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Se l’invalidità è «roba da vecchi»

Uomo anziano in carrozzina insieme a una donna anzianaL’ennesima riprova è arrivata ed è la conferma che ciò che da un pezzo (in pochi) pensiamo ha una dimostrazione nei dati assoluti e percentuali: l’invalidità è “roba da vecchi”. Chi infatti avesse voglia e tempo di sfogliarsi le duecento e rotte pagine del Bilancio Sociale dell’INPS 2009, presentato nelle scorse settimane, potrebbe verificare la fondatezza di questa perentoria affermazione, che non ha nulla di grave, ma ha dei risvolti significativi.
Al 31 dicembre 2009 le provvidenze erogate agli invalidi civili, ciechi e sordi erano 2.637.394. In questo conto ci sono indennità (frequenza, comunicazione, accompagnamento), pensioni, assegni agli invalidi parziali e pensioni sociali corrisposte agli ultrasessantacinquenni invalidi (che non superano un infimo limite di reddito).
Tale cifra non corrisponde al numero degli invalidi civili perché parte di loro ricevono più prestazioni (ad esempio pensione + indennità di accompagnamento; indennità di accompagnamento + assegno sociale ecc.). Quindi, non corrisponde al vero l’affermazione che in Italia ci siano 2 milioni e 600 mila invalidi civili, sin troppo diffusa nei mesi scorsi: sono meno.

Bene: prendiamo ora quel blocco di 2.637.394 prestazioni e spezziamolo in due. Da una parte vi sono 832.566 pensioni, dall’altra 1.804.828 indennità (di accompagnamento, comunicazione, frequenza). Le indennità sono quelle che spettano, per sommi capi, alle persone con disabilità più grave e non prevedono (salvo la frequenza) limiti di età o di reddito. Sono quelle che costano di più allo Stato.
Della somma di tutte le pensioni e di tutte le indennità, il 53% viene erogato a persone con più di 65 anni e il 35,7% dei percettori di pensione o indennità ha più di 80 anni. Un dato, questo, che già ci dice come le prestazioni totali per invalidità siano sbilanciate sulla terza età.
Il contrappeso, però, diventa ancor più marcato se riferito alle sole indennità: il 73,3% delle indennità, infatti (1.323.709 su 1.804.828), viene erogato a persone con più di 65 anni. Per l’esattezza le quote sono: il 49,7 agli ultraottantenni e il 23,6% a persone fra 65 e 79 anni.
Appare del tutto chiaro, quindi, che quasi la metà delle indennità di accompagnamento vengono erogate a persone con più di 80 anni e che solo il 26,7% di esse vanno a persone con meno di 65 anni.

A questo punto le considerazioni possono essere le più diverse. Mi fermo a tre. La prima, e la più evidente, che varrebbe anche in assenza di queste peculiarità, è che si risponde allo stesso modo e con gli stessi importi a bisogni che sono – con tutta evidenza – diversi fra loro: quelli dell’anziano, quelli del minore, quelli dell’adulto. Sia chiaro, le necessità dell’anziano e della sua famiglia non sono né meno gravi né meno impellenti di quelle dei minori: sono semplicemente diverse.
La seconda considerazione è una spiegazione per l’aumento del numero di provvidenze economiche per invalidità: questo picco – crescita negli ultimi cinque anni del 25,5%, pari a oltre mezzo milione di trattamenti – è sicuramente connesso all’aumento dell’età media (più marcato in alcune Regioni) e alla conseguente incidenza di alcune patologie (demenza senile, Alzheimer…), non certo a un proliferare di “furbetti” o di accertamenti allegri.
A questo si aggiunga un fenomeno noto a chi è vicino a questi problemi. Il progressivo taglio di finanziamenti agli Enti Locali per le politiche sociali spinge gli operatori dei Comuni a consigliare gli utenti anziani a richiedere il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento. Quella provvidenza, in caso di ricovero, viene assorbita dal Comune e in caso di necessità assistenziali domiciliari, viene usata per pagare gli addetti all’assistenza. È un effetto “fisiologico”: si cercano risorse dove è possibile trovarle.

Infine, la terza considerazione, la più complessa, e cioè che i “costi” per l’invalidità civile sono in larga misura una spesa per i problemi tipici dell’invecchiamento della popolazione, fenomeno positivo, ma che porta anche alcune necessità assistenziali. Di questo elemento ci si scorda molto spesso, preferendo ricondurre l’immaginario collettivo al prototipo del disabile come “bimbo con sindrome di Down”, come “ragazzo paraplegico”, come “adulto cieco”. Al contrario – con il conforto degli attuali dati – l’invalido civile più tipico ha più di 80 anni ed è affetto da Alzheimer.
Cosa c’è “di male” in tutto questo? Nulla in particolare, ma forse è il momento di disgiungere le voci di spesa e di agire in modo diverso – nell’accertamento, nei requisiti, negli importi, nei servizi – a seconda dell’età e dei bisogni delle persone con disabilità diverse.

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