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Una proposta di legge per l’uguaglianza tra le associazioni

Immagine che simboleggia la legge e la giustiziaDi particolare interesse e rilevanza – oltreché destinata a far discutere – appare la Proposta di Legge presentata il 2 maggio scorso dal deputato dell’Italia dei Valori Federico Palomba, riguardante Disposizioni per l’eguaglianza tra le associazioni costituite per la rappresentanza e la tutela delle persone affette da minorazioni, nonché istituzione della Consulta Nazionale per il superamento dell’handicap.

Diamo spazio integralmente, qui di seguito, alla presentazione esposta alla Camera dall’onorevole Palomba, ritenendo che essa – al di là di ogni commento – costituisca il modo migliore per spiegare bene di cosa si stia parlando e per aprire un utile dibattito su tale iniziativa.
Il Progetto di Legge consta esattamente di sette articoli, dei quali si può consultare il testo integrale cliccando qui.

Proposta di Legge d’iniziativa del deputato Palomba
Disposizioni per l’eguaglianza tra le associazioni costituite per la rappresentanza e la tutela delle persone affette da minorazioni, nonché istituzione della Consulta nazionale per il superamento dell’handicap

Presentazione del 2 maggio 2007

«Il mondo dell’associazionismo impegnato nel campo dei diritti delle persone con disabilità, negli ultimi quaranta anni, è venuto arricchendosi di un numero sempre crescente di nuovi soggetti. Ciò è stato frutto di una maggiore specializzazione delle associazioni nelle problematiche delle specifiche tipologie di minorazione e dell’integrazione delle persone con disabilità nei diversi ambiti della vita sociale.
Questo ha fatto sì che le nuove associazioni si siano sempre più venute differenziando dalle cosiddette “associazioni storiche” operanti nel settore degli invalidi, sorte prima o subito dopo la seconda guerra mondiale che, in base alla cultura socio-politica del tempo, erano “associazioni di categoria”, cioè associazioni di ciechi, sordi, invalidi civili, invalidi del lavoro, invalidi per servizio.
Tali associazioni hanno svolto, soprattutto nel dopoguerra, un grande ruolo di promozione dei diritti assistenziali degli “invalidi”, allora emarginati anche economicamente, oltre che civilmente, dalla società.

Ma, a partire dagli anni ’60, quando, accanto ai bisogni materiali, le persone con disabilità cominciarono a rivendicare anche i diritti civili all’eguaglianza e alla non discriminazione in tutti i campi della vita, a partire dall’inserimento nelle ordinarie strutture scolastiche, a quelle delle normali organizzazioni lavorative, sino a quelle del tempo libero, culturali e del turismo, le persone con disabilità e i loro familiari cominciarono a sentire il bisogno di organizzarsi liberamente in forme nuove e più specifiche.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità superava la vecchia logica “della invalidità” per distinguere culturalmente le minorazioni dall’invalidità e dall’handicap.
Anche il Legislatore ha fatto propri questi nuovi concetti. Così il Parlamento ha approvato nel 1992 la legge n. 104 sui diritti delle persone “handicappate”, che giuridicamente sono entità diverse dagli “invalidi”, tanto è vero che, accanto all’accertamento dell’invalidità civile, della cecità e della sordità, effettuato ai fini del diritto all’assistenza sociale secondo i princìpi della legge n. 118 del 1971, la legge n. 104 del 1992, all’articolo 4, ha introdotto una nuova commissione per l’accertamento dell’handicap, i cui risultati producono effetti giuridici distinti e diversi da quelli dell’accertamento dell’invalidità.
I nuovi orientamenti culturali si erano manifestati già prima, quando il decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 aveva riveduto le funzioni delle “associazioni storiche”, abrogando le norme che conferivano loro funzioni pubbliche nel campo dell’assistenza agli invalidi, togliendo loro la configurazione di soggetti pubblici e consentendo che continuassero a vivere come soggetti di diritto privato.
Queste associazioni però avevano mantenuto nei loro statuti le funzioni di tutela e di rappresentanza dei propri iscritti e premevano per poter estendere tali poteri a tutti gli invalidi, suddivisi nelle tre categorie dei ciechi, dei sordi e degli invalidi. Ciò, malgrado fossero dei soggetti di diritto privato, permise loro di ottenere norme “singolari ed eccezionali” di favore che consentivano ai loro rappresentanti di sedere nelle commissioni per l’accertamento dell’invalidità e per l’assunzione lavorativa obbligatoria e di accedere a copiosi finanziamenti pubblici per “lo svolgimento delle loro finalità associative”, per la stampa anche in nero per i non vedenti, per la formazione professionale eccetera.

