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Dalle persone si parte e alle persone si ritorna

Lo sguardo dal basso
Resta un’esperienza di eccezionale valore l’aver imparato infine
a guardare i grandi eventi della storia universale dal basso,
dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, dei maltrattati,
degli impotenti, degli oppressi e dei derisi, in una parola, dei sofferenti.
Se in questi tempi l’amarezza e l’astio non ci hanno corroso il cuore,
se dunque vediamo con occhi nuovi le grandi e le piccole cose,
la felicità e l’infelicità, la forza e la debolezza; e se la nostra capacità
di vedere la grandezza, l’umanità, il diritto e la misericordia
è diventata più chiara, più libera, più incorruttibile;
se, anzi, la sofferenza personale è diventata una buona chiave,
un principio fecondo nel rendere il mondo accessibile attraverso
la contemplazione e l’azione: tutto questo è una fortuna personale.
Tutto sta nel non far diventare questa prospettiva dal basso
un prender partito per gli eterni insoddisfatti, ma nel rispondere
alle esigenze della vita in tutte le sue dimensioni; e nell’accettarla
nella prospettiva di una soddisfazione più alta, il cui fondamento
sta veramente al di là del basso e dell’alto.
Dietrich Bonhoeffer


Il percorso
«Abbiamo incontrato persone con disabilità che vivevano (e in molti casi ancora oggi vivono) in un IstitutoSiamo nati come la gran parte dei gruppi di volontariato. Voler fare, voler aiutare. Abbiamo incontrato persone con disabilità che vivevano (e in molti casi ancora oggi vivonoin un Istituto. Grande entusiasmo, grande voglia di fare, grande tensione identitaria. Si intrecciava un buon nucleo di volontariato di stile cattolico, con approccio compassionevole, e un altrettanto robusto nucleo di persone – anche qui con forte radice cristiana – con marcata prospettiva comunitaria. Uno degli obiettivi più importanti dei primi anni era proprio quello di fare comunità.
Non erano tempi di grandi domande sulla società, quanto su quello che noi potevamo fare con e per le persone. Un per e un con che si intrecciavano. Nello stesso momento abbiamo incontrato le persone del territorio, le persone con disabilità e le loro famiglie. Qui c’è stata una prima forte sensibilizzazione; non erano le persone che stavano in istituto che “prendevi e riportavi” la cui vita si svolgeva tutta lì; ma erano persone che vivevano una quotidianità come la nostra, erano o potevano essere i nostri vicini di casa, o di paese. Qualcuno, pochi, frequentava le scuole superiori, per i più si affacciava il vuoto del termine della scuola dell’obbligo. C’è stato poi l’incontro con i genitori, una realtà “nuova” per noi. I genitori con i loro problemi e soprattutto, ciò che vedevamo, con le loro paure rispetto ai figli.

Abbiamo incontrato le persone
C’è stato l’incontro con le persone, con i loro bisogni, le loro esigenze, i loro problemi. I loro diritti. Subito dopo c’è stato l’incontro con le Istituzioni. Sono stati passaggi cruciali; la richiesta da parte delle famiglie – la stragrande maggioranza con figli con grave disabilità intellettiva – di aiutarle perché il tempo libero dei loro figli era molto e molto poco occupato. Per molti finiva la scuola dell’obbligo; l’ipotesi scuole superiori non era presa in considerazione e si poneva il problema di una giornata che si trovava improvvisamente vuota per i figli e pienissima per i genitori.
Lì abbiamo cominciato a incontrare le Istituzioni, lì abbiamo preso coscienza, forse istintivamente, che la risposta non poteva essere il moltiplicare – sulle ali di tanto entusiasmo – gli interventi, ma lavorare perché fossero garantite risposte strutturate. Sicuramente ci hanno aiutato le riflessioni che in quei periodi andavamo leggendo; tra queste in particolare quelle di Giovanni Nervo, allora presidente della Caritas italiana. Si è trattato di un periodo in cui abbiamo imparato molto:
– non eravamo solo noi, i volontari, a decidere come e quando fare delle “attività”, ma erano, quelli che oggi si chiamano “utenti” a fare richieste, a porci domande;
– ai volontari era chiesto anche di fare altro; di impegnarsi per migliorare le condizioni di vita delle persone cui dedicavano del tempo;
– prendevamo man mano consapevolezza che c’erano delle Istituzioni che avevano il dovere di dare risposte a quei bisogni;
– c’erano dei professionisti del lavoro sociale (in quella fase non tanto gli educatori, quanto gli assistenti sociali);
– c’era la necessità che le famiglie si incontrassero per discutere dei loro problemi e vedere insieme come affrontarli.

