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Inclusione e nuove professioni: ancora sulla Progettazione Universale

«Ogni volta che qualcuno firma un progetto dovrebbe sapere che sta decidendo chi sarà incluso e chi sarà escluso dalla sua opera...»Continua il percorso di Superando attraverso le nuove professioni nate dal processo di inclusione delle persone con disabilità. Abbiamo via via parlato di Informahandicap, di consulenza alla pari, di assistenza personale e di Progettazione Universale (Universal Design). Torniamo qui ancora una volta su quest’ultimo tema, che avevamo affrontato confrontandoci con il docente universitario Andrea Micangeli, intervistando questa volta Marco Bozzetti, collega e amico dello stesso Micangeli che però, oltre a frequentare il mondo universitario, appartiene anche a quello aziendale.

Gli chiediamo innanzitutto di raccontarci qual è la sua qualifica professionale in azienda e da quanto tempo la ricopre.
«Sono un Cost Control Senior Engineer, lavoro da quasi dodici anni in una multinazionale del settore petrolchimico e mi occupo di Controllo Costi. Parallelamente, affianco l’HSE aziendale [HSE sta per “Salute, Sicurezza e Ambiente”, N.d.R.] e il Dipartimento per la Responsabilità Sociale d’Impresa».

Qual è stato il suo percorso formativo?
«Mi sono laureato in Ingegneria Meccanica nel 1996 all’Università La Sapienza di Roma con una tesi sugli adattamenti per la guida degli autoveicoli a motore e sono abilitato all’esercizio della professione dal 1997. Nel 2002, mentre già lavoravo in azienda, ho conseguito un dottorato di ricerca sulla produzione di pannelli solari per l’utilizzo dell’energia solare termica, impiegando persone con disabilità fisica e/o disagio mentale».

Quando si occupa oggi di Universal Design?
«Parallelamente alla mia attività professionale quotidiana, mi occupo di Tecnologie per l’Autonomia e Universal Design, ambito nel quale mi è stato riconosciuto il titolo universitario di Cultore della Materia; inoltre ho ricoperto e ricopro incarichi di docente e co-docente, sono presidente della Commissione Ingegneria Sociale dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, presidente dell’Associazione ILITEC – Tecnologie per una Vita Indipendente, ho ricoperto incarichi istituzionali e fatto parte di Tavoli di Lavoro Tematici (ad esempio, ho contribuito all’elaborazione del Decrteo Ministeriale n. 4 del 1° marzo 2002, in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, dove sono presenti persone in situazione di disabilità)».

Perché ha deciso di specializzarsi in Universal Design?
«In realtà non è stata una “decisione” nel senso classico del termine, ma una naturale conseguenza del mio percorso personale e professionale. Credo fermamente che la disabilità non sia una caratteristica della persona, ma una condizione imposta ad alcuni quando la società in termini di strutture, strumenti e servizi non è realizzata tenendo conto delle diverse abilità delle persone. Questo è il concetto su cui si basa l’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Salute e della Disabilità, introdotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], che trasla la condizione dell’essere disabile dalla persona alla società, imputandone la causa ai professionisti (architetti, geometri e ingegneri). È infatti il progettista che decide, quando progetta e realizza la sua opera, chi sarà disabile oppure no, chi sarà incluso oppure escluso dall’opera stessa».

Nel lavoro ha a che fare con altri progettisti? E ritiene che la cultura dell’accessibilità si stia diffondendo tra loro?
«La mia professione mi porta a incontrare, in giro per il mondo, molti colleghi (per fortuna non solo ingegneri), che hanno a che fare con situazioni che determinano condizioni di disabilità. Ma mentre all’estero la cultura dell’accessibilità e dell’User Friendly [l’usabilità di un prodotto, N.d.R.] si sono estese, in Italia sono ancora poco diffuse in termini sociali. La realtà che ci circonda costituisce una concreta conferma a questa mia affermazione.
Ciò che però mi rende cautamente ottimista (sono ottimista di natura) è che – anche se per il momento solo in alcuni ambiti ristretti (Università, Fondazioni, Centri di Ricerca) – i concetti di accessibilità e pari opportunità iniziano a emergere prepotentemente. E anche le aziende – cosa fino a poco tempo fa neanche ipotizzabile – stanno lentamente rivedendo le loro politiche sull’inserimento lavorativo. Del resto sono convinto che un vero processo di progresso culturale non possa venire imposto per legge. Certamente la norma può essere d’aiuto, ma se non si riconosce l’utilità sociale collettiva di progettare e realizzare le opere in un certo modo, la normativa sarà sempre disattesa o, peggio, applicata in modo inopportuno».

