L’intervento di Giorgio Genta pubblicato nei giorni scorsi con il titolo La sintesi (im)possibile, ha suscitato una serie di reazioni da parte dei lettori di Superando.it attenti al tema della disabilità gravissima.
Diamo subito spazio, quindi, a una risposta che abbiamo ricevuto in questo senso da Mario Caldora il quale, in questo modo, riconosce il nostro sito come una sede adatta per approfondire un confronto e una discussione molto importanti e che, dal suo punto di vista, sono ancora alle fasi iniziali.
Sono il padre di Chiara, e la prima riflessione che mi viene in mente in merito alla necessità di operare una sintesi tra le varie posizioni che emergono dal dibattito sulle persone con disabilità gravissima, è che forse non è ancora il momento di tentare una sintesi. Ritengo, infatti, che siamo ancora all’analisi, la quale deve necessariamente passare attraverso alcuni approfondimenti fondamentali.
Fino a ieri non avevamo sentito la necessità di “lacerare” la differenza tra disabilità grave e disabilità gravissima. Forse non ne avevamo avuto neanche il tempo, travolti dalle continue emergenze e dalle difficoltà, o nella convinzione che tutto fosse ovvio. Oggi la nostra vita, quella che Giorgio Genta ha saputo abilmente descrivere con brillante ironia nell’invito rivolto a Walter Veltroni da questo stesso sito [E qualche volta pensa anche a noi, caro Walter!, ndr] – in cui tutti ci siamo inequivocabilmente riconosciuti – sembra essere stata da noi stessi accettata come normalità, la “nostra normalità”.
Senza timore né intenzione di sollevare una sterile guerra fra poveri, quindi, proprio perché non ci sono né privilegi né primati da mettere in discussione, ritengo che questa potrebbe essere un’occasione irripetibile per far luce su una realtà che forse è così evidente solo a noi che la viviamo.
Cominciamo ad analizzare – quindi – la dimensione della gravità, partendo dal presupposto che anche la medicina legale classifica allo stesso modo la disabilità grave e quella gravissima, comprimendo nella medesima percentuale di gravità – la massima, il 100% – tutti i disabili con difficoltà motorie, da quelli in carrozzina fino a quelli che sono allettati e in coma. E in questa vasta gamma di disabilità possibili sono comprese, senza alcuna discriminazione, tutte le pluriminorazioni.
Non possiamo ignorare, tuttavia, il contesto socio-culturale nel quale stiamo vivendo e non possiamo non considerare che, in fondo, la nostra è la prima generazione che ha avuto la possibilità e la capacità di sottrarre il destino dei propri figli alla cruda realtà dei cosiddetti “istituti specializzati”, per portarli invece nelle scuole, nei supermercati e persino in vacanza.
D’altra parte, siamo solo all’inizio di un processo teso a portare all’attenzione della società l’esistenza di un soggetto sociale nuovo, con le sue esigenze, le sue emergenze, le sue giuste istanze, il quale non vuole più vivere recluso.
Oggi, in pratica, ci stiamo accorgendo che il fondo scala dello strumento di misura della disabilità ha bisogno di essere “riproporzionato”, per rendere più visibile la percezione della disabilità gravissima e quindi rendere anche più corretta la sua misura.
Il nostro compito, non facile per la delicatezza che richiede, ma non impossibile (abbiamo superato ben altre difficoltà), deve essere dunque quello di coinvolgere l’opinione pubblica in questo dialogo, SUPERANDO quelle barriere culturali che anche in queste occasioni non verranno certamente a mancare.
E’ anche da queste riflessioni – noi pensiamo – che dobbiamo partire per ragionare.
*Responsabile del Comitato per il Diritto all’Assistenza “Cinzia Fico”