Ho sentito il mio cuore letteralmente sobbalzare, mentre il 16 ottobre scorreva il titolo Sotto sequestro l’Istituto Papa Giovanni di Serra d’Aiello, nell’edizione del TG regionale calabrese di Raitre. Finalmente un pizzico di giustizia, un po’ di dignità restituita a coloro che sono “ospiti” di quella struttura, sì “ospiti”, perché anche se molti di loro vi hanno vissuto l’infanzia, l’adolescenza, la maggiore età e anche oltre, lo stile di vita che continuano a subire non può certo farli definire “abitanti” o “padroni di casa”…
L’Istituto Papa Giovanni XXIII si trova a Serra d’Aiello, un piccolo paese della provincia di Cosenza che, stando ai dati Istat, nel 2001 contava 878 anime, 423 uomini e 455 donne. Il paese vive un rapporto di dipendenza con l’Istituto che offre lavoro a quasi tutti gli abitanti: non a caso viene spesso definito la “Fiat di Serra d’Aiello”.
Da molti anni sentiamo parlare di questa struttura, da quando ancora era gestita dal suo fondatore don Giulio Sesti Osseo. Da sempre la gestione si è presentata complessa e travagliata, innanzitutto per i grandi numeri che hanno accompagnato questa storia, con tanti ospiti e soprattutto tanti dipendenti, fino a raggiungere un rapporto di 1 a 3. Intorno al 1990, ad esempio, l’Istituto accoglieva circa 800 ospiti e 1600 dipendenti.
Non stiamo parlando di un hotel a 5 stelle, ma di un luogo tetro, di cameroni, di aria di abbandono, di reparti chiusi a chiave per non turbare la sensibilità di altri, di persone giovani e meno giovani con disabilità gravissima e meno grave provenienti da tutta Italia.
La prima denuncia arrivò alla FISH Calabria da un dipendente che, stanco di essere complice di una situazione insostenibile, si presentò alla nostra sede raccontando cosa accadeva in alcuni reparti. Ricordo che denunciava come gli ospiti fossero affetti da scabbia, sintomo preciso della precarietà igienica. Da quel momento quella persona abbandonò il posto di lavoro, ma non se la sentì di portare avanti la denuncia per vie legali perché aveva paura di possibili ripercussioni nei suoi confronti e nei riguardi della sua famiglia.
Quando poi nel 1996 don Giulio Osseo venne invitato ad abbandonare la struttura che a sua volta era stata commissariata, qualcosa fece sperare in un cambiamento. Erano partiti i lavori di ristrutturazione e alcuni ospiti erano stati inseriti in due villette di proprietà della struttura. Ricordo ancora l’inaugurazione: ambienti di buona qualità, con gruppi di dodici persone; ma era solo l’inizio di un processo che faceva ben sperare.
Circa due anni dopo, infatti, la gestione passò ad una fondazione ad hoc, sorta nell’ambito della Diocesi di Cosenza e venne nominato un pool di lavoro, con tanto di direttore amministrativo, direttore sanitario e così via. Nel frattempo i numeri degli ospiti cominciavano a diminuire e molti dipendenti vennero licenziati, al punto che a tutt’oggi le pendenze legali di questi ultimi costituiscono ancora una realtà irrisolta…
Ebbene, la nuova amministrazione ha dimostrato un’incapacità totale nel gestire la situazione ed è stata accompagnata da continue proteste dei dipendenti che vedendosi sfuggire le opportunità di lavoro e non ricevendo stipendi per lungo tempo, sono riusciti più volte – grazie anche al sostegno dei sindacati – a portare l’attenzione delle istituzioni sui problemi della struttura, sempre però con un fine ben preciso: l’intervento sull’Istituto per garantire la copertura finanziaria necessaria a continuare l’attività. Sbagliando quindi interlocutore, riversando cioè le responsabilità sulla Regione Calabria, pur sapendo che la proprietà dell’Istituto è della Diocesi di Cosenza.
Nelle manifestazioni di protesta, solo marginalmente si parlava della condizione di vita degli “ospiti” e soprattutto per dire che nonostante tutto loro «continuavano ad assisterli amorevolmente».
