Nel mare delle opinioni “urlate” nei giorni scorsi, ci sono notizie apparentemente “piccole” che rischiano di “affogare” e di essere letteralmente ignorate dall’opinione pubblica.
Prima però di parlarne, riteniamo opportuno ricordare una legge dello Stato, la n. 67 del 1° marzo 2006, Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni, ove si scrive tra l’altro: «Il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità» (articolo 2, comma 1).
E veniamo ora alle due notizie apprese da altrettanti quotidiani. Scrive Francesca Savino nella «Repubblica» del 6 febbraio: «Sul palcoscenico mancava solo lui. Ma alla recita scolastica dei suoi compagni di classe Manuel non era stato invitato neanche come spettatore: unico, fra tutti i bambini di una quinta elementare del Barese, a non ricevere il cartoncino colorato qualche giorno prima dello spettacolo. Perché disabile, denunciano i genitori, che attraverso il loro avvocato hanno spedito una lettera al ministro Gelmini, alla direttrice dell’istituto scolastico e all’Ufficio Scolastico Provinciale [grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni, N.d.R.]».
Siamo dunque in provincia di Bari e Manuel (doveroso nome di fantasia) ha nove anni e un’idrocefalia congenita, con sindrome ipertonica da leucomalacia. «In classe – leggiamo ancora – cammina, studia, parla, gioca come i suoi coetanei, ma è sempre seguito da un’insegnante di sostegno che si siede al suo fianco. Proprio fra i banchi di scuola a dicembre ha visto gli inviti rivolti alle famiglie degli alunni: uno per ciascuno dei 28 bambini che nel pomeriggio del 22 avrebbero partecipato alla rappresentazione natalizia organizzata dalla scuola nella Chiesa di San Paolo. Per lui però non era stato previsto alcun invito».
Sorvolando sul numero degli alunni della classe (28), superiori (almeno per ora) a quello che dovrebbe ancora essere il limite massimo in presenza di un bimbo con disabilità (25), registriamo le scuse trasmesse da Giovanni Lacoppola, dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale, a titolo personale e a nome di tutta la comunità, con contemporanea pubblicazione di una circolare sull’integrazione scolastica.
Scuse “a giochi fatti”, seppur gradite, che tuttavia alla famiglia non sembrano essere sufficienti.
Percorriamo ora più di mille chilometri e arriviamo direttamente a Trento, dove ci “accoglie” una notizia tratta dall’«Adige» del 9 febbraio, in un articolo firmato da Francesco Terreri: «Ieri pomeriggio, nella piscina di Madonna Bianca, si è svolto il Campionato Regionale Master di Nuoto, attività dedicata agli atleti dai 25 anni in su, con scopi agonistici, ma anche di amicizia e di aggregazione. Una delle atlete iscritte, però, non ha potuto gareggiare. Francesca Fugatti, 30 anni, è stata infatti esclusa dalla gara dei 50 metri rana dal giudice arbitro, dopo un consulto con il presidente del Comitato Trentino della Federazione Italiana Nuoto (FIN). Motivo: ci sono rischi per la sicurezza dell’atleta e degli altri partecipanti perché Francesca è cieca, ha perso la vista da una decina d’anni».
Eppure, ha ricordato Anna Fontana, allenatrice della Rari Nantes Valsugana, che per protesta ha ritirato la propria squadra, «Francesca può gareggiare nel circuito FIN come tesserato, sa nuotare con idoneità agonistica e la visita medica ha dato l’ok. Un mese e mezzo fa, poi, ha gareggiato a Innsbruck nel Circuito Supermaster, si allena quattro volte alla settimana, scia e ha fatto anche la Marcialonga».
A questo punto lasciamo da parte sia la precedente segnalazione alla Federazione Trentina da parte della Rari Nantes Valsugana (ciò che avrebbe potuto evitare a priori l’imbarazzante situazione) e non soffermiamoci più di tanto nemmeno sulla presunta maleducazione del giudice arbitro Giuseppe Bernasconi, che avrebbe dichiarato, secondo Anna Fontana, «Non mi prendo questa respopnsabilità, gli handicappati non gareggiano». Concentriamoci invece sulle dichiarazioni rilasciate proprio da Mario Pontalti, presidente della FIN di Trento, ovvero: «Mi dispiace di quello che è successo. Ho sentito il giudice arbitro della manifestazione, che conosce molto bene il problema che si può creare con un atleta ipovedente. Del resto Bernasconi ha arbitrato anche il Campionato Italiano della Federazione dei Disabili a Pergine. Qui è vero che era un master, ma anche un campionato regionale, che prevede un certo agonismo. L’atleta non vedente deve avere un accompagnatore in acqua. C’erano rischi sia sulla sicurezza della concorrente che su quella degli altri partecipanti».
Un paio di rilievi qui si impongono. Il primo è che preferiremmo arbitri diversi, per lo sport delle persone con disabilità, dotati di un approccio di tutt’altro tipo a certi problemi.
Il secondo è per lo più una precisazione necessaria: la Rari Nantes Valsugana, prima delle gare, aveva chiesto che a Francesca fosse assegnata la corsia vicina al bordo, in modo tale che il suo accompagnatore potesse darle da fuori vasca alcune segnalazioni con il battito delle mani, ad esempio al momento della virata.
Ma riprendiamo le dichiarazioni di Mario Pontalti: «Semmai – ha aggiunto – occorreva che Francesca Fugatti gareggiasse in un momento a parte, in batterie riservate, con procedure diverse». E del resto, ha concluso, «è la prima volta che succede una cosa del genere. Persone disabili partecipano a meeting di nuoto, ma è la prima volta che ci ritroviamo questa situazione in un campionato. In genere questi atleti gareggiano nelle varie categorie dei loro campionati e i regolamenti non contemplano la partecipazione di Francesca».
«Le varie categorie dei loro campionati», dunque… E anche i regolamenti… Non torna alla mente Oscar Pistorius e la sua battaglia per partecipare alle Olimpiadi “di tutti”?
Come non condividere allora il commento di Mauro Marcantoni, sociologo, giornalista, direttore di Trentino School of Management e anche persona non vedente, quando ha dichiarato («Trentino» del 10 febbraio): «Questa è un’ulteriore sconcertante conferma del pregiudizio che grava sui portatori di handicap e sulla loro possibilità di realizzarsi compiutamente non solo nello sport. Certo, nel caso in questione esistono i regolamenti, ma sono convinto che questi non siano assiomi indiscutibili, ma disposizioni che vanno interpretate alla luce del buon senso e di una corretta valutazione caso per caso». E ancora: «L’errore da evitare è quello di considerare il limite e non la persona. Se ci fermiamo al primo, al limite, tutto diventa impossibile, precluso, irraggiungibile. Se guardiamo invece alla persona, il problema si sposta su come si può raggiungere diversamente la “normalità”, cioè la capacità di esprimere, senza vincoli o barriere, le proprie attitudini».
Quando va bene, dunque, arrivano le scuse “a frittata fatta” oppure ci si appella a regolamenti “che non lo ammettono”. E dall’altra parte c’è quella Legge dello Stato (la 67/06) che abbiamo voluto apporre quasi come un’epigrafe in testa a questo articolo e che afferma – vale la pena ripetersi -: «Il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità».
Il bimbo lasciato fuori dalla recita, la nuotatrice non ammessa alla gara: ecco altre notizie che vorremmo facessero “urlare” il nostro Paese, portando le persone a condurre altrettante battaglie. Invece, quasi sempre, scivolano sotto traccia, meritando poco più di una “breve in cronaca”.