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Taxi, diritto alla mobilità e diritto alle cure

«Vanno concessi tramite il calcolo del reddito», aveva dichiarato Paolo Osiride Ferrero, presidente della CPD (Consulta per le Persone in Difficoltà) di Torino, riferendosi ai buoni taxi.Taxi molto particolare
Varie sono state le reazioni, favorevoli e contrarie a questa presa di posizione, tanto che la stessa Consulta ha lanciato un dibattito aperto sulle pagine del proprio sito, del quale abbiamo già riferito qualche settimana fa.

Oggi registriamo un altro passaggio della discussione, stimolato da una lettera inviata il 21 giugno al quotidiano torinese «La Stampa» dall’UIC (Unione Italiana dei Ciechi), dall’ANMIC (Associazione Mutilati e Invalidi Civili) e dall’APRI (Associazione Piemontese Retinopatici ed Ipovedenti).
Questo il suo contenuto: «Da qualche settimana è tornato al centro dell’attenzione il problema della mobilità dei cittadini disabili e, in particolare, la proposta ventilata dal Comune di Torino di sottoporre ad un limite di reddito la concessione dei buoni taxi a questi soggetti. Una proposta indecente, non degna di una società civile.
Passate dunque le elezioni, e la necessità di rastrellare consensi anche nelle categorie più disagiate, passate le Paralimpiadi e l’esigenza di “fare vetrina” nei confronti del mondo, l’Amministrazione Comunale sembra essersi nuovamente dimenticata delle problematiche legate alle persone portatrici di handicap.
Purtroppo anche alcune associazioni e consulte (come la Consulta per le Persone in Difficoltà) tendono a dimenticare le ragioni per cui sono nate. Le nostre associazioni fanno presente che il diritto alla mobilità spetta a tutti i cittadini disabili, a prescindere dal reddito e dalle condizioni della famiglia.
Il servizio di buono taxi fu istituito per l’appunto come un surrogato del trasporto pubblico, in attesa che esso potesse effettivamente divenire accessibile a tutti. A tutt’oggi le barriere del servizio GTT sono ancora molto numerose. I disabili non possono, per questo, essere costretti a restare chiusi in casa.
Se è vero che oltre il 70% degli attuali utenti del servizio taxi usufruisce del medesimo per motivi sanitari (accompagnamento dializzati, riabilitazione fisiatrica ecc.), sarà opportuno coinvolgere nel finanziamento le ASL. Occorre giungere al più presto alla convocazione di un tavolo provinciale finalizzato ad armonizzare il trasporto dei disabili in tutti i Comuni almeno dell’area metropolitana. Attualmente esistono invece fortissime e inaccettabili differenze.
Si parla tanto di Europa unita, ma per un disabile, ad esempio di Venaria, oggi non è permesso recarsi a Torino in modo autonomo! Il medesimo discorso vale anche per tutti gli altri Comuni della Provincia [grassetti e corsivi nostri, N.d.R.]».

Insegna di un taxiNon ha tardato ad arrivare la replica della Consulta per le Persone in Difficoltà alla quale, naturalmente, diamo pure spazio.
«Ci preme precisare alcuni dettagli non eludibili sul servizio dei buoni taxi del Comune di Torino. Premettiamo che i problemi di cassa e di taglio ai bilanci non sono un’invenzione della Consulta per le Persone in Difficoltà, ma un problema politico che non si risolve stracciandosi le vesti.
La Consulta non ha mai chiesto – né intende chiedere – di applicare forme di ticket al trasporto dei disabili sui taxi: semmai di smetterla di ricomprendere nelle categorie dei disabili tutti coloro che oggi premono per accedere a questo fondamentale servizio, offerto, in questa forma, solo dalla Città di Torino.
Se è vero che più del 75% degli utenti è formato da anziani con patologie croniche, è evidente che il servizio taxi ha già smarrito la funzione principale per la quale era nato e cioè permettere alle persone con disabilità di conquistare il diritto alla mobilità nella sua accezione più ampia e completa: diritto a studiare, lavorare, incontrare gli altri, provvedere direttamente alla tutela delle proprie esigenze, compresa quella di curarsi.
Che oggi questo servizio stia diventando in larga misura “una navetta da e per i servizi di cura” è sotto gli occhi di tutti. In particolare di chi ha solo una corsa al mese (ed è già fortunato), per non parlare di chi aspetta per 15-18 mesi la visita medica necessaria ad accedere al beneficio. Un conto, dunque, è parlare di diritto alla mobilità, altro è parlare di diritto alle cure.
Questo stucchevole esercizio a chi ricorda meglio i diritti delle persone disabili, impedisce di concentrarsi sui cittadini più deboli, coloro cioè che sommano una condizione di disabilità ad una di povertà.
La CPD propone il ricorso a forme di contribuzione indiretta (sanità) o al limite a carico diretto (pazienti malati), quale misura indifferibile alla mobilità esclusiva per cure, prevedendo forme di esonero totale o parziale ai più bisognosi. Solo così il servizio dei buoni taxi potrà assolvere alla sua funzione principale.
Si coglie anche l’occasione di ricordare che la nostra Consulta, grazie ad un contributo della Città di Torino, da anni svolge il servizio di accompagnamento solidale per le persone disabili (Punto Pass-Rete 119). I nostri dati sono addirittura superiori a quelli del servizio taxi: più del 90% delle corse annuali è ormai riservato ai luoghi di cura.
Un argomento così delicato impone dunque riflessioni e analisi attente e ponderate. La sola concezione dei diritti – che conosciamo bene anche noi – non salverà il servizio taxi né garantirà quell’equità che ci sta a cuore.
La tesi in base alla quale “chi è già ammesso al servizio bene, per gli altri pazienza, tanto la colpa è del Comune”, noi non la condividiamo, non ci piace affatto. Certo, è un problema di risorse, ma anche di criteri di ammissione e di soluzioni concrete da attuare, perché c’è il rischio, tra breve, che ci venga a mancare il motivo per discutere e le responsabilità delle associazioni saranno allora evidenti.
La proposta di un tavolo di concertazione l’abbiamo già lanciata da tempo, ci fa quindi piacere che essa sia ora condivisa [grassetti e corsivi nostri, N.d.R.]».
(S.B.)

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