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La vicenda di Eluana Englaro: altre opinioni

Espressione pensierosa di uomo fotografato di profiloTra le varie opinioni giunte in redazione sul caso di Eluana Englaro – persona in coma da sedici anni, per la quale nelle scorse settimane la Corte d’Appello Civile di Milano ha autorizzato la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione forzata (si veda la nostra ricostruzione “storica” al testo disponibile cliccando qui) – ne abbiamo scelte altre due.
La prima è quella di Fulvio De Nigris, direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma-
Gli Amici di Luca di Bologna, all’interno della Casa dei Risvegli Luca De Nigris, oltre che membro della Commissione Ministeriale Cure palliative, terapie del dolore, stati vegetativi, dignità di fine vita della scorsa Legislatura, il quale amplia una precedente riflessione pure ripresa dal nostro sito.
L’altra è quella di Marco Espa, già presidente dell’
ABC Sardegna (Associazione Bambini Cerebrolesi) e attualmente componente del Consiglio Regionale Sardo, ove si ritiene che alla decisione della Corte d’Appello Civile di Milano sia senz’altro necessario opporsi. Tra le lettere ricevute – assai vicine a quella di Espa per le posizioni espresse – segnaliamo quella di Marina Cometto, presidente dell’Associazione x disabili gravissimi “Claudia Bottigelli”, quella di Mario Caldora, responsabile del Comitato per il Diritto all’Assistenza “Cinzia Fico” e quella della Famiglia Crisafulli, che ha dato vita al sito www.salvatorecrisafulli.it.
Rimandando in calce ai precedenti testi in cui ci siamo occupati della vicenda – e in particolare alla già citata ricostruzione “storica” di essa – per dovere di cronaca non possiamo in conclusione non segnalare quanto riportato dagli organi d’informazione nei giorni scorsi, ovvero il risultato di alcuni sondaggi, secondo i quali circa l’80% dei cittadini sarebbe favorevole alla sentenza della Corte d’Appello Civile di Milano. Anche questo, indubbiamente, un dato su cui riflettere. (S.B.)

Il caso di Eluana: una minoranza etica
di Fulvio De Nigris*

Si dice che il caso Englaro è un “caso limite”. Che è la soluzione di un singolo e pertanto senza conseguenze per altri. Ma siamo proprio certi che sia così?
La battaglia che porta avanti da anni il padre Beppino Englaro è commovente, struggente e condivisibile, come condivisibile è ogni fatto estremo, di estremo dolore, e pertanto ingiusto, che colpisce il genere umano.
Noi possiamo cercare di capirlo, ma non possiamo immedesimarci, non possiamo metterci nei panni di… Non possiamo fare quello che i giornalisti spesso ci chiedono, che chiedono anche a me, giornalista io stesso: «Ma lei cosa avrebbe fatto al posto di…?». Non è possibile.
Fulvio De NigrisNon è possibile dirlo perché anche se chi scrive ha passato una storia di immenso dolore, la perdita di un figlio, anche se è a contatto con famiglie che vivono quella tempesta di emozioni che scaturisce dall’avere un proprio caro in coma o in stato vegetativo, non è possibile dire appieno quello che si prova, se non per ascoltarlo dai diretti interessati.
Io posso dire cosa è stato per me essere accanto a mio figlio, sperare nel suo risveglio, essere al suo fianco quando questo è avvenuto, accompagnarlo in quel tratto di vita che lo separava dalla soglia della vita stessa. Ma poi posso immaginare, posso rappresentare, posso teorizzare. E la decisione dei Giudici della Corte d’Appello Civile di Milano, che hanno autorizzato a interrompere il trattamento di alimentazione e idratazione forzato che tiene in vita Eluana, mi ha provocato un senso di grande delusione e prostrazione, mista a paura.
Mi sono chiesto in questi giorni perché. Ho anche cercato di provare a definire meglio quello che provavo. E l’ho sovrapposto alla sfera emozionale (delusione, prostrazione, paura) e non a quella della ragione, del pensiero (disappunto, contrarietà, rabbia), come altri hanno fatto e che io personalmente non provo.
Perché apparentemente non è qualcosa direttamente vicino a noi. Noi come associazione abbiamo a che fare con la Casa dei Risvegli Luca De Nigris, il modello innovativo di riabilitazione dell’Azienda USL di Bologna, con famiglie che nella fase postacuta osservano e aspettano. Aspettano il risveglio. Vengono accompagnate in un percorso che le coinvolge, che le sostiene. Che cerca di portare normalità alla loro voglia di normalità. Che cerca di far acquisire loro competenze per quando sarà il momento delle dimissioni a casa (la maggioranza dei casi) o verso altre strutture. Che è loro vicino nei momenti di miglioramento, nelle tappe forzate delle regressioni, nella gioia e nel dolore, in questo lento difficile percorso del risveglio.
Risveglio, mai parola più giusta e completa. Risveglio assume in sé la complessità del coma – che è sempre più un disagio della famiglia – e interpreta l’auspicato risveglio del paziente e l’acquisita consapevolezza di chi gli sta vicino.
Risveglio anche della società che li dovrà accogliere. Ma sempre confrontandosi, sapendo che la scienza può ricercare, ma non fare miracoli, che può migliorare e migliorarsi e che tutto ciò non dipende solo dal mondo sanitario, ma da un’alleanza terapeutica che ingloba tutti, professionisti non sanitari, familiari e volontari.
Poi ci occupiamo del dopo. Il dopo Casa dei Risvegli Luca De Nigris. Il dopo in generale. Attraverso il numero verde Comaiuto (800998067), rispondiamo a famiglie che da tutta Italia ci interpellano, chiedendo un sostegno da una voce amica, chiedendo condivisione, esponendo casi, chiedendoci del nostro lavoro e di essere informati.