Perché la costruzione di nuove opere pubbliche oggi talvolta non rispetta ancora la normativa sull’accessibilità?
«A questa domanda si potrebbe rispondere che nessuno fa i controlli, che si cercano le deroghe alle prescrizioni di legge e che il professionista che non costruisce in conformità alla normativa sull’accessibilità in Italia non viene radiato dall’albo. È tutto vero, ma credo che la questione di fondo sia un’altra, e cioè che manca la cultura della diversità come valore aggiunto per tutta la società. Il rispetto della normativa diventerà un fatto naturale solo quando sarà naturale includere nel main stream [letteralmente “flusso principale”, N.d.R.] anche persone con abilità diverse che non corrispondono al modello di normalità normante finora preso come riferimento».

L’azienda in cui lavora è accessibile?
«Personalmente non mi muovo con la sedia a ruote, anche se cammino utilizzando dei supporti. Posso però dire, in generale, che le strutture in cui l’azienda si sviluppa (parliamo della sede di Roma), sono nate già in larga parte accessibili. Nel corso degli anni, sia grazie all’aggiornamento della normativa, con particolare riferimento alla Safety, che impone crescenti standard di sicurezza, sia grazie alle nuove esigenze del personale, sono stati realizzati diversi interventi per adattare le strutture e i servizi aziendali a necessità. Il processo di continuo miglioramento non è destinato a concludersi e mira a migliorare la qualità della vita aziendale per tutto il personale, non solo per chi ha necessità specifiche.
Oggi, rispetto al passato, abbiamo inoltre un nuovo strumento legislativo: la normativa volontaria in materia di Responsabilità Sociale d’Impresa. Essere certificati conformi a tale normativa costituisce elemento di privilegio nei concorsi per gli appalti (a parità di altre condizioni), ma presuppone l’onere di considerare il rispetto della normativa vigente in materia, per esempio, di accessibilità e fruibilità dello spazio».

Quali sono le principali carenze in Italia che limitano l’applicazione concreta della Progettazione Universale rispetto ad altri Paesi europei? Abbiamo anche dei pregi specifici?
«La principale carenza in Italia sta nel fatto che manca ancora una cultura in cui la diversità sia realmente intesa come valore sociale e non come stigma. Ma, come dicevo prima, pur con lentezza anche da noi le cose stanno cambiando. Quanto ai nostri pregi, citerei le leggi sull’accessibilità, l’inclusione sociale e il collocamento obbligatorio/mirato. Anche se perfettibili, costituiscono un ottimo strumento verso l’auspicato cambiamento. Purtroppo, però, queste leggi non sono sempre applicate o lo sono in modo improprio. Inoltre, non costituiscono materia di studio fondamentale a livello universitario, per cui passa il messaggio che si tratti di “normative di serie B”, dedicate solo a specifici settori della popolazione».

Suggerirebbe a uno studente di architettura, urbanistica o ingegneria di specializzarsi in Progettazione Universale e perché?
«Assolutamente sì! Perché il futuro deve andare necessariamente in quella direzione. Uno spazio costruito che rispetta le abilità di tutti non solo favorisce chi si sposta utilizzando la sedia a ruote o spingendo un passeggino o trasportando un pacco, ma anche chi si sposta senza difficoltà apparenti: lo farà in modo ancora più semplice e naturale e, se non altro, con minor pericolo di farsi male. Chi si forma oggi per essere progettista e costruttore domani, deve sapere che, ogni volta che firma un progetto, decide chi sarà incluso e chi sarà escluso dalla sua opera. È questo che cerco di trasmettere anche ai miei studenti. È questa la grande sfida del futuro nella quale, nel mio piccolo, mi sono lanciato e nella quale credo fermamente».(Barbara Pianca)

Nell’ambito di questo ciclo di servizi il nostro sito ha già pubblicato i seguenti testi:
– Se le persone con disabilità vengono incluse nella società, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: insegnare Tecnologie per l’Autonomia, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: l’assistente personale, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: assumere un assistente personale, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: il consulente alla pari, disponibile cliccando qui.
– Inclusione e nuove professioni: il ruolo degli Informahandicap, disponibile cliccando qui.
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