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Ragusa: una sconfitta dell’integrazione?

Aula di scuolaUn fatto locale del quale si sono ampiamente occupate anche le cronache nazionali è quello avvenuto nella scuola media “Vann’Antò” di Ragusa, dove, per quasi una settimana, i genitori hanno deciso di non mandare più a scuola i propri figli, in una sorta di “sciopero bianco”, a causa di un tredicenne con disabilità intellettiva che avrebbe aggredito in diverse occasioni sia i compagni che i professori.

La notizia – dopo una denuncia fatta dalla madre del ragazzo, convinta che il “caso” fosse dovuto alle inadeguatezze interne alla scuola – è arrivata fino al Ministero della Pubblica Istruzione che ha dato subito disposizione al direttore scolastico regionale per la Sicilia di inviare un ispettore nella scuola ragusana, per trovare una soluzione che consentisse da una parte di non emarginare il ragazzo con disabilità, dall’altra di consentire il regolare svolgimento delle lezioni.

«In effetti – ha dichiarato Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) e vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) – il caso di questo ragazzo è delicato, ma evidentemente in questi mesi non sono state poste in essere da parte della scuola le azioni necessarie per accompagnare le esigenze sue e della classe, senza dover arrivare ad una protesta delle famiglie così clamorosa».
Un altro fatto importante ha poi rilevato Speziale, ovvero che «a prescindere dal grado e dal tipo di handicap, i ragazzi con disabilità possono sempre e comunque essere integrati nella classe. Si tratta soltanto di costruire un progetto individualizzato con operatori qualificati che certamente non abbiano come finalità quella di contenerlo o bloccarlo, perché ci sono una serie di tecniche e modalità che creano condizioni per cui qualsiasi ragazzo può essere ben gestito».
Né Speziale intende colpevolizzare le famiglie degli altri ragazzi, protagoniste dello “sciopero bianco”: «Non serve fare sensazionalismo, colpevolizzare quelle famiglie che hanno preso questa decisione perché hanno espresso comunque il loro legittimo disagio. L’unica via d’uscita a situazioni come queste, dunque, non può essere che quella di applicare le buone norme esistenti, di fare tanta formazione sia degli insegnanti curricolari che di quelli di sostegno e anche degli operatori addetti all’autonomia e all’accompagnamento. Soprattutto bisogna collaborare con le famiglie e le associazioni che più di ogni altro interlocutore possono anche in questi casi difficili – grazie alla loro esperienza – dare supporto e suggerimenti, cercando di arrivare ad una soluzione».

Ragazzi a scuolaA proposito di associazioni, non risulta ad esempio che la scuola abbia mai interpellato l’ANFFAS di Ragusa che avrebbe potuto certamente fornire indicazioni e supporto. E a nome di quest’ultima, la presidente Maria Iosa ha dichiarato appunto la «totale disponibilità della propria associazione a tutelare lo studente disabile, rendendosi altresì disponibile a collaborare con la famiglia e l’istituzione scolastica per l’individuazione di percorsi finalizzati al ripristino di un clima di serenità, quale condizione essenziale per un proficuo riconoscimento del programma personalizzato di cui certamente l’alunno necessita».

In ogni caso, ha concluso Speziale nel suo commento, l’unica risposta da non dare «dev’essere quella dell’allontanamento di quel ragazzo da quella scuola e da quella classe. La soluzione consiste invece nell’affrontare in modo intelligente la questione, garantendo a quell’allievo di frequentare quella classe insieme ai compagni». E invece…
Invece, dopo l’ispezione ministeriale nella scuola e una riunione in Prefettura, è stato notificato alla famiglia del ragazzo il provvedimento del Tribunale dei Minori di Catania che lo ha affidato ai servizi sociali, per essere successivamente destinato a una struttura specializzata che si occupi della sua educazione e assistenza.
In particolare, la decisione del tribunale ha stabilito «che si provveda ad individuare, d’accordo con la famiglia del ragazzo, una struttura socio-psico-educativa con appropriato supporto medico affinché il disabile venga costantemente seguito».
Ancora da stabilire le modalità del ricovero che verranno affrontate in un momento successivo. 

A questo punto a non starci è la famiglia del ragazzo che ha deciso di ricorrere alle vie legali, per impugnare il provvedimento.
«Il nostro ragazzo – ha affermato la madre Antonietta Grut Recchimurzo – ha una malattia che lo rende disabile e la sentenza fa riferimento invece a misure applicabili a “minori irregolari per condotta o per carattere”. E poi parla di un provvedimento deliberato in Camera di Consiglio alla presenza del minore, della madre e del difensore. Ma non è vero».
Non basta. Secondo la signora, «è dall’anno scorso che mio figlio è oggetto di provvedimenti tesi a discriminarlo e mortificarlo: dalla riduzione dell’orario scolastico al divieto di frequentare la scuola in occasione di particolari manifestazioni, nonché espulsioni. Invece nulla è stato deciso, ad esempio, nei confronti dell’insegnante che, alla presenza di due compagni e di un assistente, ha picchiato mio figlio, provocandone la violenta reazione. Nessun provvedimento è stato preso da una scuola che ha fallito nel suo compito istituzionale, non essendo capace di garantire il diritto all’educazione e all’istruzione di una persona con disabilità. Resto quindi sola con mio figlio che per molti, evidentemente, è solo un problema».

Accuse gravi che sembrano avallare quanto ancora Speziale aveva dichiarato, subito dopo la diffusione della notizia da parte degli organi di informazione: «Sicuramente l’Italia ha la migliore normativa relativamente alle politiche di inclusione scolastica, ma penso che il nostro Paese stia fortemente regredendo da un punto di vista culturale, con una strisciante e subdola presenza di atteggiamenti molto discriminatori e anche all’insegna di un certo “razzismo”, pur se detto tra molte virgolette. Quest’ultimo termine è certamente forte, ma credo che, guardando a questo caso, lo possiamo utilizzare: infatti, ancora una volta si vuole relegare la disabilità, soprattutto quella intellettiva e psichica, ad una condizione di emarginazione e segregazione».
Ebbene, sembra proprio che sia questa la conclusione della storia, almeno per il momento, in attesa di seguirne gli ulteriori sviluppi.
(Stefano Borgato)

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