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«Pagare il giusto»: la Convenzione comincia a fare scuola

Donna in carrozzina entra da una portaIl Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) di Brescia, con la Sentenza n. 350 del 2 aprile 2008, ha accolto i ricorsi proposti dall’ANFFAS di Brescia ONLUS e da numerose famiglie, annullando i regolamenti che disciplinavano la compartecipazione al costo dei servizi CSE (Centro Socio-Educativo), CDD (Centro Diurno per Persone con Disabilità) e SFA (Servizio di Formazione all’Autonomia) dei Comuni di Cellatica, Gussago e Ome e dell’Assemblea dei Sindaci del Distretto Sociosanitario 2 dell’ASL di Brescia (comprendente anche i Comuni di Ospitaletto, Rodengo-Saiano, Castegnato, Travagliato, Berlingo, Torbole-Casaglia, Castelmella e Roncadelle).

Sono ormai più di dieci anni che le persone con disabilità e le loro associazioni si stanno battendo per “pagare il giusto”, rispetto ai servizi di cui fruiscono.
Era stato infatti il Decreto Legislativo 130/00 a introdurre il principio in base al quale, ai fini della compartecipazione al costo dei servizi sociosanitari, la situazione economica di cui tener conto dev’essere solo quella dell’assistito e non quella del nucleo familiare in cui è inserito e che se ne fa carico.
In tutti questi anni, però, la maggior parte degli enti locali si è opposta all’applicazione di tale principio, trincerandosi dietro alla mancata approvazione di un decreto attuativo.

La recente Sentenza del TAR di Brescia – che pur mantiene qualche elemento di criticità – assume dunque un’importanza fondamentale, perché riconosce la fondatezza di molte delle rivendicazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie in materia di compartecipazione al costo dei servizi.
Viene confermato, ad esempio, che il principio della situazione economica del solo assistito è immediatamente precettivo e quindi vincolante per i Comuni, anche in assenza del decreto attuativo.
La Sentenza afferma inoltre che la possibilità di allargare la valutazione della situazione economica all’intero nucleo familiare dev’essere limitata ad ipotesi assolutamente marginali, che devono tenere conto «delle concrete condizioni di vita di una famiglia che accoglie al suo interno una persona svantaggiata».
Il TAR ha quindi ritenuto del tutto irragionevoli i regolamenti che prevedevano che le persone con disabilità partecipassero al costo dei servizi anche se privi di reddito, o in possesso di redditi inferiori al minimo vitale, o comunque minimi: i regolamenti comunali sono quindi stati annullati. Non solo, i giudici hanno sottolineato la necessità che i Comuni assumano le loro scelte in materia di partecipazione al costo dei servizi da parte dei cittadini, svolgendo approfondite indagini che valutino le conseguenze della disabilità sul bilancio familiare.
Si è inoltre precisato che le provvidenze economiche erogate a titolo assistenziale (quali pensioni di invalidità e indennità di accompagnamento) non costituiscono entrate, in quanto redditi esenti ai fini IRPEF, come già recentemente affermato anche dal TAR di Milano, con la Sentenza n. 303 del 7 febbraio 2008 [a quest’ultima il nostro sito ha dedicato il testo intitolato Il diritto di «pagare il giusto», disponibile cliccando qui, N.d.R.].

Due persone in carrozzina in un corridoio di ospedaleE ancora, il TAR ha sottolineato che i Comuni devono coinvolgere le associazioni delle persone con disabilità al fine di sviluppare politiche il più possibile condivise, ma anche per assumere decisioni con cognizione di causa, che tengano cioè realmente conto delle condizioni e delle esigenze dei singoli soggetti che fruiscono dei servizi e delle famiglie interessate.
Per la prima volta, poi, la magistratura applica in Italia la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, richiamando in particolare i principi di «dignità intrinseca, autonomia individuale e indipendenza della persona con disabilità».
Infine, nel ricorso si chiedeva ai giudici di verificare se i contributi del Fondo Sanitario Regionale rispettassero quanto stabilito dalla normativa nazionale la quale stabilisce che il 70% del costo dei servizi sociosanitari dev’essere pagato appunto dalle Regioni. Il TAR ha evidenziato che anche qualora la Regione non contribuisca nella percentuale prevista, non possano ripercuotersi sull’utenza gli aumenti di spesa ai quali devono invece fare fronte i Comuni, chiamati da un lato a reperire contributi e finanziamenti e dall’altro a stabilire eque fasce di contribuzione alla spesa.

La pronuncia del TAR bresciano fa seguito anche ad un’altra Sentenza del TAR di Milano (n. 291 del 7 febbraio 2008 [anche di questa abbiamo riferito nel testo intitolato Il diritto di «pagare il giusto», disponibile cliccando qui, N.d.R.]), che annullando i regolamenti del Comune, ha confermato il principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito e comunque l’impossibilità di chiedere contribuzioni a soggetti diversi dall’assistito stesso, anche per i servizi residenziali.

*Presidente dell’ANFFAS di Brescia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).

Su tali questioni, suggeriamo la lettura – sempre all’interno del nostro sito – anche dei seguenti testi:
Servizi socio-assistenziali e costi per gli utenti
disponibile cliccando qui.
– Compartecipazione alle spese: una sentenza che fa scuola
disponibile cliccando qui.
– Compartecipazione alle spese e tutela dei diritti
disponibile cliccando qui.
– Anche in Toscana conta solo il reddito dell’assistito
disponibile cliccando qui.
– Anche per il TAR delle Marche conta solo il reddito dell’assistito
disponibile cliccando qui.
– Il diritto di «pagare il giusto»
disponibile cliccando qui.
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