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Rondolino, telefonaci!

Una vignetta spagnola dedicata ai reality showL’anno scorso la televisione olandese ha ottenuto ascolti molto alti (25% di share) grazie a Miss Ability, una trasmissione della durata di una sera, consistente in una gara di bellezza tra dodici sfidanti disabili.
Ne abbiamo già scritto in Superando.it, interpellando direttamente Fabrizio Rondolino, ovvero colui che ha comprato i diritti del format originale olandese per riproporre in Italia una versione simile, che dovrebbe diventare un reality show di circa otto puntate. Rondolino ci ha spiegato di trovarsi nella fase ideativa: prima ancora di cercare la televisione adatta a cui offrire il prodotto, deve infatti confezionarlo su misura per il nostro Paese e, non avendo familiarità con il tema, dà il benvenuto ad ogni consiglio che provenga dal mondo della disabilità.

Ci siamo rivolti allora a Pietro V. Barbieri, presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che mostra disponibilità e anzi si augura un coinvolgimento delle associazioni.
«La FISH accoglie in pieno l’appello – esordisce Barbieri – e ora ci aspettiamo di essere coinvolti. La sinergia tra associazionismo di settore e produzione televisiva è già collaudata in altri Stati europei a partire dall’Olanda».

A che cosa si riferisce esattamente?
«La televisione olandese dedica degli spazi alla disabilità, così come quella britannica. La gestione di questi spazi è affidata a dei produttori che dialogano con le associazioni nazionali di settore».

In Italia questo ancora non accade?
«Non ancora, ma anche da noi la televisione generalista sta entrando in crisi. Il modello unico non va più e ora si apre la ricerca di modelli diversi».

Miss Ability rientra in quest’evoluzione?
«Secondo me sì. La televisione generalista corrisponde alla sintesi di un mercato molto ampio e lo riassume scegliendo un modello di riferimento ideale che ha un riscontro bassissimo nella casistica reale. Mi spiego meglio: in televisione l’essere umano è per lo più rappresentato da un uomo di razza bianca, di età inclusa tra i venti e i quarant’anni, atletico, di solito di sesso maschile. Di persone così ce ne sono nella realtà, ma non siamo tutti così. Restano fuori, infatti, non solo le persone con disabilità, ma anche gli anziani, le donne, specie se non bellissime, e moltissime altre persone, la maggior parte. Quindi: la televisione generalista, che non riproduce la realtà ma tutt’al più un modello ideale invidiato da molti, non racconta la vita “normale”; le persone con disabilità, che ne fanno parte, restano perciò escluse.
All’interno di questo sistema, gli “esclusi” cercano di inserirsi guadagnando delle quote. Esattamente come funziona nel mondo del lavoro, dove un’impresa deve avere nel proprio organico una quota di soggetti svantaggiati, solo che in televisione si parla di quote di spazio dedicato. Miss Ability è una quota di spazio dedicato. Le persone discriminate entrano nella televisione a partire da una nicchia, ed è meglio che non entrare».

Perché questa formula ha avuto successo in Olanda?
Pietro V. Barbieri, presidente nazionale della FISH«Secondo me nell’Europa del Nord il fenomeno che ho cercato di descrivere è in atto ormai da un po’ di tempo e la popolazione lo sta assorbendo. La tendenza a riscoprire le nicchie è diffusa; in Olanda è pensiero condiviso che anche la più piccola comunità sia da rispettare e in Inghilterra, in questo Natale appena trascorso, si è evitato di esporre richiami religiosi tali da poter offendere la sensibilità islamica. In questi luoghi, dove la produzione televisiva è in grado di influenzare il pubblico e non solo viceversa, gli spettatori, già “educati”, mostrano curiosità, apertura e interesse verso trasmissioni come Miss Ability».

Dall’Italia cosa si aspetta?
«Ci sono dei buoni presupposti, o per lo meno è quello che spero».

Quindi nel dibattito sull’opportunità o meno di mandare in onda questo reality, lei si schiera tra i favorevoli?
«Sogno di vivere in un mondo in cui gli imprenditori valutino la professionalità della persona indipendentemente dal sesso, dal colore della pelle, dalla disabilità. Nel frattempo, però, mi trovo a vivere in una realtà diversa. Il meccanismo delle quote riservate, nel lavoro come in televisione, è già qualcosa. Una volta ottenute, occorre poi discutere della loro gestione e far sì che avvenga nel modo più corretto possibile. Per questo auspico un dialogo tra produttori televisivi e associazioni di settore».

Quali rischi corre il mondo della disabilità nell’essere rappresentato tramite il linguaggio di un reality show?
«Finora la televisione si è interessata della disabilità quando diventa eroismo (storie di atleti che nonostante la disabilità hanno vinto medaglie o attraversato l’Artico da soli, ad esempio) oppure quando scivola nel pietismo. È il solito discorso: vogliamo stare chiusi in casa oppure uscire e pretendere di vivere come tutti gli altri? Se noi disabili scegliamo la seconda opzione, dobbiamo anche accettare i rischi che ne conseguono, come quello di essere sfruttati, esattamente come già accade a tutti gli altri.
I reality non hanno tutti i crismi dell’inclusione perché ancora una volta tratteranno i disabili come gruppo a sé, non integrato, ma sono uno spazio da conquistarsi in prima serata. Accettiamolo. E poi discutiamo se si tratta o meno di buona comunicazione. Quello della comunicazione è un problema complesso della modernità, che certo non riguarda solo la rappresentazione delle persone con disabilità».

Che consigli potrebbe dare ai realizzatori?
«Il primo che mi viene in mente è che non vorrei che la premiazione fosse fatta dal primo ministro. Una cosa del genere non accade negli altri reality e non farebbe che aumentare la percezione della diversità. Quella del capo del Governo sarebbe una presenza troppo invadente. Se di concorso di bellezza si tratterà, lo farei premiare da Sophia Loren o da una Miss Italia, così come accadrebbe se le sfidanti non fossero disabili. L’orientamento generale, secondo me, dovrebbe essere di rendere la trasmissione il meno possibile esclusiva (cioè dedicata esclusivamente alla disabilità)».

*Presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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