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Leggere la Convenzione dal principio alla fine, senza pregiudizi

Ragazza in carrozzina fotografata di spalle, con le braccia aperteC’è chi ha scritto, anche recentemente, che la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e la sua ratifica da parte di uno Stato significherebbe promuovere e permettere l’aborto e l’eutanasia, oltre a far correre rischi concreti di sterilizzazione forzata delle persone con disabilità. Ebbene, sfido chiunque a trovare nel testo della Convenzione alcuna parola, alcun accenno sia all’aborto che all’eutanasia o alla sterilizzazione, in forma esplicita o anche sottintesa. Ma a questo punto ritengo necessarie alcune premesse.

Innanzitutto bisogna dire che i testi delle Convenzioni – qualsiasi testo – vanno letti in toto, non solo dal primo all’ultimo articolo, ma anche nei loro Preamboli che ripercorrono e riprendono il percorso dei diritti umani che ha portato alla scrittura dei testi in questione. Infatti, la lettura del testo integrale – che suggerisco a tutti – va fatta proprio alla luce del principio di universalità dei diritti che oltre a dichiarare come i diritti umani siano “per ciascuno e per tutti”, per chi ne è consapevole (ed è in grado di farli valere) e per chi non lo è, dice anche che per i diritti elencati nei vari articoli vige l’obbligo di rispettarli tutti, dal primo all’ultimo.
Nel caso specifico della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, una lettura integrale può ad esempio far conoscere – all’articolo 1 lo scopo stesso del Trattato, che è quello di «promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità».
Sempre all’articolo 1, poi, nel passaggio ove si scrive che «per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri», viene sgombrato ogni dubbio sulla presunta differenziazione tra disabili mentali e disabili fisici, collocando tutte le persone – anche quelle con disabilità – sullo stesso livello di godimento dei diritti umani e quindi civili, economici e sociali, compresi quelli inerenti la salute (inclusa pertanto la prevenzione e la cura delle malattie anche mentali).
E ancora, consiglio di leggere l’articolo 3, che elenca i princìpi generali e cioè: «(a) il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l’indipendenza delle persone; (b) la non discriminazione; (c) la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società; (d) il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa; (e) la parità di opportunità; (f) l’accessibilità; (g) la parità tra uomini e donne; (h) il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità».

Per quanto poi riguarda la ragione stessa della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione – tramite la Legge 18/09 – oltre ad essere la realizzazione dell’impegno assunto nel 2007 in fase di firma, essa è da ritrovarsi nell’articolo 4 (Obblighi generali), che recita: «Gli Stati Parti si impegnano a garantire e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza discriminazioni di alcun tipo sulla base della disabilità. A tal fine, gli Stati Parti si impegnano: (a) […]».
L’Italia, dunque, ratificando e inserendo nel proprio contesto giuridico nazionale i princìpi e i valori della Convenzione, si è assunta l’impegno di rispettare i diritti umani, astenendosi da azioni che potrebbero violarli; di proteggerli, assicurando che tutti gli altri, diversi dallo Stato, li rispettino; e infine di assicurarli, assumendo tutte quelle misure legislative, finanziarie, politiche, sociali, educative ecc., volte a migliorarne il godimento (dei diritti umani, appunto).

Ma torniamo a quanto detto all’inizio e cioè alle ragioni per cui credo che nella Convenzione non vi sia alcun accenno né all’aborto, né all’eutanasia, né tanto meno alla sterilizzazione forzata.
La Convenzione stessa, infatti, interviene per dare dignità e valore alle persone con disabilità e proteggerle dal punto di vista legale da trattamenti che per secoli le hanno relegate ai margini della società, segregate in istituti, nascoste nelle case, uccise, maltrattate, escluse dall’accesso ai diritti, ai beni e ai servizi.
Genitori con figlio disabileBisogna leggerne bene il testo per capire che essa vieta trattamenti discriminatori, che hanno impedito e tuttora impediscono alle persone con disabilità di godere di tutti i diritti umani delle altre Convenzioni ONU su base di eguaglianza rispetto agli altri cittadini. Bisogna leggerla fino in fondo, per scoprire la presenza di una serie di articoli che intervengono a modificare l’approccio tradizionale che relega le persone con disabilità nel ruolo di malati ai quali rispondere solo attraverso interventi di assistenza caritatevole.
E nessuno può nemmeno permettersi di affermare che la Convenzione neghi il valore della carità e dell’assistenza: essa semplicemente respinge un approccio legato esclusivamente allo stato di bisogno e  non al diritto.
Così vi si parla di diritti inalienabili, anche se spesso violati, come il Diritto alla vita (articolo 10), l’Uguale riconoscimento come persona dinanzi alla legge (12), la Protezione dell’integrità della persona (17),  i trattamenti istituzionalizzati da superare attraverso la Vita indipendente e l’inclusione nella società (19), la Mobilità personale (20), l’Accessibilità (9 e 21), il Rispetto per la casa e la famiglia (23), per la Vita privata (22), l’accesso in eguaglianza di opportunità alla Salute (25), all’Educazione (24) e al Lavoro (27).
La Convenzione, insomma, difende i diritti alla vita delle persone con disabilità al momento della nascita e non si dimentica di quelle che vivono discriminazioni, mancanza di pari opportunità e ostacoli e barriere alla piena partecipazione sociale e all’accesso a tutti i diritti di cittadinanza.