E allora ritorno ai miei sentimenti nei confronti della vicenda di Eluana Englaro.
La delusione è arrivata per l’aver capito che “forse è possibile”. Non era vero come anni fa aveva deliberato il Comitato Etico (anche se in maniera non univoca tra  i membri) che non si poteva negare il nutrimento ad una persona in stato vegetativo e che un “caso Terry Schiavo” in Italia non sarebbe mai avvenuto [su quest’ultima vicenda segnaliamo, in questo stesso sito, il testo di tre anni fa disponibile cliccando qui, N.d.R.]. Non è bastato neanche quanto affermato prima da Papa Woytila (l’unico pontefice che abbia firmato un documento esemplare ed esaustivo su questo problema a margine di un convegno dei medici cattolici) né quanto ribadito recentemente da Papa Ratzinger.
La prostrazione perché è inevitabile pensare  a quanto ancora sia difficile far passare nei media (ma anche tra  i giudici) i termini esatti di questo problema. Ormai nella clinica medica e in letteratura non esiste più coma irreversibile, non esiste più la parola permanente unita a stato vegetativo. Ci si meraviglia anche che per accogliere la proposta dei genitori di Eluana le si debba togliere il sondino nasogastrico (ciò che di solito avviene nei primi mesi dopo il trauma, non dopo sedici anni…).
La paura perché – per quanto la battaglia vinta dal padre di Eluana si configuri nel privato della sua vicenda familiare – inevitabilmente coinvolge le migliaia di famiglie che vivono situazioni simili alla sua.
Ripeto, credo sia giusto che Beppino Englaro abbia avuto riconosciuto un diritto che richiedeva per sua figlia. Dalle sue pacate dichiarazioni, dal desiderio legittimo e dignitoso di chiudersi con sua moglie nella solitudine del proprio dolore familiare, trovo che la decisione della Corte d’Appello Civile di Milano possa finalmente rendere possibile quell’elaborazione di un lutto per troppo tempo rimasto bloccato. Ma questo non vale per tutti. Non dobbiamo far sì che questo caso scardini quel percorso che non riguarda la libertà delle persone, ma la concezione della vita stessa, del destino e della sua inevitabile accettazione (anche se non remissiva).
La domanda da porsi è: come ci rapportiamo noi a queste vite differenti? Come diamo loro diritto di cittadinanza? Come le aiutiamo a vivere? Come sosteniamo le famiglie? Che ruolo diamo loro nella società?
Molti affermano che qui non parliamo di eutanasia, che è un’altra cosa. Su questo non vorrei dire molto, sempre nel rispetto della famiglia Englaro, però mi si permetta di affermare che il termine ipocrisia continua a venirmi in mente.
Noi dobbiamo avere invece il coraggio di guardare a questi percorsi nel loro complesso (riprendendo in mano anche il testamento biologico), sapendo che non stiamo parlando solo di coma e stati vegetativi, ma delle gravi cerebrolesioni, delle malattie genetiche e rare, di tutto il mondo della disabilità in generale.
Se qualcuno può pensare che questa non sia vita, discutiamone, facciamo un referendum, chiamiamo a raccolta tutti quelli che vivono direttamente o indirettamente questo problema.
Certo, lo sappiamo, potrebbe essere configurata come “una minoranza”. Una minoranza come i rom, gli extracomunitari, altri. Non è una minoranza etnica, ma certo potrebbe essere una “minoranza etica”. E anche in questo ambito non tutti sono “raccomandabili”. Perché c’è chi qualche fastidio lo dà. Vicino a persone che mostrano poco o niente i segni del trauma o della malattia, altri si presentano male, sono in carrozzina, sbavano quando mangiano, a volte urlano, sono ripetitivi nell’esprimere concetti… Anche per chi è loro vicino a volte può essere faticoso mantenere lo sguardo; pensiamo allora agli sguardi di chi non è coinvolto direttamente, delle persone comuni che devono accettarli, accoglierli e vivere con loro!

