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Inclusione e nuove professioni: assumere un assistente personale

Continua il viaggio di Superando attraverso le nuove professioni nate a partire dal processo di inclusione sociale delle persone con disabilità (per approfondire il significato e lo spessore di questo processo, si legga cliccando qui l’articolo sul tema a firma di Giampiero Griffo). Vogliamo in sostanza intervistare dei professionisti le cui attività lavorative scaturiscono in vario modo dal suddetto processo di inclusione. Abbiamo avuto il contributo di un docente universitario di Tecnologie per l’Autonomia (Andrea Micangeli) e di un’assistente personale (Giuseppina Mascaro). Oggi ci soffermiamo ancora sulla figura dell’assistente personale, per il suo ruolo centrale nel processo di autonomia e indipendenza delle persone con disabilità.
Per capire meglio nel concreto le sue caratteristiche ci rivolgiamo a un’esperta di Vita Indipendente, Elisabetta Gasparini, coordinatrice del Movimento per la Vita Indipendente e vicepresidente della Sezione veneziana della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).

È importante capire innanzitutto come cambia la vita di una persona con disabilità da quando ha assunto degli assistenti personali.
«Cambia totalmente perché può svolgere attività e compiere azioni che altrimenti non potrebbe compiere. Quando la mobilità si riduce, diminuisce ovviamente il numero di azioni autonome. Alcune vengono sostituite dalle azioni di altre persone, ma quando si tratta di familiari o amici, la persona con disabilità sente di non poter chiedere qualsiasi cosa per non disturbare troppo e allora raggiunge dei compromessi, rinunciando. Oppure, viceversa, si possono verificare delle situazioni di carico eccessivo per gli amici e i familiari. Inoltre, molto dipende dal carattere delle singole persone con disabilità. Alcuni si impigriscono e cominciano a desiderare sempre meno cose. Altri, se sono timidi, fanno fatica a gestire le richieste.
Assumere un assistente personale – che compia delle azioni con la persona o al suo posto, che la accompagni e aiuti a fare quello che non può – riequilibra la situazione perché quest’ultimo riceve uno stipendio proprio per eseguire le richieste della persona con disabilità che, di conseguenza, si sente libera di chiedergli anche più dell’indispensabile e può tornare a fare quello che desidera e come lo desidera».Elisabetta Gasparini, coordinatrice del Movimento per la Vita Indipendente

Quando una persona ha bisogno di assistenza continuativa, ventiquattro ore su ventiquattro, quanti assistenti dovrebbe assumere?
«Contando i turni da otto ore e i due giorni di pausa alla settimana, i periodi di ferie e gli eventuali permessi e malattie, direi minimo sei ma forse anche otto, tra assistenti fissi e occasionali per le sostituzioni o per eventi particolari».

Economicamente, il progetto di Vita Indipendente quanto copre?
«In Veneto il tetto massimo è di 1.000 euro al mese, che corrisponde a venticinque, trenta ore alla settimana nella migliore delle ipotesi».

Quando i fondi del progetto non sono sufficienti come si comportano le persone con disabilità?
«Devono arrangiarsi. Utilizzano quanto ricevono per l’indennità di accompagnamento e soldi propri, oppure sono costretti a non mettere in regola i propri dipendenti».

Qual è il contratto tipico con cui si assume un assistente personale?
«Generalmente si sceglie il contratto di collaborazione domestica perché permette di ottimizzare i costi, avendo dei contributi piuttosto bassi ed essendo flessibile e facile da gestire. Ci sono però dei punti critici per cui andrebbe rivisto. Ad esempio, la copertura assicurativa non comprende gli incidenti fuori casa, mentre è chiaro che l’assistente personale – a differenza del collaboratore domestico – esce spesso di casa con la persona con disabilità. Inoltre, questo contratto prevede che gli straordinari (serali, notturni e festivi) vengano pagati di più, ma per l’assistente personale è prevedibile lavorare anche in fascia serale e nei fine settimana: la diversa copertura oraria è una caratteristica specifica e una necessità di questo lavoro e, a volte, viene accettata da persone che la preferiscono, desiderando lavorare in ore non diurne e non in giorni feriali, come, ad esempio, gli studenti».

Torniamo al “lavoro nero” accennato prima.
«Ho osservato che si verifica soprattutto in due casi. O perché la persona con disabilità non ha sufficienti fondi da dedicare e quindi sceglie di non pagare i contributi, oppure per richiesta dell’assistente stesso, quando è straniero e clandestino oppure ancora quando – cittadino italiano o straniero regolare che sia – ha già un altro lavoro e non vuole pagare le tasse anche sul secondo».

Tra gli assistenti quanti sono gli stranieri?
«Più della metà».

E di questi quanti sono clandestini?
«Tanti».

Vedi una soluzione al problema del lavoro nero nell’ambito dell’assistenza personale?
«Servirebbe una sanatoria mirata a far emergere gli assistenti stranieri che, di fatto, già lavorano e che possano garantire una continuità di almeno un paio di anni (in questo momento non si può fare perché non ci sono quote). Inoltre, bisognerebbe inquadrare diversamente questo lavoro e assicurare ad esso una retribuzione più dignitosa. Se ciò avvenisse, potrebbe essere desiderato da più persone e non solo come occupazione occasionale ma fissa. Non mi sembra peggiore o più faticoso di molti altri, ma attualmente è molto più precario della maggior parte, perché la persona con disabilità spesso non è in grado di offrire contratti a tempo intederminato o comunque più tutelativi».

