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La Legge Basaglia trent’anni dopo

Hieronymus Bosch, La cura della follia (Estrazione della Pietra della Pazzia), 1475-1480Salute mentale e non più malattia mentale: è questa la svolta impressa dalla tanto discussa Legge 180, che venne approvata esattamente trent’anni fa, il 13 maggio 1978, dal Parlamento Italiano.
Una legge rivoluzionaria che attraverso nuove regole per il trattamento e la cura delle malattie mentali voleva porre fine ai manicomi tanto combattuti dal suo relatore Franco Basaglia.

La Legge 180 in Italia ha rappresentato il punto d’arrivo di un processo più importante e di ampio respiro, medico e culturale. Allora rappresentava l’espressione istituzionale del lavoro di Basaglia che si era concretizzato nel ristabilire la centralità della persona anziché dell’istituzione.
Basaglia pensava l’istituzione in funzione delle persone a cui offriva un servizio, in anni in cui la norma era il contrario, ovvero la persona “oggettivata” in funzione dell’istituzione. Il suo lavoro in questo senso ha rappresentato sicuramente l’evento più importante per una riforma della sanità pubblica e prima ancora per un profondo cambiamento culturale, un cambiamento dell’immaginario collettivo, volto a promuovere la sanità come diritto della persona e la salute come valore positivo, all’interno di un discorso da estendere dalla psichiatria a tutta la medicina.
Si trattava, in un certo senso, di un’operazione utopica e perciò sarebbe errato considerare la chiusura dei manicomi come il risultato maggiore dell’opera e delle intenzioni di Basaglia. Il vero obiettivo era una rivisitazione dei rapporti sociali a partire dalla clinica psichiatrica, proprio quella clinica che a suo tempo era nata per tutelare la cattiva coscienza della società stessa, la quale, per garantire la sua quiete e i rapporti di potere in essa vigenti, non aveva trovato di meglio che incaricare la medicina di fornire le giustificazioni scientifiche che rendessero ovvia e da tutti condivisa la reclusione dei folli entro mura ben cinte.
Per rendere il suo servizio, la clinica ridusse la follia a malattia che, per essere curata, dev’essere sottratta al mondo in cui essa ha origine, che è poi il mondo della vita.

Nel Canton Ticino l’ultimo dibattito importante sulla psichiatria risale a poco più di vent’anni fa, in corrispondenza alla preparazione e all’entrata in vigore della Legge sull’Assistenza Sociopsichiatrica (LASP) che ha posto le condizioni necessarie per lo sviluppo dell’intervento settoriale e ha riconsegnato agli utenti i diritti da cittadino.
Il fermento dei primi anni di applicazione della LASP è stato caratterizzato dalla realizzazione di strutture atte a mantenere il paziente il più a lungo possibile nel suo contesto sociale e a facilitarne il reinserimento in caso di ricovero.
Contemporaneamente sono state riorganizzate le modalità di lavoro degli operatori, costituendo delle équipe pluridisciplinari e sviluppando diverse modalità di presa a carico del disagio psichico.
Franco BasagliaGli anni recenti, al di là della revisione della Legge, hanno probabilmente risentito dei cambiamenti economici e politici, facendo perdere visibilità alla questione della psichiatria che sembra essersi rinchiusa su se stessa.
Le preoccupazioni sembrano concentrarsi essenzialmente sugli aspetti tecnici e amministrativi, si discute degli equilibri fra pubblico e privato, del fabbisogno di posti letto, della dotazione di personale, ma gli aspetti concettuali di fondo non suscitano alcun dibattito.
Sembra quasi che la copertura della Legge sia diventata un comodo paravento per l’inattività concettuale, mentre la psichiatria non dovrebbe mai trovare soluzioni definitive, ma rivedere continuamente i suoi presupposti, i suoi rapporti con il mondo sociale, il suo concreto modo di operare.

Nella valutazione del disagio psichico vengono considerate una pluralità di voci che vanno dalle sintomatologie psicotiche vere e proprie alle tossicodipendenze, alla depressione, all’ansia, ai disturbi nell’alimentazione. Persino le ammissioni relative a situazioni e vissuti di stress in ambito familiare o lavorativo sono recepiti come indice di sintomatologie indicatrici di disagio mentale.
Si tratta di un quadro dove la tendenza alla “psichiatrizzazione” di una parte consistente della società – parte rappresentata oltre che dai settori più sfruttati, oppressi e marginalizzati delle masse popolari, anche da quelli che, su un piano culturale, comportamentale e magari anche su quello politico e sociale, vengono identificati come portatori di conflitto – si coniuga con i tagli alle spese per la sanità e lo smantellamento e la distruzione del servizio sanitario pubblico e con i processi di privatizzazione dei servizi psichiatrici e di riduzione del trattamento del disagio psichiatrico a problema di contenimento farmacologico e di ordine pubblico.
Come afferma Benedetto Saraceno, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’OMS (Organizzazione Mondiale dela Sanità), «le autorità della sanità pubblica dicono che lo stigma e la discriminazione sono i principali ostacoli che le persone con disturbi mentali devono affrontare oggi. Poche sono le famiglie che non hanno un incontro con i disturbi mentali, eppure quasi universali sono la vergogna e la paura che impediscono alle persone di cercare aiuto. Le gravi violazioni dei diritti umani negli ospedali psichiatrici, l’insufficiente disponibilità di servizi di salute mentale nella comunità, gli schemi di assicurazione iniqui e le pratiche di impiego discriminatorie, sono soltanto alcune delle prove che le persone con problemi di salute mentale devono affrontare».

Imperativo diventa allora, per la psichiatria e per la politica, occuparsi anche dell’adattamento reciproco fra la società “produttiva normale” e le vecchie e nuove patologie sociali con cui ci si deve confrontare. Tutto questo senza però dimenticare il profondo enigma della soggettività, recuperando il senso profondo della vita e migliorando la qualità dello stare al mondo di ogni singola persona, pur di fronte alla sofferenza di esistere.

*Socioterapeuta e giornalista, ha lavorato per molti anni presso l’Organizzazione Sociopsichiatrica del Canton Ticino e attualmente coordina il Day Hospital Gulliver di Lugano – Centro Specialistico per la Salute Mentale.

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