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Longevità e disabilità: le tecnologie che ci aspettano

Uomo anziano in carrozzina con la moglie anziana dietroSi è aperto in questi giorni in Danimarca il Forum Europeo sull’Ambient Assisted Living (AAL Forum), un programma comunitario dedicato alla “longevità attiva”, dove vengono presentate “soluzioni intelligenti” per le persone anziane o disabili, e si delineano i nuovi mercati che questa prospettiva apre (o dovrebbe aprire) nei Paesi economicamente avanzati.
Per il nostro Paese questo potrebbe rappresentare un ambito di sviluppo tecnologico, economico e sociale fondamentale, per rendere la nostra società sostenibile e inclusiva, ma – si sa – politici e mass media nostrani sono attualmente in ben altre faccende affacendati.
Quello che stupisce forse, ma non troppo, è la scarsa consapevolezza – e quindi partecipazione – da parte delle imprese di ausili e tecnologie assistive italiane, che stentano a comprendere l’attuale società dell’informazione – e la relativa economia della conoscenza – e quello che comporta a livello di nuovi prodotti e servizi, di organizzazione d’impresa, di relazione/comunicazione con il cittadino-paziente-cliente.

Invecchiamento e disabilità sono due condizioni sempre più strettamente legate e che – lo vogliamo o no – riguardano il prossimo futuro di tutti noi. Tutti speriamo di invecchiare e, possibilmente, bene. In Italia i dati statistici ci dicono però che, alla fine di una vita sempre più lunga (le proiezioni Istat indicano che nel 2051 un italiano su tre avrà più di 64 anni), ci aspettano alcuni anni difficili: non autosufficienza, condizioni di salute precarie (cronicità, comorbidità), solitudine ecc.
Ora tutto questo può essere un grosso problema – a livello sociale, familiare e personale (e si comprende l’attuale politica dello struzzo, con la testa sotto la sabbia, di chi preferisce non vederlo) – o potrebbe essere affrontato come una sfida e un’opportunità da cogliere.
Da una parte, infatti, l’insostenibilità dei costi può portare alla fine del welfare, dall’altra parte potrebbe invece diventare l’occasione di (ri)pensare uno stato sociale diverso, che parta dai bisogni speciali delle persone più fragili per cercare di riorganizzare una società inclusiva e di rilanciare un’economia sostenibile. Una strada indubbiamente più faticosa, ma – a parere di chi scrive – più giusta e soprattutto più degna di un Paese civile.

Un recente studio inglese (se ne legga cliccando qui) ha delineato come le tecnologie assistive potrebbero aiutare anziani e disabili a vivere più a lungo e meglio a casa propria nei prossimi vent’anni, individuando le seguenti principali possibilità:
– offrire una migliore e più economica assistenza sociale e sanitaria a domicilio – permettendo ad anziani e disabili di vivere a casa propria più a lungo – attraverso la teleassistenza e i servizi di telemedicina;
– fornire servizi che intrattengano, educhino e stimolino l’interazione sociale, in modo da arricchire la vita relazionale degli anziani e dei disabili che vivono in casa (servizi di partecipazione digitale);
– fornire servizi che incoraggino gli utenti a restare in forma e ad adottare sani stili di vita (servizi per il benessere);
– consentire agli anziani e ai disabili di lavorare da casa in modo da partecipare di più nell’economia e nella società (telelavoro).Uomo in carrozzina fotografato dall'alto

L’evoluzione tecnologica e di mercato dovrebbe portare a una riduzione sostanziale dei costi dei sistemi di telemedicina e teleassistenza, a un ampliamento della gamma di servizi e tecnologie assistive a disposizione di anziani e disabili, così come dovrebbe cambiare la natura del settore che fornisce le attrezzature: da uno in cui le aziende specializzate forniscono sistemi stand-alone “chiusi” (con proprio software e hardware integrato), a uno in cui le aziende specializzate sviluppano specifiche applicazioni software per le persone anziane e disabili, utilizzando però le normali piattaforme presenti sul mercato di massa, come i televisori o i dispositivi mobili (cellulari, palmari, iPad ecc,).
Ci si aspetta insomma di vedere sistemi di teleassistenza che utilizzino un più continuo monitoraggio dello stile di vita, lo sviluppo dei servizi di realtà aumentata per le persone con disabilità e teleassistenza per gli anziani quando sono fuori casa, attraverso SMS, servizi di navigazione e servizi per chi soffre di demenza e potrebbe vagare e perdersi ecc.

