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La lunga marcia (scolastica) delle persone con disabilità

Bimbo con disabilità a scuolaCostruire e portare a termine con successo gli studi secondari superiori di una ragazza con disabilità gravissima che per le sue condizioni di salute non aveva mai frequentato la scuola prima e non avrebbe potuto frequentarla con costanza neppure adesso: è stata questa la nostra ragione di vita degli ultimi cinque anni e in questo momento l’unico termine che ci viene in mente per definirla è “faticosa”.
Si è trattato di un percorso in cui ci siamo inventati l’insegnamento “anche domiciliare”, slegato dalla condizione del ricovero ospedaliero, urtando in molte incomprensioni, sia da parte della Direzione Scolastica Regionale che di amici “integratori”. Solo che gli amici, essendo sinceramente tali, hanno poi riconosciuto l’infondatezza dei loro pregiudizi, mentre la Direzione Regionale…

Parlavamo di “fatica”. Ma la fatica – o meglio, il lavoro faticoso – deve rendere, deve produrre dei risultati. Se no, come dice anche il proverbio, “è fatica sprecata”. Che cosa ha prodotto dunque la fatica della famiglia con disabilità?
Non c’è video o testo che possa raccontare sino in fondo le condizioni che hanno reso possibile il successo di questo percorso. Proviamo perciò a sintetizzare, cercando di dare un’idea almeno per sommi capi.
Alla base di tutto vi è stata da una parte la determinazione “assoluta” della famiglia, dall’altra l’incontro fortunato con dirigenti aperti e collaborativi, con docenti preparati e umani, con un insegnante di sostegno e un’assistente alla comunicazione validissimi, con un Ufficio Scolastico Provinciale che ha fatto bene il suo mestiere, un Assessorato Provinciale solerte nei suoi compiti e uno Regionale che ha supplito splendidamente alle carenze dello Stato.
Naturalmente abbiamo incontrato anche dirigenti menefreghisti, docenti demotivati e alcuni veramente negativi sotto tutti gli aspetti: fortunatamente, però, sono stati solo una minoranza e non sono riusciti ad inficiare il risultato finale.

Non è di loro, quindi, che vogliamo parlare qui. Vogliamo parlare, invece, di quanto sia importante l’apporto della famiglia con disabilità al processo di integrazione scolastica di qualità.
Più grave è la disabilità – non importa se fisica, intellettiva o relazionale – più tale apporto è essenziale. È un rapporto che va costruito, possibilmente bene e fin dall’inizio, un rapporto ambivalente, spesso difficile, da seguire costantemente, chiarire, migliorare. È un rapporto che dev’essere frequente, aggiornato, decisamente sincero.
Se non funziona questo, si costruisce poco, ma quando questo rapporto c’è, si possono ottenere risultati splendidi e non solo nell’interesse di chi nella scuola e per la scuola lavora o di chi scrive di queste cose e nemmeno solo della famiglia. Nell’interesse invece di quello che è il vero “primo attore” di quest’opera, che non è né tragedia né commedia, ma “la miglior vita possibile” per lo studente con disabilità grave. Come nel caso di Silvia. O in quello di Lorenzo – che oggi  è all’università – di Federica e di tanti altri ancora.

Sono tutte storie da conservare, che presto racconteremo in un libro pubblicato da Erickson. Sarà un racconto a più mani – ma sempre le mani di genitori e studenti con disabilità – ove si narrerà di un percorso così lungo da far sembrare una passeggiata la “lunga marcia” di Mao o l’Anabasi di Senofonte: quello della trasformazione (ancora ampiamente incompiuta) dell’integrazione scolastica italiana da diritto astratto a realtà oggettiva, ben funzionante e facilmente fruibile.

*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).

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