«Sono la mamma del ragazzo con disabilità che con provvedimento del Tribunale dei Minori di Catania, il 31 gennaio scorso, e a seguito di una riunione svoltasi in Prefettura e alla presenza del Prefetto e dei Dirigenti Scolastici, del Servizio Sociale del Comune, del Sindaco e del Responsabile del Servizio di Neuropsichiatria Infantile, è stato interdetto dalla possibilità di frequentare la scuola».
Inizia così l’amara lettera indirizzata al Direttore Generale dell’AUSL di Ragusa da parte della madre di quel tredicenne con disabilità psichica della Scuola Media “Vann’Antò”, dove, per quasi una settimana, i genitori avevano deciso di non mandare più a scuola i propri figli, in una sorta di “sciopero bianco”, a causa delle presunte aggressioni del ragazzo nei confronti dei compagni e dei professori.
Ragusa: una sconfitta dell’integrazione? era il titolo che avevamo scelto per parlare della vicenda e gli sviluppi sembrano purtroppo, almeno per il momento, confermare tutti i nostri timori. Infatti, come denunciano le associazioni del territorio (Icaro di Ragusa, ANFFAS – Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale di Modica, AIFA – Associazione Italiana Famiglie ADHD di Ragusa, Vo.S.Di – Volontari Sostegno Disabili di Ispica e Lega Arcobaleno di Ragusa e Ispica), «con l’allontanamento dalla scuola del ragazzo disabile di Ragusa è stata sconfitta non solo la nostra Costituzione, ma la stessa Convenzione sui Diritti dell’Uomo. La determinazione di escluderlo, dopo i reiterati provvedimenti oggettivamente mirati a questo obiettivo, costituisce infatti una vergognosa violazione di tutte le norme in materia di integrazione degli alunni con handicap e rappresenta il fallimento dell’istituzione scolastica e dei servizi sociali e sanitari a sostegno della scuola».
«A carico di mio figlio – ricorda ancora la madre nella sua lettera – era stata data l’indicazione per il collocamento in un istituto psicopedagogico, dove poter ricevere “protezione per sé e cure farmacologiche e psicologiche”, previa formulazione di precisa diagnosi e di prescrizioni aggiornate di terapie farmacologiche. Ebbene, sono trascorse quasi quattro settimane e mio figlio ancora oggi è a casa, si vergogna di uscire, dopo avere appreso dagli organi di stampa di essere “un soggetto pericoloso”».
Una situazione, quindi, del tutto inaccettabile, che in questo momento vede il giovane in una vera e propria situazione di isolamento sociale, con aspetti talora “grotteschi”, come sottolineato dalla madre del ragazzo: «Mio figlio per molto tempo è stato in carico del Servizio di Neuropsichiatria Infantile di Ragusa e mi chiedo quindi come sia possibile oggi pormi la domanda di ricoverarlo presso strutture specialistiche per certificare una diagnosi e quindi un trattamento adeguato alla sua patologia. Ma la legge italiana prevede realmente l’integrazione delle persone con disabilità oppure solo l’esclusione e l’emarginazione sociale?».
Un quesito più che lecito, in un quadro di «discriminazione diretta e indiretta, sia da parte della scuola che dei genitori firmatari della lettera in cui essi denunciavano l’intollerabile situazione determinata a loro dire dalla frequenza di quel ragazzo», come ricordano le già citate associazioni. «Tutto ciò sembra ricondurre ad una mentalità di tipo manicomiale, in cui il “diverso”, specie se ritenuto aggressivo, dev’essere subito rinchiuso».
Né si è ritenuto opportuno – vale la pena segnalarlo – di valutare la piena disponibilità a sostegno del ragazzo, da parte dell’Ente Pubblico Assistenziale ASSAP Busacca, operante sul territorio della Provincia di Ragusa, che attraverso il proprio personale specializzato e qualificato, si era offerto di concertare con l’Assessorato Regionale alla Famgilia le migliori soluzioni possibili per impedire ogni forma di discriminazione sociale.
A questo punto, mentre la mamma del giovane pretende una risposta risolutiva da parte del Direttore Generale dell’AUSL, le associazioni locali intendono costituirsi parte civile, «a difesa del leso diritto allo studio e ad una piena integrazione sociale dell’alunno e a salvaguardia dei diritti di tutte le persone con disabilità, riservandosi di valutare un’analoga azione nei confronti di quelle istituzioni (scuola, servizi sociali comunali, servizi sanitari) delle quali emergessero responsabilità dirette nella gestione della vicenda».
(S.B.)