Abbiamo incontrato le Istituzioni
«C'è stato poi l'incontro con i genitori, con i loro problemi e soprattutto con le loro paure rispetto ai figli...»Dunque passaggi importantissimi: le famiglie non come soggetto passivo; i volontari che si lasciano interrogare dalle situazioni e rispondono non solo con il fare, ma con l’impegno, perché alcune risposte siano garantite. Dunque attenzione e ascolto, conoscenza dei problemi, necessità di rappresentarli alle Istituzioni. Radicamento nel territorio, crescita della competenza rispetto ai problemi rappresentati, desiderio e volontà di risolverli.
L’incontro con le persone e con le istituzioni. L’incontro con i bisogni, con i diritti e con chi è chiamato a garantirli. All’interno di questa prospettiva si è sviluppato un permanente lavoro di promozione, informazione, tutela, formazione, coscientizzazione. Gli strumenti sono, tra gli altri, una sede aperta tutti i giorni, un centro documentazione, una rivista, un sito, un gruppo di auto mutuo aiuto.
Nel programma di quest’ultimo anno, oltre alla quotidiana attività promozionale e di tutela, c’è un po’ tutto delle nostre nature. Un corso di formazione – a carattere regionale – ad invito su Politiche sociali e politiche per la disabilità. Diritti ed inclusione, rivolto trasversalmente a volontari, familiari, operatori pubblici e del privato sociale; un corso di formazione per volontari e uno per familiari; un corso di formazione sulla legislazione sociosanitaria regionale e nazionale; un laboratorio autobiografico per familiari di persone con disabilità. Questo forte desiderio di tenere unite dimensioni diverse, raggio di uno stesso cerchio. Siamo sempre noi quando raccogliamo firme per potenziare i servizi, quando promuoviamo petizioni per aumentare i finanziamenti, quando denunciamo omissioni e inadempienze, quando cerchiamo di formare dei volontari e di accompagnare i genitori nella coscienza e consapevolezza dei propri diritti, ma anche nel sostenere la quotidiana fatica dell’assistenza. Un lavoro per che a volte può avere come conseguenza di diventare contro. Per la giustizia, la dignità l’uguaglianza; contro la disattenzione, il disinteresse, la strumentalità e l’ipocrisia.
«Un lavoro che trae linfa e si alimenta attraverso l'incontro con le persone...»Un lavoro che trae linfa e si alimenta attraverso l’incontro con le persone. Sono loro a sollecitarci, a ricordarci dei problemi concreti, dei bisogni insoddisfatti, dei diritti violati; sono loro che ci conducono ad affrontare i problemi, impedendoci di farci guidare da precomprensioni o approcci ideologici. Nei cammini lunghi il rischio è di fare, continuare a fare tante cose, ma di perdere le persone; e si perdono non perché non le vediamo più, ma perché perdiamo la capacità di metterci in ascolto, di ricordarci che il “tuo problema è il mio”, di desiderare di “sortirne insieme”, dimenticarci che proprio da quelle storie e situazioni siamo nati. Da lì si attinge la forza.

Tutelare i diritti e responsabilizzare la comunità
Ma c’è un altro punto assai delicato ed è quello di tenere insieme solidarietà e diritti ovvero una comunità attenta, responsabile e inclusiva, con Istituzioni capaci di mettere al centro dell’attenzione i deboli e i loro diritti. Rischi dai quali non siamo immuni, sui quali occorre vigilare con grande attenzione; è sotto gli occhi di tutti come i maggiori sostenitori del ruolo della comunità locale siano proprio quei responsabili istituzionali che dimostrano assoluta disattenzione – attraverso il disimpegno economico –  nei confronti delle fasce più vulnerabili. Un esempio straordinario in questo senso è il Libro Bianco del Governo sul Welfare. Sono posizioni strumentali, che si reggono su dichiarazioni valoriali prive di sostanza, che dobbiamo smascherare e rigettare con forza. Ma non possiamo non riflettere ed essere preoccupati rispetto a una comunità locale sempre più individualista e disinteressata; una comunità cui i problemi di chi è in difficoltà sembrano dare fastidio. Il diritto, se non è sostenuto da una forte consapevolezza e coscienza sociale, di fatto affievolisce. Diventa un diritto che se violato non suscita reazione; appare anzi ai più alla stregua di un privilegio.
Prendiamo ad esempio la questione dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. La nostra scuola non prevede esclusione; il diritto-dovere all’istruzione riguarda tutti. Ma se non è forte una coscienza inclusiva da parte di tutti, se la società non sente come una grave violazione il non rispetto di quel diritto, lo stesso è come se fosse attenuato. E come si attenua? Con la riduzione del sostegno, con l’indifferenza da parte degli insegnanti curricolari, con il palleggio di competenze e responsabilità rispetto all’igiene ecc.; con tutti quei meccanismi, insomma, che «Nella nostra scuola il diritto-dovere all'istruzione riguarda tutti, ma se non è forte una coscienza inclusiva da parte di tutti, quel diritto è come se fosse attenuato...»svuotano quel diritto, anche quando la stessa giustizia lo ristabilisce.
Qui è forse la maggiore difficoltà, che poi si dimostra e si trasla nell’insensibilità della politica rispetto alle esigenze dei soggetti più in difficoltà. Dei deboli e dei resi deboli come ci suggerisce Roberto Mancini [Università di Macerata, N.d.R.].