Sono andati così a vuoto – e talvolta anche attaccati – i tanti comunicati stampa prodotti dalla FISH Calabria, con i quali si cercava di riportare l’attenzione sulle persone ricoverate e sull’invito ad avviare un processo di deistituzionalizzazione, progettando abitazioni alternative che favorissero una migliore qualità della vita delle persone ricoverate.
Nel 2004 l’allora vescovo della Diocesi di Cosenza monsignor Giuseppe Agostino, presidente onorario della Fondazione, in occasione della Pasqua decise di visitare l’Istituto e arrivò senza preavviso. Egli rimase talmente sconvolto dalla situazione, da scrivere una lettera aperta alle istituzioni, definendo la struttura «una bestemmia sociale».
Anche don Agostino, però, sbagliava interlocutore. Egli, infatti, accusava la Regione Calabria di non provvedere, quando lui stesso era vescovo della Diocesi di Cosenza – proprietaria dell’Istituto -oltre che presidente onorario della Fondazione che lo gestiva…
Al di là comunque delle poche chiarezze gestionali e del balletto delle responsabilità, il grido d’orrore scaturito dalla lettera riportò l’attenzione sullo stato di abbandono in cui le persone non capaci di autotutelarsi vivevano tra quelle mura.
Il Vescovo organizzò la Via Crucis pasquale proprio all’interno dell’Istituto, invitando tutti i calabresi a partecipare. Un atto simbolico per rivivere la passione di Cristo tra quelle mura dove la sofferenza era palpabile e non solo perché la disabilità viene considerata una situazione di sofferenza in sé, ma per lo stato in cui le persone erano costrette a vivere a causa della loro condizione di disabilità.
La FISH Calabria partecipò con una propria rappresentanza a quella Via Crucis e personalmente visitai tutti i reparti “rubando” passaggi in ascensore al Vescovo.
Quel giorno era tutto in ordine, gli ospiti erano vestiti bene e si sentiva odore di pulito. Colpivano comunque le mura anonime, era tutto incolore e terribilmente vuoto, l’arredo dava il segno di un abbandono totale. La lettera del Vescovo, la Via Crucis riportarono i riflettori sul futuro dell’Istituto e già si parlava di possibile vendita.
In seguito ci sono state altre proteste, contrattazioni con la Regione Calabria, negoziazioni con possibili acquirenti, tavoli per studiare ipotesi di cambiamento, ma nulla di tutto ciò è andato a buon fine. In tutte le fasi, però, vi è stata un’assenza fondamentale: la rappresentanza dei diretti interessanti.
La FISH Calabria chiese di partecipare in rappresentanza delle persone con disabilità attraverso una lettera aperta all’assessore alla Sanità della Regione Calabria e al vescovo della Diocesi di Cosenza, ma la richiesta non venne ritenuta degna di risposta e la trattativa ancora in corso sta andando avanti nel modo più classico e prevedibile. Insomma, il “Nulla su di Noi senza di Noi” non fa parte di questa storia!
E arriviamo al 2 dicembre del 2005, quando, in occasione dei festeggiamenti per i dieci anni della FISH Calabria e in coincidenza con il 3 dicembre, Giornata Internazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità, una delegazione della FISH Nazionale e di quella della Calabria – con a capo i rispettivi presidenti Pietro V. Barbieri e chi scrive – si recò a visitare l’Istituto per manifestare alle persone ricoverate un senso di vicinanza e per constatare personalmente lo stato in cui erano costrette a sopravvivere. Alla delegazione si aggregò anche il senatore Nuccio Iovine che raggiunse sul posto i partecipanti a causa di un ritardo aereo.
Appena varcato il cancello della struttura, un tantino storditi dalla strada tortuosa che porta a Serra d’Aiello, fummo accolti dal silenzio e dal senso di tranquillità, sintomo di normalità. Dopo una manciata di secondi, però, il tempo di cominciare a scendere dalle macchine e lo scenario cambiò completamente. Mentre fuori iniziava un movimento di personale in camice bianco e di sguardi incuriositi che cercavano di capire cosa stesso succedendo, i presidenti della FISH e della FISH Calabria vennero invitati ad entrare nell’ufficio del vicedirettore sanitario che arrivò dopo una lunga anticamera da parte nostra.
