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La tutela delle persone con disabilità dallo stalking

Uomo in carrozzinaIn diverse occasioni mi sono soffermato ad analizzare il dettato normativo della Legge 67/06 sulla tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazione (si leggano ad esempio gli interventi disponibili cliccando qui o anche qui). Da interventi complessivi, via via si affrontano tematiche più specifiche.
Il comma 4 dell’articolo 2 della legge in commento afferma: «Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti».
Mi sono già permesso di battezzare la suddetta disposizione come una forma di “discriminazione ambientale” e ciò al fine di individualizzarla e differenziarla dalle forme di discriminazione diretta e indiretta previste e disciplinate dai commi 2 e 3 del medesimo articolo 2.

Su questo comma molte cose potrebbero dirsi. Innanzitutto, è certo che si tratta di una tutela molto “avanzata” o forse, anche, potremmo dire, tanto “anticipata” da poter creare difficoltà all’operatore del diritto nell’individuarne la reale sussistenza e, quindi, la prova di essa.
Ma certamente è una condizione di vita – quella della molestia, del comportamento indesiderato e della violazione di dignità e libertà tale da creare un clima di intimidazione, umiliazione e ostilità – conosciuta alle persone con disabilità.
Questa condizione di stigmatizzazione e di discriminazione può essere anche paragonabile al cosiddetto stalking.
Da diversi anni – e soprattutto chi si è occupato di tutela delle donne ne è consapevole – si discute di stalking, seppure questo termine sia giunto agli onori della cronaca solo da ultimo con il Disegno di Legge presentato dal ministro alle Pari Opportunità Mara Carfagna.
Stalking è la sindrome delle molestie assillanti, ovvero quella condotta posta in essere da un soggetto agente (rancoroso, risentito, predatore, respinto) tramite una serie di atti che generano fastidio e timori (per sé o per altri) nella vittima (si legga a tal proposito un mio vecchio contributo sull’argomento, cliccando qui).
Di certo il comma 4 dell’articolo 2 della Legge 67/06 è norma idonea a prevedere e punire le eventuali condotte vessatorie, assillanti e subdole che potrebbero porre in essere uno stalker anche avverso una persona con disabilità.
E forse, consentire l’istituto dell’ammonimento da parte del Questore anche in tema di tutela delle persone con disabilità (così come previsto dal Disegno di Legge sullo stalking – denominato Misure contro gli atti persecutori – che si può leggere cliccando qui) non sarebbe cosa inopportuna, anche con funzione evidentemente deflattiva del carico giudiziario (nonché in modo tale da evitare ai cittadini disabili di ricorrere troppo spesso e non-volentieri all’autorità giudiziaria).

E tuttavia il problema maggiore – così come per lo stalking anche per il comma dell’articolo in commento della Legge 67/06 – potrebbe essere la prova dell’elemento lesivo. Si ricorda infatti che, ai sensi della Legge 67/06, «il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta nei limiti di cui all’articolo 2729, primo comma, del codice civile». Ma anche questo lo si ritiene superabile.
L’assillo determinante un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità avente i requisiti dello stalking dovrà essere di tipo “reiterato”. Reiterazione della condotta che può condurre a fornire al ricorrente (e al difensore di quest’ultimo) quegli «elementi di fatto in termini gravi precisi e concordanti», richiesti dall’articolo 3, comma 2 della Legge 67/06.

Insomma, se ci si muove con una certa disinvoltura con le norme e con i princìpi generali dell’ordinamento, anche talune “fughe in avanti” del Legislatore – spinto da un legittimo e condiviso tentativo di tutela complessiva e di “prossimità” della persona con disabilità – possono trovare un’adeguata risposta giudiziaria.

*Avvocato.

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