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L’integrazione oltremanica e da noi: problemi diversi

Ragazzino in carrozzina con compagno di scuola non disabileSecondo quanto riferisce un rapporto del Bow Group, uno dei più antichi e influenti think tank del centrodestra inglese – ovvero un organismo che si occupa di analisi delle politiche pubbliche – la spinta negli ultimi anni del governo britannico per l’inclusione degli alunni con bisogni speciali nella “scuola di tutti” (che in Italia, lo ricordiamo, è tale dal 1977), oltre alla contemporanea chiusura di molte scuole speciali, avrebbe costretto un gran numero di famiglie ad afferire alle costose scuole private, dalle rette praticamente inaccessibili.
Lo riferisce in internet il giornale «Guardian», che oltre a far riferimento in particolare a casi di dislessia e di sindrome di Asperger, riporta anche la specifica vicenda di una madre battutasi a lungo prima di affidare ad una scuola privata il figlio Oliver, 12 anni e una grave difficoltà di linguaggio, apprendimento e capacità di memorizzare.
«La signora Stone – riporta il “Guardian” – ha dichiarato che il Consiglio del Surrey aveva riconosciuto che suo figlio avesse bisogno di terapie per la parola e il linguaggio, per poi comunicarle che non erano disponibili da nessuna parte».
Da quando dunque è approdato alla scuola privata (la More House School di Farnham), Oliver «è completamente un altro bambino, è felice e la sua autostima è aumentata. Ma dobbiamo rinunciare alle vacanze di famiglia, ad andare a mangiare fuori, a fare un giro a Londra, ho smesso di comprarmi vestiti. A scuola lo accompagno io, 120 miglia al giorno…».
E i costi? Ebbene, oggi la signora Stone è riuscita ad ottenere dalle autorità locali il 50% della retta, ma la maggior parte dei genitori di ragazzi che frequentano la More House devono pagare le tasse di frequenza completamente di tasca loro, per una cifra che può arrivare sino a 21.000 sterline (poco più di 29.000 euro).
Secondo Julie Maynard, il cui figlio è portatore di disabilità multiple, «il settore privato inglese offre certamente classi più piccole e supporto individuale, ma i genitori che vi possono fare affidamento devono avere un buon reddito, considerando che la media annuale di questi istituti può tranquillamente superare le 16.000 sterline l’anno
[circa 23.000 euro, N.d.R.]».

In quale modo commentare queste notizie da un angolo visuale come quello italiano, dove le scuole speciali non esistono più ormai da trent’anni e dove però “la scuola di tutti” non è certo sempre realizzata al meglio?
Cediamo la parola per questo a Salvatore Nocera, vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), uno dei maggiori esperti nazionali in questo settore.
(G.G. e S.B.)

Pur conoscendo poco la situazione delle scuole inglesi e delle risposte fornite ai bisogni educativi speciali, mi sembra che nel citato articolo del «Guardian» si denunci in sostanza la riduzione di fondi o la chiusura di scuole speciali pubbliche, per una serie di alunni e la necessità delle famiglie di rivolgersi a scuole private, con conseguente esborso di forti somme.
Alunna con disabilità in aulaVa detto subito che in Italia questa situazione è, almeno sino ad ora, impossibile, per tutto quanto dirò. Per altro va precisato anche, in riferimento agli alunni con dislessia, che questi ultimi, almeno sino ad oggi, non vengono considerati con disabilità certificata e quindi non godono dei diritti per i quali vale la normativa sull’integrazione scolastica.

In Italia gli alunni con disabilità certificata hanno diritto a notevoli risorse di carattere didattico – fornite dall’amministrazione scolastica – educativo – fornite dagli Enti Locali – e sanitario, fornito dalle ASL. Ciò è pienamente previsto dalle norme nelle scuole statali (Legge 104/92) e nelle scuole private paritarie (Legge 62/00). Quando queste leggi non vengono rispettate, le famiglie si rivolgono alla Magistratura, anche costituzionale, che ha assicurato il diritto allo studio anche contro la volontà di riduzione della spesa pubblica da parte dei diversi Governi. Un fenomeno, questo, di cui si è parlato frequentemente anche da queste colonne.

Per quanto riguarda in particolare le scuole paritarie italiane, esse godono di contributi per tutti gli alunni e di alcuni aggiuntivi per quelli con disabilità. La già citata Legge 62/00 sulla parità scolastica prevede però espressamente l’obbligo di queste scuole di parificarsi in tempi brevi a quelle statali in tutto e per tutto. E tuttavia, dopo quasi otto anni dall’emanazione della Legge 62/00, ancora le scuole paritarie non si sono pienamente uniformate a quelle statali, ad esempio nel numero massimo di alunni per classe, nell’assegnazione dei docenti per il sostegno e nell’assicurare l’assistenza igienica a questi alunni da parte dei collaboratori e delle collaboratrici scolastiche.
Le scuole paritarie cattoliche godono poi di un’ulteriore opportunità. In molte diocesi, infatti, è stato costituito un fondo proveniente dall’otto per mille, destinato proprio a sostenere finanziariamente l’integrazione scolastica, anche se spesso i dirigenti di tali scuole disconoscono tale possibilità, che i genitori debbono sollecitare.

Ragazza in carrozzina con compagni di classe non disabiliCerto, i crescenti tagli alla spesa pubblica stanno producendo norme che, oltre a ridurre alcuni sprechi nell’integrazione nelle scuole statali, riducono effettivamente il diritto allo studio degli alunni con disabilità.
Lo scorso anno, ad esempio, la Legge Finanziaria 296/06 ha innalzato il numero degli alunni nelle classi, ivi comprese quelle frequentate da alunni con disabilità, mentre quest’anno l’articolo 2, commi 420 e 421 della Legge Finanziaria 244/07 ha posto un tetto massimo al numero di insegnanti da nominare per il sostegno.
Tale provvedimento, se non sarà immediatamente affiancato da norme contrattuali con i sindacati per rendere obbligatoria la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti curricolari sulla didattica per l’integrazione, rischia di cadere sotto la mannaia della Corte Costituzionale, perché senza una seria presa in carico da parte di tutti i docenti della classe, ridurre le ore di sostegno equivale ad isolare e ad emarginare gli alunni con disabilità.

Se si dovesse dunque continuare sulla strada di ulteriori tagli alla spesa per l’integrazione, senza una contemporanea politica di rilancio della qualità della stessa, anche in Italia potrebbe svilupparsi la tentazione di iscrivere i propri figli alle scuole paritarie, allettati da una maggiore attenzione personale e dai finanziamenti pubblici, anche se non pari al 100% a quelli delle scuole statali.
Se dovessimo però ridurci a tanto, suppongo che potrebbe aver luogo una ribellione in massa delle famiglie, tramite ricorsi giurisdizionali a tappeto su tutto il territorio nazionale, perché non siamo disposti a svendere quelle che sono state le conquiste di tanti decenni di ricerche didattiche, di studi pedagogici e di battaglie giuridiche.

Il citato articolo del «Guardian», in versione integrale inglese, è disponibile cliccando qui.

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