Dopo avere ascoltato le motivazioni che avevano spinto i rappresentanti delle associazioni a visitare le persone “ospitate” nell’Istituto, il dirigente espose una serie di pretesti per motivare l’impossibilità di consentire la visita: la privacy, innanzitutto, e la mancata autorizzazione da parte del presidente, contattato telefonicamente dallo stesso vicedirettore e piccato per il fatto che la FISH non si fosse curata di avvisare i responsabili dell’Istituto del proprio arrivo.
E anche dopo un acceso confronto telefonico con la sottoscritta, il presidente continuò a negare la possibilità di accedere ai reparti. «Che l’evento fosse annunciato a mezzo stampa – dichiarò in quell’occasione – non giustifica la presenza della Federazione all’interno della struttura. Se la FISH avesse informato l’Istituto delle sue intenzioni per la Giornata Internazionale, il Giovanni XXIII sarebbe stato felice di collaborare, organizzando addirittura un concerto (!) in una sala dell’Istituto, ma stando così le cose l’accesso rimane negato».
Solo dopo l’arrivo del senatore Iovine nella delegazione, della quale facevano parte anche Tommaso Marino (FISH Calabria), Maurizio Ciccarelli (AISM – Associazione Italiana Sclerosi Multipla), Anna Petrone (UILDM – Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e il vicepresidente della FISH Nazionale Salvatore Nocera – ci consentirono l’accesso ad un piccolo reparto, in un’ala con tre letti per stanza, un bagno per ogni camera – inaccessibile – i letti sfatti e un odore sgradevole. Alla fine del corridoio una zona adibita ai pasti, che poco si differenziava dal resto del padiglione, non fosse che per i tavoli…
I degenti incontrati presentavano prevalentemente disabilità intellettive o relazionali e le persone con disabilità motoria che avevano avuto la sfortuna di arrivare a Serra d’Aiello mostravano (inevitabilmente) difficoltà relazionali.
Su sollecitazione di Iovine e di Nocera, il vicedirettore sanitario arrivò a “sbottonarsi” su alcuni dati significativi. «In passato l’Istituto è arrivato ad ospitare sino a mille persone – ci raccontò – per scendere ora alla sempre impressionante cifra di 371 “ospiti”; di questi, 170 sono della provincia, 111 del resto della Calabria e 90 provengono da fuori Regione, alcuni addirittura dalla Lombardia, la maggior parte da Campania e Sicilia. Molti ospiti della Provincia di Caltanissetta negli ultimi tempi hanno lasciato l’Istituto e sono tornati nella loro Regione in case famiglia».
«Per le opportunità di collocamento che offriva – ci disse ancora – in una terra dove la carenza di lavoro è atavica, l’Istituto ha rappresentato per molti anni un’importante risorsa per Serra d’Aiello e dintorni. Ma negli ultimi anni la situazione è precipitata e attualmente le persone impiegate nella struttura stanno aspettando di ricevere il 90% dello stipendio per le prestazioni effettuate dal dicembre 2004».
Difficile descrivere i volti dei delegati durante la breve visita, impossibile raccontare il silenzio all’interno del pulmino nel viaggio di ritorno verso Lamezia Terme, consci e storditi della situazione vissuta dalle persone che ci eravamo lasciati alle spalle…
Siamo quasi ai giorni nostri: nel mese di marzo del 2006, all’interno di un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dal sostituto procuratore Eugenio Facciola, c’è stato il primo blitz che ha visto indagate cinque persone, tra cui il presidente della Fondazione, per associazione a delinquere finalizzata alla truffa, appropriazione indebita e false fatturazioni. Un’indagine ancora tutta in corso.
Dopo il blitz di marzo, la Fondazione ha nominato nuovi amministratori ed è sempre più consistente – come da tre anni a questa parte – la volontà dei proprietari di vendere l’intero pacchetto, anche se le trattative non hanno ancora dato risultati.