Il nuovo Governo è chiamato urgentemente ad esprimersi. Dovrebbe riattivare le Commissioni Ministeriali e quindi anche quella sulle Cure palliative, terapia del dolore, stati vegetativi e dignità di fine vita istituita dalla scorsa legislatura o comunque con urgenza mettere in agenda questi temi.
Per utilizzare al meglio i 100 milioni di euro stanziati nella Finanziaria per il 2008 in favore delle Unità di Risveglio, per completare il censimento dei Centri di Riabilitazione, per le attivazioni delle SUAP (Speciali Unità di Accoglienza Permanente per gli Stati Vegetativi Cronici), per un’approfondita disamina sule problematiche che riguardano le numerose famiglie che convivono con la malattia, che combattono per un possibile risveglio, per il benessere dei loro cari e per avere uguali diritti, qualunque sia la loro estrazione sociale, qualunque sia l’area geografica di riferimento.
Noi dobbiamo avere rispetto della famiglia Englaro, del loro dolore, della loro scelta di solitudine. Dobbiamo guardar loro, senza togliere diritti e speranze a chi ha sempre e ancora voglia di lottare.

*Direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma-Gli Amici di Luca, nella Casa dei Risvegli Luca de Nigris di Bologna. Membro della Commissione Ministeriale “Cure palliative, terapie del dolore, stati vegetativi, dignità di fine vita” della scorsa Legislatura.

Bisogna opporsi a quella decisione
di Marco Espa*

La Corte d’Appello Civile di Milano ha deciso dunque che l’alimentazione artificiale, per una persona con gravissima disabilità profondamente cerebrolesa, non è un diritto, ma un accanimento terapeutico.
Si dicono molte inesattezze e vorremmo dare un contributo per capire meglio le cose. Come al solito si dice: “staccare la spina”. Non c’è però nessuna spina da staccare! Siamo infatti contrari ad ogni forma di accanimento terapeutico, ma l’alimentazione, l’acqua non sono accanimento terapeutico! Si parla cioè di “staccare la spina” quando invece non c’è alcun meccanismo artificiale che tiene in vita Eluana, è solo il diritto ad essere idratata e alimentata.
 Marco EspaEluana viene ben accudita, esce dalla sua stanza, dorme, si sveglia. Come un neonato o come centinaia e centinaia di nostri figli che sono alimentati nello stesso identico modo. Non dandole da mangiare e da bere, ovviamente morirà.

Siamo da sempre, come genitori, vicini al dolore del papà di Eluana, ricordando anche il giorno in cui ci incontrammo in televisione nel Porta a porta di Bruno Vespa, io assieme ad Ada, mia moglie e con mia figlia Chiara. Ci sentiamo di vivere un’esperienza molto simile. Allora l’argomento era quello di Terry Schiavo, fatta morire di sete e di fame da un giudice americano. 

