourg 2003.
(3) Asch et. al., Reporting the US Census Bureau 1999, citato in: Rousso, Harilyn, Girls and women with disabilities cit.
(4) Ibidem.
(5) Sobsey 1994, come riportato in Reynolds 1997, citato in Rousso, Harilyn, Girls and women with disabilities cit.
(6) General Assembly Resolution 56/168 (A/RES/56/168).
(7) Articolo 6 – Donne con disabilità – 1. Gli Stati Parte riconoscono che le donne e le ragazze con disabilità sono soggette a discriminazioni plurime e che sono necessarie misure mirate all’empowement e sensibili alla questione di genere per assicurare il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte di donne e ragazze con disabilità. 2. Gli Stati Parte prenderanno ogni misura appropriata per assicurare il pieno sviluppo e avanzamento delle donne, allo scopo di garantire loro l’esercizio e il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali enunciate nella presente Convenzione.
(8) Articolo 16 – Libertà da sfruttamento, violenza e abuso – 1. Gli Stati Parte prenderanno ogni appropriata misura legislativa, amministrativa, sociale, educativa e di altra natura per proteggere le persone con disabilità, all’interno e all’esterno dell’ambiente domestico, da ogni forma di sfruttamento, violenza e abuso, compresi quegli aspetti basati sulla (distinzione di) genere. 2. Gli Stati Parte altresì prenderanno misure appropriate per impedire ogni forma di sfruttamento, violenza e abuso, assicurando, tra l’altro, appropriate forme di assistenza e sotegno sensibili al genere ed all’età a beneficio delle persone con disabilità, delle loro famiglie e di chi se ne prende cura, ivi compreso attraverso la messa a disposizione di informazioni e istruzioni su come evitare, riconoscere e denunciare episodi di sfruttamento, violenza e abuso. Gli Stati Parte assicureranno che i servizi di protezione siano sensibili all’età, al genere ed alla disabilità. 3. Allo scopo di prevenire l’occorrenza di ogni forma di sfruttamento, violenza e abuso, gli Stati Parte assicureranno che tutte le strutture e i programmi destinati a servire le persone con disabilità siano efficacemente monitorati da autorità indipendenti. 4. Gli Stati Parte prenderanno tutte le misure appropriate per promuovere il loro recupero fisico, cognitivo e psicologico, la riabilitazione e la reintegrazione sociale delle persone con disabilità che siano vittime di qualsiasi forma di sfruttamento, violenza o abuso, anche attraverso l’offerta di servizi di protezione. Tale recupero e reintegrazione dovranno avere luogo in un ambiente che promuova la salute, il benessere, il rispetto verso se stessi, la dignità e l’autonomia della persona e che prenda in considerazione le esigenze specifiche legate al sesso e all’età della persona.
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