Come sarebbe la Vita Indipendente in Italia oggi se non ci fossero gli immigrati?
«Ancora più limitata. Non sono così tanti gli italiani, anche disoccupati, che scelgono di fare l’assistente personale alle persone con disabilità. Occorrerebbe uno sforzo culturale per conoscere le opportunità offerte e cambiare ottica nei confronti di questo lavoro, che d’altra parte dovrebbe venire equamente retribuito e avere garanzia di continuità. Se l’assistenza personale con pagamenti indiretti entrasse in tutta Italia nella rete dei servizi alla persona e si stanziassero sufficienti risorse, ci sarebbero molte più persone con disabilità con assistenti e si creerebbero nuovi posti di lavoro. Anche per le persone con disabilità stesse aumenterebbero le possibilità di lavorare, soddisfacendo i tanto sbandierati princìpi di inclusione sociale».

Come si recluta un assistente?
«Innanzitutto occorre fare un’autovalutazione dei propri bisogni e decidere quali requisiti sono necessari (età, forza fisica, sesso, patente, disponibilità oraria e in che fasce orarie eccetera) e compilare un annuncio. Tanto più questo è dettagliato, tanto più facile sarà trovare la persona giusta. Poi, si organizza un incontro o un periodo di prova, per poter reciprocamente decidere se iniziare il lavoro. Per me, ad esempio, sono fondamentali la capacità del candidato di alzarmi e la sicurezza con cui lo fa, la flessibilità nell’orario e la disponibilità a viaggiare. L’assistente che ho quotidianamente in casa la mattina non è la stessa persona che mi accompagna quando viaggio: loro hanno esigenze lavorative diverse».

Da che bacino si attinge per reclutare gli assistenti?
Due ombre: persona in carrozzina e sua assistente personale«Non esiste un luogo specifico. Ci si può rivolgere al vicino di casa fino ad arrivare alle liste di disoccupazione. Un buon luogo è l’università perché ci sono studenti che studiano e lavorano e cercano occupazioni flessibili. Per contattare gli immigrati ci si può rivolgere ai centri per l’impiego e anche alle parrocchie e ai centri di accoglienza. Il giornale potrebbe essere un buon veicolo, ma a volte c’è il rischio di venire fraintesi con gli annunci a sfondo sentimentale o sessuale (A.A.A. Cercasi ragazzo fisicamente forte come assistente personale nei viaggi per signora cinquantenne con disabilità. Massima serietà!…)».

Di solito che formazione specifica ha l’assistente personale e perché sceglie questo mestiere?
«Di solito non ha alcuna formazione specifica, anche perché se ne esistono nell’ambito socio-sanitario, non esiste invece alcuna formazione strutturata per diventare assistenti personali. Spesso accetta questo lavoro chi cerca un part-time. In buona parte hanno una motivazione più personale, ma per alcuni è una mera integrazione al guadagno mensile».

Di solito quanto dura un assistente?
«Allo stato attuale le persone abbandonano questo lavoro appena ne trovano un altro fisso e più remunerato. Ripeto: se l’assistente personale avesse un altro profilo professionale più qualificato e più tutelato, la situazione cambierebbe. Ma vi sono anche assistenti personali che lavorano per anni con la stessa persona con disabilità perché si trovano bene. Molto dipende anche dal carattere di entrambi».

Se in futuro si arrivasse a elaborare un percorso formativo specifico, quali dovrebbero essere le materie fondamentali?
«Non ci dovrebbe essere nessuna formazione: è la persona con disabilità che forma il proprio assistente spiegandogli di cosa ha bisogno e in che modo vuole che le varie azioni si realizzino. È bene che ciò sia chiarito e concordato sin dall’inizio: dev’essere semplicemente un accordo tra le parti per ciò che riguarda orari, stipendio, mansioni e modo di svolgerle».

Che evoluzione possibile intravedi per il futuro?
«Se l’assistenza autogestita entrerà a far parte dei servizi, si apriranno tutta una serie di situazioni nuove, si potrà combattere il lavoro nero,  si supererà la figura della badante, a mio avviso oggi troppo sfruttata, e si otterranno migliori garanzie contrattuali».

Che differenza c’è tra la badante e l’assistente personale?
«Una differenza curiosa è nel nome: la prima bada a, mentre il secondo assiste in modo personale. Non sempre questo corrisponde al vero, ma il concetto è molto importante. La differenza poi è nell’orario. Ci sono badanti – ovviamente non in regola – che lavorano fino a ventuno ore al giorno per sei o sette giorni alla settimana e vengono pagate meno di 1.000 euro al mese, anche se con vitto e alloggio, perché l’anziano o la persona con disabilità non hanno altri soldi a disposizione, ma hanno necessità di essere assistiti in modo continuativo. Questo accade perché oggi non abbiamo un sistema sociale in grado di supportare la non autosufficienza e tale difficoltà è coincisa con l’arrivo nella nostra penisola di immigrati disposti, loro malgrado, a lasciarsi anche sfruttare pur di guadagnare».(Barbara Pianca)

Nell’ambito di questo ciclo di servizi il nostro sito ha già pubblicato i seguenti testi:
– Se le persone con disabilità vengono incluse nella società, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: insegnare Tecnologie per l’Autonomia, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: l’assistente personale, disponibile cliccando qui.
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