Massima comprensione per Beppino Englaro, ma la pensavamo e la pensiamo diversamente su molte cose che riguardano i nostri figli.
Due sue affermazioni hanno colpito in questi giorni: lui ritiene che i massaggi, la riabilitazione e tutto quello che si fa con cura a una persona che rischia di avere le piaghe dall’immobilità siano una violenza. Beh, questo tipo di attenzione lo chiedono migliaia di persone con grave disabilità, le loro famiglie, lo chiede il movimento democratico delle associazioni di persone con disabilità come diritto, lottando quotidianamente per ottenerle in tutte le strutture pubbliche e private o domiciliarmente, per vivere dignitosamente.
Ritiene poi che l’alimentazione tramite il sondino sia come quella che si fa «alle oche, per ingrassarle». Mai tale paragone, reso pubblico nei giorni scorsi dai giornali, è stato più infelice e discriminatorio, uno stigma per le persone con disabilità. Migliaia di persone, infatti, usano il sondino nasogastrico. Migliaia di persone in situazione molto più grave usano la PEG, ovvero ricevono l’alimentazione direttamente nello stomaco. E chiedono di essere alimentate.
Chi chiede il sostegno per vivere purtroppo non fa notizia.

E ora un tribunale italiano – in dispregio al diritto all’idratazione e alla nutrizione (che non è polmone d’acciaio o altre apparecchiature elettriche), recentemente sancito dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (articolo 25, lettera f), firmata per l’Italia dal ministro Ferrero – ha deciso che Eluana dovrà morire di sete e di fame; è incredibile questa soluzione; che soluzione è questa, far morire di sete e di fame? Si parla di diritto, di modernità, ma di cosa? Come si può lasciar morire di stenti un essere umano, come capitò a Terry Schiavo che mori dopo ben quindici giorni? Che segnale si dà alle migliaia e migliaia di persone con disabilità che alimentate nello stesso modo lottano per ottenere dalle istituzioni e dalla politica il diritto a vivere e ad essere ben assistite?

Sta passando invece il terribile concetto che una persona con grave disabilità tutto sommato è – come dicono gli americani – not dead men, un “quasi morto”.
La convinzione che le persone con disabilità siano “meglio morte” ancora esiste, ma è profondamente errata. Mette tutti noi in pericolo, con un dibattito che a volte rasenta l’assurdità, centrato com’è sulla paura della malattia.
Si sentono affermazioni pericolose degne dell’eugenetica, come, ad esempio, quelle che pretendono di dare dignità alla vita solo col trittico consapevolezza-coscienza-autonomia. Secondo costoro, “il resto è morte”, tagliando via con un tratto di penna milioni di persone con grave disabilità cognitiva, intellettiva e relazionale, con esperienza di malattie psichiatriche eccetera.
Con questa logica, per dirne una, i 130 milioni di euro del Fondo Sardo per la Non Autosufficienza dovrebbero essere considerati come soldi buttati…
Sbaglia chi divide il dibattito tra posizione laiche e cattoliche: questa è solo una strumentalizzazione. La difesa della vita, infatti, è un valore di tutti, un valore umano. A dare risposte devono essere il Parlamento, la politica, non i tribunali.
Solo in Sardegna ci sono almeno duecento persone con disabilità in una situazione analoga o più grave di quella di Eluana. Dobbiamo occuparci di questi temi ai confini della vita. Le persone con disabilità grave e gravissima chiedono non il diritto di morire, ma il sostegno per vivere. Facciamocene carico tutti: io mi impegnerò come genitore, ma ancor più, questa volta, come rappresentante istituzionale.
Non dobbiamo quindi giudicare la persona, mai, ma il Tribunale sbaglia ed è alla decisione di quest’ultimo – non al papà di Eluana – che bisogna opporsi.

*Consigliere regionale della Sardegna, Gruppo Partito Democratico. Già presidente dell’ABC Sardegna (Associazione Bambini Cerebrolesi)
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Sui più recenti sviluppi della vicenda di Eluana Englaro, sempre in questo sito, consigliamo anche la lettura di:
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