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Perché quello «sgombero» deve riguardare tutti

Alcune persone rom di Via Rubattino dopo lo sgombero deciso dal Comune di MilanoQuanto è accaduto giorni fa a Milano, lo sgombero di un campo nomadi in Via Rubattino, deciso dal Comune senza rispettare le principali garanzie previste dal diritto internazionale (ossia la predisposizione di un’alternativa abitativa e lo sradicamento dei bambini dal quartiere, nel quale erano inseriti da tempo, anche nella frequenza scolastica), ci interroga da vicino – come persone impegnate rispetto ai temi della disabilità – a diffondere e a difendere i diritti previsti dalla stessa Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.

Il principio di non discriminazione, la pari dignità delle persone, sono questioni essenziali, rispetto alle quali non possiamo far finta di non vedere e di non sentire, e dunque non reagire come cittadini. Una comunità nella quale chi detiene l’autorità decide consapevolmente di limitare e violare i diritti minimi delle persone che vivono nel territorio – non solo per quanto concerne il tema della sicurezza e dell’igiene, ma anche per quanto riguarda i servizi sociali e l’aiuto alle famiglie – è una comunità più povera in termini di qualità della convivenza e del rispetto delle regole per tutti.
Non è sufficiente sapere che il potere civico gode del consenso di una vasta parte dell’opinione pubblica, impaurita e comunque insofferente di fronte alla presenza di minoranze come quella dei nomadi, specialmente di etnia rom. Il consenso popolare è stato – nella storia del nostro Paese e dell’Europa – la premessa dei totalitarismi e della persecuzione delle minoranze: rom, ebrei, omosessuali, disabili. Ignorare questa storia, e soprattutto non cogliere per tempo il nesso con il tempo presente non è solo negligenza o pigrizia individuale e collettiva. È venire meno alla coerenza con il nostro impegno, di singoli e di associazioni, in favore di una società inclusiva, attenta alle fragilità, vicina ai diritti dei più deboli. Come non indignarsi di fronte al destino incerto di bambini e mamme del tutto incolpevoli?
È evidente la complessità delle risposte da fornire a gruppi che faticano a vivere rispettando le regole della cittadinanza. Ma non si comprende in questo caso l’esibizione di forza, il non ascolto delle associazioni di solidarietà e perfino della Chiesa e dei suoi esponenti più responsabili e competenti.

Come LEDHA (Lega dei Diritti delle Persone con Disabilità), abbiamo il dovere di difendere i diritti di tutti, di uscire da una tutela “corporativa”, per condividere, con assoluta serenità, forme di pressione civica affinché la qualità della convivenza civile a Milano non sia indebolita da episodi che sono destinati a pesare come precedenti gravi anche per le politiche che più ci riguardano da vicino.

*Presidente della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità).
**Portavoce della LEDHA (e direttore responsabile di Superando).

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