Numerose, in questi anni, sono state le occasioni in cui l’ANFFAS Nazionale (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) ha posto in risalto le problematiche connesse alla compartecipazione al costo dei servizi per la persona.
Un tema, questo, estremamente importante soprattutto nell’ambito dei servizi socioassistenziali e del processo, in atto, di un’integrazione sempre maggiore anche dei servizi sociosanitari. Qui si assiste, non di rado, ad un tentativo di discarico da parte delle strutture sanitarie verso i Comuni i quali, non avendo a loro dire le risorse necessarie, tentano a loro volta di scaricarne per intero i costi sulle famiglie. Abbiamo notizia, ad esempio, di richieste di compartecipazioni per la frequenza di centri diurni di oltre 50 euro al giorno.
Oltremodo grave è altresì il fatto che la maggioranza dei Comuni, in varie parti del territorio nazionale, nel determinare l’entita della suddetta compartecipazione al costo delle prestazioni sociali agevolate (ossia non rivolte alla generalità dei cittadini), da parte degli utenti con disabilità grave, facciano riferimento alla situazione economica dell’intero loro nucleo familiare attraverso l’ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente) e non già alla condizione economica della sola persona con disabilità.
I Comuni, dunque, non stanno applicando quanto previsto dall’articolo 3, comma 2 ter del Decreto Legislativo 109/1998, come introdotto dall’articolo 3, comma 4 del Decreto Legislativo 130/2000, trincerandosi dietro al fatto che mancherebbe, per la piena attuazione della normativa vigente, l’emanazione di un DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) di attuazione che fissi le relative differenti modalità di calcolo del reddito rispetto all’ISEE.
E tutto ciò nonostante che da una parte numerosi Difensori Civici – a tal fine interpellati dai singoli interessati – si siano pronunciati in modo positivo rispetto a quanto sempre sostenuto dall’ANFFAS e che dall’altra il Garante della Privacy abbia giudicato come illegittimo il comportamento di quei Comuni che, in contrasto con la normativa vigente, richiedono dati relativi all’intero nucleo familiare e non invece solo quelli della persona con disabilità.
A fronte del permanere di tale situazione, fortemente vessatoria e discriminante, volta a scaricare sulle famiglie (come normalmente succede…) tutto il cosiddetto “carico di cura”, anche dal punto di vista economico, l’ANFFAS Nazionale, legittimata ad agire in quanto Associazione di Promozione Sociale, insieme all’ANFFAS della Sicilia e con il prezioso apporto degli avvocati Giuseppina Floriana Pisani e Francesco Marcellino del Foro di Catania, ha deciso, in uno specifico caso, di perseguire anche la via giudiziale.
La vicenda ha preso avvio da una segnalazione all’ANFFAS di Palazzolo Acreide da parte di un gruppo di famiglie della Provincia di Siracusa, dopo che i loro Comuni di appartenenza, compresi nel Distretto Socio Sanitario D48, avevano previsto nel proprio regolamento che si accedesse e compartecipasse al servizio, facendo riferimento al reddito dell’intero nucleo familiare e pertanto con una compartecipazione al costo maggiormente onerosa rispetto a quanto dovuto, prevedendo addirittura l’ipotesi di esclusione dal servizio della persona con disabilità.
Ebbene, il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) di Catania, con la Sentenza n. 42/2007, riconoscendo la piena legittimazione dell’ANFFAS Nazionale ad agire in giudizio, quale «portatrice degli interessi delle persone con disabilità e delle loro famiglie» e accogliendo totalmente la tesi giuridica posta alla base del ricorso, si è recentemente pronunciato nel modo seguente: «La situazione economica del solo assistito […] può essere direttamente applicata, anche a prescindere dalla mancata adozione del DPCM […], trattandosi di prescrizione immediatamente precettiva, che non necessita di disposizioni attuative di dettaglio. […] per la determinazione delle fasce dei reddito […] ai fini della determinazione delle modalità di contribuzione al costo delle prestazioni [socio sanitarie integrate] bisogna tener conto della situazione economica del solo assistito [il disabile grave] e non della situazione reddituale del nucleo familiare dell’utente».
Per effetto di tale pronuncia, quindi, il TAR ha annullato il Regolamento del Distretto Socio Sanitario D48 di Siracusa, nella parte confliggente con la norma sopra richiamata.
Questa importante sentenza, ovviamente, produce i propri effetti “diretti” e immediati solo nei confronti del regolamento in questione, dei diretti interessati che hanno agito in giudizio, nonché di tutti i cittadini che rientrano nell’ambito territoriale di applicazione del regolamento stesso, ma, a nostro avviso, costituisce anche un elemento fondamentale al fine di rendere pienamente esigibili i nostri diritti, anche ricorrendo all’opera del’interpretazione giurisprudenziale.
Abbiamo perciò motivo di ritenere che questa sentenza rappresenti, proprio per la chiarezza delle motivazioni addotte dai giudici del TAR di Catania, un importante precedente che potrà essere utilizzato da tutti, per sostenere con maggior forza le nostre ragioni avverso atti amministrativi simili a quello di Siracusa, fungendo anche da monito per tutte le amministrazioni che stiano perseverando nell’illegittima interpretazione della citata normativa.
A tal fine è opportuno ricordare la posizione dell’ANFFAS sulla materia, riassumibile in quattro punti fondamentali:
1) non “pretendiamo”, ad ogni costo, la gratuità dei servizi;
2) laddove è prevista una compartecipazione, la stessa deve avere natura “simbolica” e “sostenibile”;
3) occorre sempre garantire che una congrua parte del reddito rimanga a disposizione della persona e della famiglia, per le proprie primarie esigenze di vita e di autonomia;
4) in caso di connotazione di gravità, si deve fare riferimento al solo reddito della persona con disabilità.
Soddisfazione sulla vicenda, infine, è stata espressa anche da Gabriella d’Acquisto, presidente dell’ANFFAS Sicilia, la quale, commentando la Sentenza del TAR, ha dichiarato: «Sia la posizione del Legislatore che quella del Giudice – fatte proprie dall’ANFFAS – dimostrano che è necessario contemperare il dovere del “contributo di solidarietà”, con cui ogni cittadino è chiamato a concorrere ai costi di prestazioni socio-sanitarie, di carattere evidentemente simbolico, con le esigenze inderogabili delle famiglie perché se, come dice l’ANFFAS, “ogni disabile è nostro figlio”, un figlio è e resta tale “per sempre”, ogni giorno e ogni giorno per sempre occorre far fronte alle sue esigenze e necessità».
*Presidente nazionale ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).