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È una ferita aperta la disabilità mentale nello Stato di New York

Persona di colore con problemi mentaliÈ passato quasi un anno da quando una Corte Federale ha decretato che lo Stato di New York ha violato la normativa federale sulla disabilità, collocando le persone con malattie mentali in “case” altamente restrittive, per alcuni versi peggiori degli ospedali psichiatrici che avrebbero dovuto sostituire. La Corte ha ordinato quindi al governatore David Paterson di offrire alle oltre 4.500 persone con malattie mentali dello Stato di New York l’opportunità di trasferirsi all’interno di realtà residenziali protette [nell’originale sempre “supportive housing” e d’ora in poi sempre tradotto come “realtà residenziali protette”, N.d.R.], dove poter vivere in indipendenza, con l’aiuto delle associazioni di servizio sociale.

Oltre ad essere eticamente corretto, tale provvedimento appare pienamente in linea con l’American with Disabilities Act (ADA), la fondamentale Legge Quadro statunitense del 1990, dove è previsto che le persone con disabilità debbano ricevere i trattamenti meno restrittivi possibili. Lo Stato di New York, invece, opponendo appello a tale decisione, non sembra proprio volerla accettare.
In realtà i veri e propri “fallimenti” del sistema di salute mentale nello Stato di New York erano già stati messi dettagliatamente a nudo in due distinti rapporti – promossi dallo Stato stesso – risalenti al 2002. In particolare, la Commissione Statale sulla Qualità delle Cure per le persone con disabilità mentali aveva riscontrato letteralmente «un modello pervasivo di incuria nelle residenze per adulti», sostenendo che i proprietari di tali strutture stessero aumentando i loro  profitti e accrescendo anche i costi del Medicaid – quel programma federale sanitario che provvede a fornire aiuti agli individui e alle famiglie con basso reddito – sottoponendo le persone a trattamenti medici non necessari ed eccessivamente costosi.
Un secondo gruppo di esperti, poi, nominato dall’allora governatore George Pataki, aveva fatto emergere come molte delle persone presenti in quelle “case” non sarebbero dovute essere lì e aveva ipotizzato una tempistica per indirizzarne circa seimila in realtà residenziali protette. Una procedura, questa, che sarebbe sembrata perfettamente ragionevole, dal momento che New York è nota a livello nazionale per gli sviluppi umani e innovativi, nei servizi residenziali, dove le persone con malattie mentali che non presentano alcun pericolo per se stesse e per gli altri possono riuscire a vivere in situazione di indipendenza. Ma, come detto, lo Stato di New York ha finora ignorato tali raccomandazioni.

Il giudice Nicholas Garaufis della Corte Federale Distrettuale di Brooklyn si è spinto anche oltre, in una sua ordinanza dell’inverno scorso, ove ha rilevato che, ponendo in isolamento le persone con malattie mentali in strutture altamente restrittive, «lo Stato di New York rende loro impossibile avere contatti con la più ampia comunità o apprendere quelle abilità sociali che potrebbero consentir loro di vivere in modo indipendente». Dal canto suo lo Stato ha sostenuto che rispettare queste decisioni sarebbe troppo costoso, ma tale spiegazione è stata recentemente rigettata anche dal Dipartimento di Giustizia, talmente turbato dal trattamento riservato alle persone con disabilità, da decidere di entrare nel merito del procedimento in favore dei querelanti.
Nella sua sentenza di primo grado, quindi, il giudice Garaufis ha negato ogni concretezza alla spiegazione legata agli alti costi. «L’evidenza – ha scritto infatti nella motivazione del provvedimento – dimostra che fornire servizi alle persone con malattie mentali in realtà residenziali protette, rispetto alle “Case per adulti” [nell’originale inglese “Adult Homes”, N.d.R.], non incrementerebbe i costi per lo Stato». Garaufis ha notato inoltre come quelle strutture siano più dispendiose in virtù dell’aumento vertiginoso dei costi del Medicaid. «I costi annuali complessivi  del Medicaid – ha affermato – per una persona  residente nelle “Case per adulti” sono mediamente di circa 15.000 dollari più alti della media dei costi Medicaid per una persona con malattia mentale inserita in un servizio residenziale protetto».
Il punto, dunque, è che le realtà residenziali protette sono sia più umane, sia – in ultima analisi – meno costose.

La situazione sembra ora avvicinarsi a una soluzione, dopo che – nel mese di giugno scorso – la Corte d’Appello degli Stati Uniti per il “Secondo Circuito” ha negato la richiesta dello Stato di New York di sospendere la sentenza di primo grado. Questo significa che – a processo ancora in corso – dovrà essere disposto comunque un meccanismo per trasferire almeno alcune di quelle persone in strutture residenziali protette, anche se – verosimilmente – la decisione migliore sarebbe quella di lasciar cadere del tutto l’appello e negoziare un accomodamento che potrebbe finalmente portare lo Stato a mettersi  in conformità con la legge federale sulla disabilità.

*Traduzione e adattamento di un editoriale pubblicato il 7 luglio 2010 da «The New York Times». Il testo originale è disponibile cliccando qui.

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