Negli ultimi tempi è diventata sempre più concreta l’intenzione dell’assessore alla Sanità della Regione Calabria di incaricare l’Agenzia Sviluppo Italia della redazione di un progetto per l’Istituto, intenzione confermata in una conferenza stampa del 17 ottobre dove è emerso che l’incarico è già attivo. Entro novanta giorni, quindi, dovrebbe essere elaborato un piano di fattibilità del progetto che prevede l’acquisizione del patrimonio del Papa Giovanni XXIII da parte di una società mista, composta dalla stessa Sviluppo Italia e dall’ASL di Paola. A tal proposito, è già stata effettuata una visita dei tecnici di Sviluppo Italia presso la struttura.
Per tale operazione la Giunta della Regione Calabria, nell’ambito della ripartizione di alcuni fondi del programma straordinario di investimenti della sanità, ha previsto circa 15 milioni di euro.
Il 16 ottobre scorso, infine, il Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello è stato sottoposto a sequestro, decisione maturata in continuità con l’inchiesta avviata nei mesi scorsi dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Paola sulla gestione amministrativa della Fondazione cui l’Istituto fa capo.
Il sequestro della struttura non comporta la sospensione dell’attività, mentre su un altro versante va detto che gli inquirenti non escludono come l’operazione possa determinare un ampliamento delle ipotesi di reato sulle quali si sta già indagando a carico di cinque persone, tra cui l’ex presidente della Fondazione. Infatti, questa volta – finalmente – sarebbe stata focalizzata anche la situazione in cui vivono le persone ricoverate e dalle informazioni diffuse dai media si presuppone che sia stato ipotizzato il reato di colpevolezza e indifferenza.
Alcuni ricoverati sono stati sottoposti ad indagini sanitarie a campione e sembra che un risultato sia già emerso: la presenza della scabbia, una malattia che torna dunque alla ribalta dopo tanti anni e tante righe del nostro racconto, compagna nel viaggio della vita, sintomo del degrado in cui questi “ospiti” sono obbligati a vivere da troppo tempo.
E in ogni caso questa lunga storia non sarebbe completa, se non parlassimo anche delle visite improvvise di parlamentari o di consiglieri regionali che più volte hanno fatto scalpore, delle tante proteste degli operatori, sempre sostenute dai sindacati, a nome del diritto al lavoro o anche degli stessi scioperi della forza lavoro che pochi anni fa causarono il totale abbandono degli ospiti per alcune ore di una giornata.
Una storia infinita che sembra sempre arrivata al capolinea, ma che non finisce mai, destinata ad una sorta di “accanimento terapeutico sociale”, perché la Calabria, malata gravemente di disoccupazione, non può permettersi di perdere tanti posti di lavoro e di far fuori la “Fiat di Serra d’Aiello”. Una storia amara dalle responsabilità spesso confuse. Una storia di violazioni di diritti umani che non trova soluzioni.
Ora la nostra speranza è tutta riposta nell’inchiesta della Procura di Paola cui indirizziamo – come cittadini con disabilità – un sentito ringraziamento per aver riportato la lente d’ingrandimento sulle persone con disabilità ricoverate e sulle responsabilità.
Si parla di riconversione in un centro di riabilitazione moderno e adeguato, ma questo significherà ancora ricovero? E le persone attualmente ricoverate resteranno lì? E chi si sposterà per la riabilitazione in un paesino lontano molti chilometri dalle località più vicine? E i fondi finalizzati per sollevare l’Istituto cosa penalizzeranno? Se ci sono soldi extra da utilizzare perché non usarli per realizzare piccole strutture più umanizzate e fondate sui principi della vivibilità? Queste persone dovranno essere “ospiti a vita”? Non hanno il diritto di sentirsi a casa loro? Coloro i quali decidono e progettano si chiedono se per loro stessi una soluzione del genere andrebbe bene?