Volontariato come scuola di cittadinanza
Nella nostra esperienza il volontariato è linfa vitale quando coniuga solidarietà e diritti, quando sente la tutela del diritto dell’altro come proprio dovere. Volontariato come scuola di cittadinanza. Volontariato che desidera lasciare una comunità più ricca di umanità, più attenta, più solidale, più giusta. Un volontariato che tenta di esprimersi all’interno di contesti di normalità; volontari come cittadini che pongono attenzione ai bisogni, alle esigenze e ai diritti; persone che non segnano distanze, ma cercano di avvicinare fino a confondere. Si avvicinano allora – quando possibile – i tratti dell’amicizia. Possono a quel punto avvenire grandi cambiamenti tra tutti i soggetti della relazione.
Un volontariato capace di tessere alleanze nella chiarezza di obiettivi. Si rischia molto quando è povero di contenuti, ma voglioso di presenza. Quando si creano contenitori senza contenuti. Quando non ha molto da dire perché è fortemente assorbito dal fare, dal suo fare e pretende riconoscenza per sé e non per le persone con le quali lavora. Questo è il volontariato amato dalle Istituzioni, che difficilmente disturba, difficilmente pone alle Istituzioni stesse e alla comunità le istanze dei deboli. Qualche volta può alzare anche la voce, ma è una voce che tende alla genericità e all’equidistanza, che rischia di andare bene in ogni stagione; una voce che si fa sentire soprattutto per ricordare a se stessi e poi agli altri la propria esistenza.
E tuttavia è inutile nascondersi che un’attività di promozione e tutela richiede competenze che non è possibile inventarsi. Questo rimane un grosso tema e un grosso problema. Se i volontari sono tali, se cioè hanno un lavoro, una famiglia ecc., diventa assai difficile che possano diventare degli esperti; ritorna allora il tema delle alleanze nella chiarezza degli obiettivi; il mettere insieme energie, passioni, tensioni. Una debolezza che è anche la loro forza quando sono capaci – senza alcun interesse se non quello delle persone – di farsi portavoce di chi non è in grado di rappresentarsi. Quando si è capaci di mettersi in gioco, abbandonando qualche volta una calcolata prudenza, in difesa di chi non può farlo da solo.
«Volontari come cittadini che pongono attenzione ai bisogni, alle esigenze e ai diritti...»La proposta che da più parti viene fatta rispetto al volontariato professionale è interessante e utile; occorre però anche in questo caso non prendere scorciatoie; il professionista volontario può aiutare l’organizzazione, ma deve operare all’interno di un organismo che ha una propria linea d’azione; se infatti l’organizzazione è debole e non riesce a definire prospettive e obiettivi, il professionista volontario rischia di agire – a parte che per gli aspetti consulenziali – senza un orizzonte di riferimento. Un po’ come succede nelle Istituzioni quando a fronte della debolezza della politica si risponde con dirigenti e funzionari che nei fatti dettano l’agenda, fino ad arrivare in molti territori che la politica dei servizi non la fa neanche il dirigente, ma il/i gestori dei servizi.
Qui si profila un altro aspetto ed è quello formativo. Non di una formazione strettamente tecnica, ma davvero di una formazione alla cittadinanza. Sentire la responsabilità di offrire alle persone che si avvicinano alle nostre realtà luoghi vitali, aperti, riflessivi. Luoghi nei quali il pensiero fluisce. Luoghi nei quali si cresce come cittadini. Volontari che non diventano semplici turnisti, ma impegnati a costruire giustizia, a promuovere e a riconoscere dignità.

Quelli proposti sono solo alcuni spunti di riflessione alla luce della nostra esperienza: dalle persone si parte e alle persone si ritorna. In questo viaggio si incontrano le Istituzioni, si incontra la comunità, si incontra la politica; è impossibile non incontrare  la politica –  vorrebbe dire non fare il proprio mestiere di volontari – quando si lavora, perché la città sia di tutti e di ciascuno, perché a tutti siano date le medesime opportunità. Perché in questo modo si fa politica, quella autentica che vuole essere al servizio delle persone. Così abbiamo inteso il nostro far volontariato in questi anni. Un volontariato che richiama ai doveri di cittadinanza indicati dalla nostra Costituzione. Abbiamo dunque tentato di apprendere ad essere dei cittadini; perché un vero cittadino è anche un vero volontario (non può essere il contrario); colui che fa politica, quella limpida e autentica, esclusivamente orientata al bene comune.
In questo senso speriamo che questo “lavoro con le persone” ci abbia reso migliori, più attenti, più capaci di ascolto, più consapevoli dei nostri limiti, più certi che dietro alcune supposte mancanze si celano grandi possibilità. In una parola più umani.

*Intervento presentato il 27 marzo 2010 a Jesi (Ancona), nel corso del Convegno Quale futuro per le politiche sociali in Italia. Quale ruolo per le organizzazioni di volontariato, organizzato in corrispondenza del trentennale del Gruppo Solidarietà (il nostro sito ha presentato tale evento con il testo disponibile cliccando qui).

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