Tutto ciò ha determinato a loro favore una “posizione dominante” nel campo dell’associazionismo. Infatti i membri delle altre associazioni, quando erano sottoposti alle visite collegiali per l’accertamento dell’invalidità e per il collocamento obbligatorio, si trovavano e tuttora si trovano di fronte i rappresentanti delle “associazioni storiche”, componenti delle commissioni. È facile intuire la situazione di svantaggio in cui si trovano le altre associazioni e i loro soci, specie se tali associazioni si trovano in conflitto con quelle “storiche”.
La “posizione dominante” dovuta alla particolare normativa di favore e ai copiosi e crescenti finanziamenti pubblici ha fatto sì che le “associazioni storiche” aumentassero sempre il numero dei loro iscritti, alcuni dei quali si sono trovati iscritti d’ufficio, quali soci, al termine delle visite collegiali, senza neppure rendersene conto.

La situazione italiana è anomala rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea, dove non si riscontra in nessuna associazione una concentrazione di potere come quella delle “associazioni storiche”.
Si pensi che, nonostante la legge n. 675 del 1996 sulla tutela dei dati personali, e il successivo codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003, le “associazioni storiche” continuano a pretendere dalle commissioni per l’accertamento dell’invalidità i dati personali di quanti si sottopongono a visita collegiale, avvalendosi del disposto dell’articolo 8, quarto comma, della legge n. 118 del 1971, sulla cui legittimità il Garante per la protezione dei dati personali ha avanzato serie perplessità.

Per le ragioni esposte, la presente Proposta di Legge intende ristabilire la parità giuridica di tutte le associazioni operanti nel campo della disabilità, rimuovendo le anomalie normative che distorcono il settore dell’associazionismo, in quanto esse “forzatamente” inducono i cittadini a rivolgersi alle associazioni che godono di tutti i poteri e a divenirne soci.
La presente Proposta di Legge, inoltre, mira a risolvere democraticamente il problema dell’interlocuzione politica delle numerosissime associazioni, prevedendo l’istituzione della Consulta nazionale per il superamento dell’handicap, composta dai rappresentanti delle associazioni di e per disabili e dalle loro aggregazioni.

La Proposta di Legge è stata formulata nel pieno recepimento dei valori sanciti dalla legge 7 dicembre 2000, n. 383, sulla disciplina delle associazioni di promozione sociale, che, all’articolo 1, comma 1, “riconosce il valore sociale dell’associazionismo liberamente costituito e delle sue molteplici attività come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo; ne promuove lo sviluppo in tutte le sue articolazioni territoriali, nella salvaguardia della sua autonomia; favorisce il suo apporto originale al conseguimento di finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca etica e spirituale”, in attuazione degli articoli 2, 3, secondo comma, 4, secondo comma, 9 e 18 della Costituzione.
Se ancora ce ne fosse bisogno, la citata legge n. 383 del 2000 ha posto ancora di più in rilievo l’incostituzionalità delle norme vigenti che hanno conculcato il principio costituzionale del libero associazionismo, determinando di fatto un monopolio di rappresentatività in capo a organismi privati, seppure meritevoli sotto diversi profili per le attività sinora svolte.
I tempi sono maturi, e, come si è visto, il Legislatore ne è pienamente consapevole, per “liberalizzare” un mondo che è cambiato moltissimo dal dopoguerra a oggi e che ha bisogno di una nuova, diversa e più ampia rappresentatività che esprima in maniera più democratica la complessa società in cui viviamo, portatrice di interessi e di tutele più ampi e più ricchi di specificità».

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