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Come una pistola alla tempia

Espressione pensierosa di persona anziana vista di profiloC’è qualcosa che non mi convince nella vicenda che in questi giorni vede nuovamente in primo piano Salvatore Crisafulli, di Catania, la persona con grave disabilità uscita dal coma dopo un terribile incidente in moto avvenuto nel 2003.
Oggi Salvatore ha 45 anni, difficile una diagnosi obiettiva, e non mi addentro nei particolari di una delle classiche dispute attorno alle parole. Mi pare evidente, da quello che si legge, che si tratta di una persona che necessita di un’assistenza ventiquattr’ore al giorno, non potendo in modo autonomo svolgere alcuna attività fondamentale della vita quotidiana, dall’alimentazione alla cura di sé. Pare altrettanto evidente che si tratta di una persona con una residua capacità di esprimere la propria coscienza, attraverso movimenti degli occhi e degli arti.

La sua storia era già balzata negli anni scorsi alla ribalta della cronaca, per i ripetuti appelli del fratello Pietro, in contrapposizione frontale rispetto al comportamento della famiglia di Eluana Englaro [di Pietro Crisafulli il nostro sito aveva segnalato anche la fondazione dell’Associazione Sicilia Risvegli, di cui si legga cliccando qui, N.d.R.]. Non la morte, ma la vita dignitosa, chiedevano i parenti di Salvatore, stigmatizzando l’idea che si possa spegnere l’esistenza di una persona solo perché non è in grado di vivere in modo autonomo e pienamente cosciente.
Adesso il fratello annuncia un viaggio in Belgio per porre fine con un’iniezione letale alla vita di Salvatore, perché in Belgio l’eutanasia è consentita dalla legge. Un ultimo drammatico colpo di scena, per protestare contro la risposta debole e insoddisfacente delle istituzioni sanitarie e politiche della Regione.
«Siamo rimasti soli e non possiamo più aiutarlo – afferma Pietro Crisafulli – perché Salvatore ha bisogno di aiuto 24 ore su 24. Non possiamo fare altro, ci hanno abbandonati al nostro destino, allora meglio farlo morire: lui è al corrente di questa nostra decisione ed è d’accordo».

Mah. A me questa storia dà la sensazione di una “pistola puntata alla tempia di un ostaggio”, per costringere tutti a venire a patti, a intervenire per scongiurare il peggio. In questo modo, secondo me, si strumentalizza, si radicalizza una situazione oggettivamente estrema, puntando sulla spettacolarizzazione della notizia e sulla nota predisposizione dei media a occuparsi di storie esemplari.
Ma il fatto è che nella situazione di Salvatore si trovano in Italia alcune migliaia di persone e, ancora oggi, nonostante lo straordinario ed esibito impegno a favore della vita del Parlamento, non mi pare che ci siano stati provvedimenti organici a tutela delle persone in situazione di handicap gravissimo.

La mia sensazione è che Salvatore non andrà in Belgio, ci sarà un nuovo colpo di scena, interverranno a tutti i livelli per salvarlo, aiutando economicamente la famiglia in modo tale da garantire una migliore assistenza personale. Dopo di che la questione generale – del tutto nota a chi si occupa ogni giorno di disabilità grave –resterà ferma esattamente come prima.
Una recente inchiesta del settimanale «Vita» sulla considerazione nella quale viene tenuta in questo momento la famiglia dal Governo Nazionale, ma anche dai Governi Regionali, mi conferma nella convinzione che non è questa la strada per cambiare le cose. Non c’è di meglio infatti, per le autorità, che dimostrare in modo spettacolare benevolenza e compassione in un caso singolo, in modo tale che l’opinione pubblica si senta tranquillizzata, dopo aver vissuto l’angoscia per una morte annunciata con troppa enfasi.

In tutto questo, dubito che veramente Salvatore voglia farla finita. Ma questa è un’altra storia.

*Testo apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di Vita.blog, con il titolo: La pistola alla tempia.

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