Si parla di “imminente esecuzione di sgombero” per l’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello (Cosenza), del quale ormai da anni seguiamo le tormentate vicende (si legga in calce l’elenco dei testi da noi finora pubblicati), una struttura che è diventata un vero e proprio “simbolo di diritti negati”, la cui realtà è venuta alla luce anche grazie al costante impegno di associazioni come quelle aderenti alla FISH Calabria (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Tra le varie vicende negative di questi anni, ne avevamo registrate anche alcune di positive, tra le quali la presentazione – nel maggio del 2008 – dell’associazione denominata “In direzione ostinata e contraria”, formata dagli Amministratori di Sostegno delle persone del Papa Giovanni XXIII senza parenti o abbandonate dai familiari. A coordinarla – incaricato in tal senso dal Tribunale di Paola – era stato don Giacomo Panizza, presidente regionale del CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza). «Questa associazione – ci aveva detto all’epoca lo stesso Panizza – dimostra che anche al Sud si può essere solidali con chi non ha più nessuno e dimostra che in strutture del genere è fondamentale l’umanizzazione. Abbiamo creato una nuova realtà, unica nel Meridione e fra le poche esistenti in tutto il Paese. In questo modo l’Istituto continua il suo percorso di affrancamento dal passato, una svolta iniziata già più di un anno fa e che ha permesso di dare voce a persone che non ne avevano mai avuta».
Di fronte ora a questa nuova svolta – che potrebbe anche essere quella conclusiva per il Papa Giovanni – a scriverci una lettera aperta sono proprio i componenti dell’Associazione “In direzione ostinata e contraria”, puntualizzando e rivendicando alcuni precisi diritti/doveri. (S.B.)
Questa lettera aperta esprime un punto di vista di parte, obbligatoriamente dalla parte delle persone ricoverate all’Istituto Papa Giovani XXIII di Serra d’Aiello, che noi Amministratori di Sostegno siamo deputati a tutelare. Nell’Istituto alcune persone ricoverate sono autonome nell’intendere e nel volere, possono e sanno rispondere di se stesse. Viceversa, molte altre presentano limiti, chi leggeri e chi pesanti, che le intralciano nelle proprie capacità conoscitive e decisionali.
La legislazione italiana prevede che un Giudice Tutelare intervenga tramite l’interdizione di coloro che presentano limiti “pesanti”, nominando un Tutore; mentre per quelli con limiti “leggeri”, ritenuti con capacità residue di agire e di decidere da sé, prevede che il Giudice nomini, caso per caso, l’Amministratore di Sostegno.
Chi sottoscrive questo messaggio è un’associazione di Amministratori di Sostegno, nominati dal Tribunale di Paola alla fine di dicembre del 2007, con sede nell’Istituto stesso. Non siamo familiari dei ricoverati. Abbiamo offerto la nostra disponibilità a collaborare col Tribunale al fine di costruire relazioni significative con persone in difficoltà, di sostenerle nei bisogni di un’esistenza gravata da incertezze e rischi, di aiutarle ad esprimersi nelle loro aspirazioni e nelle loro pur condizionate capacità personali. Infine, sappiamo di dover curare anche talune incombenze fiscali e amministrative che le riguardano.
In questo momento in cui si parla di imminente esecuzione di sgombero dall’Istituto, ci preme invitare tutti quanti a riflettere sul fatto che un’ordinanza di “sgombero da” una struttura, nella sua concreta esecuzione, va letta soprattutto come un “trasferimento di” persone. Le persone non sono pacchi: hanno precisi diritti. All’Istituto Papa Giovanni XXIII la parola “sgombero” aleggia impaurendo gli assistenti, ma noi vi diciamo che sgomenta anche gli assistiti, disorientandoli e turbandoli profondamente. Molte ragioni motivano quest’ordinanza. Le persone ricoverate tuttavia ne chiamano in campo altre, da sottoporre anch’esse a seria valutazione.
In questi ultimi giorni alcuni giornali e tivù locali ci pare non stiano aiutando a far intravedere scenari differenti dallo “sgombero da” un istituto. Oscurano il vero dramma, che è quello del “trasferimento di” persone, negando loro dignità, sentimenti e aspirazioni, imbavagliandole un’ennesima volta. Noi crediamo che le persone ricoverate vadano ascoltate insieme ai loro Tutori e agli Amministratori di Sostegno riguardo al loro destino.
Scriviamo perché reputiamo importante che in qualsiasi “trasferimento di” persone, piccole o grandi, sane o ammalate, capaci o no di intendere e volere, oltre che di un’ordinanza legale si abbia anche bisogno – per il tramite delle istituzioni sociosanitarie – di rassicurazione e di accompagnamento al mutamento di ambiente cui eventualmente si va incontro. Nel caso specifico, poi, reputiamo di dover presidiare i diritti delle persone a noi affidate. Esse presentano differenti patologie: sociali, psichiatriche, demenza senile, non autosufficienze fisiche e psichiche, e altro ancora; per alcune è avviato un valido processo verso l’autonomia, che ci ha visto coinvolti in prima persona.
Vogliamo continuare a condividere con loro – così come la legge ci impone – il consenso alle cure mediche o ai trattamenti sanitari. Abbiamo l’intenzione di sostenerle, con forza e determinazione, perché possano esprimere al massimo la loro volontà di decidere sul proprio benessere e sul proprio progetto di vita.
Come Amministratori di Sostegno rivendichiamo il diritto/dovere di partecipare attivamente ai programmi riabilitativi e assistenziali, riferiti ai differenti bisogni delle persone a noi affidate.
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