Quella della partecipazione alla spesa dei servizi, ovvero di quei contributi che i Comuni possono chiedere alle persone che utilizzano servizi di carattere sociale e sociosanitario (centri diurni, residenzialità, trasporti, soggiorni estivi ecc.), è una questione assai nota ai lettori del nostro sito, che abbiamo spesso trattato – come dimostra anche l’elenco dei testi riportati in calce – e che ha visto anche la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) esprimere la propria preoccupazione ai vari Enti Locali, senza dimenticare la campagna significativamente denominata Pagare il giusto, lanciata in Lombardia dalla LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) nell’estate scorsa.
Riassumiamo rapidamente la questione. Nel 2000 il Decreto Legislativo 130/00 (modificando il precedente D.Lgs. 109/98) ha voluto precisato una volta per tutte i criteri di compartecipazione degli utenti per l’accesso ai servizi sociali e sociosanitari.
In base a tale normativa, per le persone ultrasessantacinquenni non autosufficienti e per quelle con handicap in stato di gravità si deve calcolare la compartecipazione considerando il solo reddito dell’avente diritto e non quello dell’intero nucleo familiare. I Comuni (titolari dei servizi in questione) e gli Enti gestori (per i casi in cui tali servizi siano stati terziarizzati) hanno però riscontrato una certa difficoltà a recepire le suddette disposizioni.
Successivamente – dopo i numerosi contenziosi che si sono aperti – le molteplici sentenze di vari Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) e anche un’Ordinanza del Consiglio di Stato (2594/08) hanno confermato la validità di quel Decreto del 2000.
Ebbene, giunge ora una nuova Sentenza del TAR di Milano (IV Sezione, Sentenza n. 4033 del 10 settembre 2008), che si pronuncia ancora una volta in questa direzione e che lo fa – probabilmente – nel modo più chiaro, sintetico e inequivocabile finora espresso, aggiungendo un altro prezioso tassello a questa battaglia che sembra senza fine.
Come sempre affidiamo ai lettori il testo integrale (disponibile cliccando qui) del provvedimento adottato contro il Comune di Rosate (Milano), limitandoci a segnalare un significativo nuovo elemento messo in luce da tale Sentenza, vale a dire il comportamento ostruzionistico da parte dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), nei confronti del DPCM attuativo dell’articolo 3, comma 2 ter del Decreto Legislativo 109/98 («Peraltro – recita la Sentenza – il procedimento di emanazione del richiesto DPCM è stato la causa del suo ritardo poiché i Comuni, attraverso i loro enti associativi in sede di Conferenza unificata, hanno fatto resistenza all’approvazione dello schema di decreto predisposto dal Governo poiché ritenuto troppo oneroso»).
Un DPCM – vale in ogni caso la pena ricordare – che sentenze come quella del TAR di Catania n. 42/07 dell’11 gennaio 2007 hanno ritenuto non essenziale all’applicazione della norma che tiene conto del solo reddito dell’avente diritto, in quanto essa è una «prescrizione immediatamente precettiva, che non necessita di disposizioni attuative di dettaglio». (Stefano Borgato)
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