Questo insieme di iniziative utili a sostenere la qualità di vita delle persone in condizioni di debolezza e fragilità non si svilupperà però in modo certo e automatico, così come ci sono diverse sfide che i bisogni speciali di anziani e disabili pongono, come:
– permettere loro di avere il controllo su questi servizi e non far sentire che vengono loro imposti;
– offrire soluzioni personalizzate a basso costo e con la giusta quantità di informazioni che non diventi ingestibile dagli utenti;
– ottenere che gli utilizzatori potenziali valutino accuratamente le proprie esigenze (spesso gli anziani – contrariamente al parere dei professionisti – pensano di non averne ancora bisogno);
– affrontare le preoccupazioni sulla privacy e la riservatezza dei dati o la paura che le soluzioni assistive – ad esempio la videotelefonia – sostituiscano le relazioni faccia a faccia con chi li assiste;
– conciliare le esigenze degli utenti dei servizi e quelle dei loro familiari;
– progettare e fornire attrezzature e ausili che l’utente non percepisca come stigmatizzanti (come malato e/o disabile).

Per questo – mette in evidenza il citato studio inglese – sarà fondamentale il ruolo degli attori istituzionali nell’adozione e nel sostegno di questo tipo di sviluppo (misure per la disponibilità, la consapevolezza, l’accessibilità e la convenienza delle tecnologie assistive), e dovranno venire superati diversi ostacoli. In particolare:
° non ci sono ancora prove su grande scala per convincere i professionisti sanitari dell’efficacia dei servizi e delle tecnologie assistive e d’altra parte gli operatori socio-sanitari hanno pochissima esperienza nel loro utilizzo;
° ci sono pochi incentivi finanziari per investire in queste tecnologie all’interno del Servizio Sanitario Nazionale e a livello locale; inoltre si è ancora indietro con lo sviluppo della sanità elettronica e del Fascicolo Socio-Sanitario del cittadino;
° va trovato un rapporto complementare e collaborativo tra pubblico e privato nel (co)finanziare le soluzioni assistive e nel condividerne i dati.

Inoltre – come commenta David Sinclair dell’International Longevity Centre (se ne legga cliccando qui il contributo in inglese – «parte del problema è che non vi è alcuna reale pressione sul governo (o anche sull’industria/il settore del volontariato) per affrontare le sfide delineate. Né l’industria né il settore del volontariato (che principalmente hanno l’attenzione focalizzata sulle principali questioni di come pagare le cure) sono diventati dei sostenitori adeguati delle nuove tecnologie. Non è chiaro chi dovrebbe assumersi la leadership, ma se lo scenario ottimistico dipinto da Plum [lo studio inglese sopracitato è stato pubblicato da «Plum Consulting», N.d.R.] dovrà diventare una realtà prima o poi i leader devono essere trovati».

L’invecchiamento e la disabilità sono questioni che toccano ogni cittadino. Sarebbe bello se iniziassimo tutti a rendercene conto. A ottobre si terrà il secondo Forum Italiano sull’Ambient Assisted Living [AAL, Trento, 6-8 ottobre 2010, N.d.R.] e sarà interessante vedere l’attenzione che esso richiamerà.

*Testo apparso in Disabili.com (con il titolo di Le tecnologie per la longevità e la disabilità che ci aspettano) e qui ripreso per gentile concessione dell’Autore.

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