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Non sono più «l’eterno bambino», ora tocca a me insegnare!

Pablo Pineda nella scuola elementare di Cordoba dove ha tenuto una lezione di cinema«Da quindici anni appaio nei media e parlo di integrazione, di normalizzazione. Ma non bisogna stare sempre a spiegarlo alla gente. Sono venuto qui a fare una lezione, una lezione di cinema ed è quello che ho fatto, perché sono professore, indipendentemente dal fatto che abbia o meno la sindrome di Down».
A parlare è Pablo Pineda, la prima persona con sindrome di Down a ottenere in Europa un titolo universitario, dopo avere impartito una lezione sul cinema a un gruppo di ragazzi in una scuola elementare di Córdoba. «Ovvio che mi piacerebbe insegnare – dice – per questo ho studiato Magistero e per questo mi mancano quattro esami per finire Psicopedagogia. So però che se finisco a fare il maestro, l’impatto per la società potrebbe essere “brutale” [nell’originale spagnolo “bestial”, N.d.R.]. Le famiglie, infatti, continuano ad avere paura delle persone con la sindrome di Down, paura che diventino maestri, paura che diventino il fidanzato o la fidanzata dei loro figli…».

«Io però – continua Pineda – sono stanco di essere considerato come “l’eterno alunno”, “l’eterno bambino”. Ora tocca a me insegnare». E nella scorsa settimana lo ha fatto, con ventiquattro bambini che lo hanno ascoltato per tre quarti d’ora, come un insegnante qualunque. La lezione era speciale solo perché si parlava di cinema: Pineda, infatti, è stato tra i protagonisti del recente lungometraggio Yo También (“Anch’io”), ove interpreta stesso, e ha parlato agli alunni dell’importanza della sceneggiatura, della fotografia, della direzione degli attori, del potere della colonna sonora. Insomma, ha parlato – in modo semplice e didattico – di come si fa un film e il fatto che egli abbia un cromosoma n. 21 in più non è stato un dato rilevante per nessuno.
Il tema della sindrome di Down è venuto fuori in forma indiretta, solo quando una bimba ha chiesto il significato del titolo del film (“Anch’io”). «Si è trattato – ha spiegato Pineda – di una metafora utile a riaffermare i diritti delle persone con sindrome di Down: anch’io posso, anch’io posso farlo, anch’io posso studiare, anch’io posso innamorarmi». Tutti sono rimasti in silenzio. E la lezione è continuata.

*Curatrice della rassegna estera di «Redattore Sociale», testata sulla quale il presente articolo è già apparso. Lo abbiamo ripreso per gentile concessione.

L’articolo originale e integrale del quotidiano spagnolo «El País», da cui è tratta questa notizia, è disponibile cliccando qui. Suggeriamo anche la lettura, nel nostro sito, dei seguenti testi: Essere adulti e lavorare al di là dei pregiudizi, dedicato alla Giornata Mondiale della Sindrome di Down del 21 marzo (cliccare qui) e Non si balla: c’è un Down!, dedicato a una recente vicenda di discriminazione (cliccare qui).
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