In questo senso intendiamo esprimere tutta la nostra più cocente delusione nei confronti dell’attuale Governo Regionale che continua a decidere la sorte dei ricoverati senza avvertire la necessità di confrontarsi con chi la situazione di disabilità la vive personalmente e può intervenire suggerendo soluzioni mirate finalizzate a restituire dignità e qualità di vita alle persone ricoverate.
La promessa del presidente della Giunta Regionale Agazio Loiero al Congresso della FISH Calabria del 4 aprile 2004, di attivare un tavolo di confronto con le associazioni di, con e per disabili, è caduta nel vuoto, nonostante il sollecito effettuato da una nostra lettera aperta del 7 marzo 2006. Peccato! Poteva essere una buona opportunità per ascoltare e accogliere valide e risolutive soluzioni.
Ma c’è anche una coda paradossale a questo racconto! Infatti, il 16 ottobre, sulla scia del blitz all’Istituto Papa Giovanni XXIII, il «Quotidiano della Calabria» ha titolato: Cirò Marina. Apre i battenti Villa S. Antonio. Inaugurata una residenza sanitaria con 200 posti letto.
Questo il testo dell’articolo: «Cirò Marina. Si chiama “Casa protetta Villa Sant’Antonio” quella che è stata inaugurata nei giorni scorsi. Casa protetta non significa casa di cura, ma una struttura a carattere residenziale che assicura trattamenti sanitari ad anziani e disabili, ma non solo. Può ospitare fino a 200 posti letto. “Noi non siamo un pronto soccorso ma una prima assistenza”, sono le parole del dottor Butuc Lilian, specializzato in chirurgia generale e riabilitativa, dirigente coordinatore e responsabile di tutti i servizi praticati nella megastruttura di cui è anche responsabile amministrativo. Stiamo parlando della gigantesca struttura che fu un sogno, oggi realizzato, del costruttore di Cirò Marina, scomparso recentemente, Giuseppe Anania. All’ingresso della struttura è molto evidente la sua immagine, una casa protetta di prima assistenza che è, secondo quanto riferisce il suo primo direttore e responsabile, Lilion [sic; prima citato come Lilian, N.d.R.] Butuc, una perla sicuramente per tutta la Calabria. In effetti la struttura è stata concepita in modo impeccabile e dopo vari anni di elaborazioni e contatti vari, ora ha visto la luce, ne sarà sicuramente molto soddisfatto Anania da lassù e speriamo solo che sia un grande trampolino di lancio per tutto il nostro territorio. Molto orgoglioso il tedesco Butuc, nel raccontarci la sua struttura; ne è molto orgoglioso in quanto sa di essere affiancato da un personale di tutto rispetto, personale medico e paramedico, che lui stesso ha voluto contattare, perché “solo con la qualità dei servizi che possiamo offrire – dice – possiamo sicuramente essere un grande punto di riferimento per tutta la sanità calabrese, e forse anche per quella italiana. La prima assistenza – ci spiega il responsabile – riguarda le cure riabilitative che si possono fare di fisioterapia, magnoterapia, funzione motoria; in questa struttura praticamente avremo i lungodegenti, i quali, dopo la presentazione medica fatta dal loro medico di famiglia, potranno accedere alla struttura che è convenzionata con la Regione Calabria; il medico curante accompagnerà il proprio assistito per tramite di una lettera nella quale descriverà dettagliatamente tutto il quadro clinico generale di sua conoscenza, successivamente noi effettueremo le nostre analisi, i nostri controlli generali, un check-up totale, per assicurarci della reale malattia degli assistiti che arriveranno”».
A questo punto la FISH Calabria intende chiedere lumi al direttore generale dell’ASL di Crotone, anche se si delinea sempre più chiaramente la strategia politica delle istituzioni regionali: per le persone con disabilità fabbrichiamo ghetti, moderni, lussuosi, “fiori all’occhiello”, ma pur sempre ghetti.
Ma il centrosinistra non aveva impostato tutta la propria campagna elettorale sulla partecipazione attiva dei cittadini? Forse mi sono persa qualche passaggio?
*Presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) della Calabria.
fishc@fishcalabria.org – www.fishcalabria.org.