Noi – le persone con disabilità e le loro famiglie – difendiamo il diritto alla vita, la nostra vita, sapendo che tale diritto è sempre più debole e difficile da difendere, stante l’unica, continua e incessante propaganda dell’ «indegnità della vita quando è presente una disabilità».
Le persone con disabilità accedono alla vita solo – e sottolineo solo – se i loro genitori sfidano questo stereotipo e resistono alle continue pressioni che i medici, detentori unici del diritto a sentenziare sulla qualità della nostra vita, fanno su di loro affinché decidano di interrompere quella vita «indegna di essere vissuta».
Questa Convenzione, dunque, non potrà fermare quei genitori che rinunciano ai loro figli perché spaventati dalla disabilità. Ma certamente non fermerà nemmeno quei genitori che vorranno generare vita nonostante la disabilità dei loro figli e nonostante la visione negativa e lo stigma che la società trasferisce sulle persone con disabilità.
Queste ultime, insieme alle loro famiglie, da molto tempo stanno cercando di spezzare la cortina di fumo che avvolge questi temi. Più volte, e inutilmente, abbiamo chiesto spazio sui mezzi di comunicazione per confutare ad esempio le tesi del cosiddetto Protocollo di Groeningen [“Eutanasia per i neonati gravemente malati”, N.d.R.] o del Collegio degli Ostetrici e dei Ginecologi Inglesi [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.] che chiedono, loro sì, l’eutanasia dei neonati disabili e l’aborto dei feti.

Uomo in carrozzina che esce da un labirintoPer quanto poi concerne l’accesso ai servizi sanitari – compresi quelli relativi alla sfera sessuale e riproduttiva – quanto prescrive la Convenzione significa finalmente ammettere che le persone con disabilità possano avere una vita affettiva e riproduttiva e quindi riconoscere loro la possibilità di vivere questa vita, quando questa è consapevolmente possibile, non da “eterni figli”, ma da protagonisti.
Affermare perciò che questo Trattato possa essere usato per negare il diritto alla vita della persone con disabilità significa pensare che la salute riproduttiva appartenga solo alle persone non disabili, che possono decidere se abortire o meno. Invece l’articolo 25 della Convenzione è dedicato alle persone con disabilità, uomini e donne, che attualmente e normalmente non possono accedere – prima ancora che all’aborto – ai basilari servizi sanitari di prevenzione e cura delle patologie, anche quelle riguardanti la sfera riproduttiva. Parlo degli screening di prevenzione per i tumori al collo dell’utero, alla mammella, alla prostata. E parlo anche dell’impossibilità, o  peggio del rifiuto, a sottoporre ad esami complessi e costosi, nonché a trattamenti chemioterapici, persone con disabilità intellettiva.
Che dire poi dell’esclusione a poter ricevere un organo per le persone con disabilità intellettiva grave e medio-grave, come prescrivono ad esempio le Linee Guida per la valutazione e l’assistenza psicologica in area donazione-trapianto della Regione Veneto? [Di questo si legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.].
Se invece qualcuno per caso pensasse a un “via libera” all’aborto sulle donne  con disabilità, specialmente intellettiva, vittime di violenze e abusi sessuali, rispondiamo che purtroppo questa Convenzione non potrà fermare tali abusi e le loro nefaste conseguenze, ma certamente farà diventare colpa grave degli atti sempre e ovunque impuniti anche nella nostra cattolica Italia.
L’articolo 25 va letto e vi si troverà così un linguaggio chiaro e semplice nel trattare il diritto alla salute e anche “piacevoli sorprese” al paragrafo (f) [«prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità», N.d.R.].

Vorrei infine concludere pensando a chi ha anche polemizzato con l'”intralcio burocratico” e l'”esborso di spese” che sarebbe causato dall’istituzione – nella Legge 18/09 di ratifica della Convenzione da parte dell’Italia – dell’Osservatorio sulla Condizione delle Persone con Disabilità.
In realtà si tratta di un obbligo, derivante dalla stessa ratifica, che le Nazioni Unite pongono sugli Stati Parte. In pratica l’ONU – consapevole che ogni ratifica rischia di diventare una nuova legge utilizzata solo nelle citazioni – chiede e controlla che i vari Paesi sviluppino attività di monitoraggio dell’applicazione della Convenzione attraverso uno specifico organismo.
In questo Osservatorio [della cui composizione si legga in questo sito cliccando qui, N.d.R.], le organizzazioni di persone con disabilità e dei loro familiari, attraverso i propri rappresentanti, esercitano il diritto (riconosciuto dall’articolo 4 della Convenzione) di essere protagonisti del processo di inclusione sociale e della loro partecipazione alle decisioni che riguardano la loro vita. In poche parole: Niente su di Noi Senza di Noi.
Infine, rispetto ai costi, la legge parla di 500.000 euro per un periodo di cinque anni e pochi o tanti che siano, non saranno certo le persone con disabilità a sprecarli in attività senza senso. Siamo abituati all’essenzialità e ci teniamo anche alla nostra autonomia.
Nei sei anni di scrittura  della Convenzione, sia nelle sessioni invernali che in quelle estive, al Palazzo delle Nazioni Unite di New York, abbiamo sempre partecipato agli incontri dell’Ad Hoc Committee [l’organismo che ha definito la Convenzione, N.d.R.], senza pesare sul bilancio dello Stato. Abbiamo fatto sacrifici, abbiamo letteralmente “sputato sangue”, ma nemmeno un euro dei contribuenti è stato usato.

*Presidente del CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità).

La Convenzione sulla Disabilità nel mondo: chi ha ratificato

Ad oggi, 6 dicembre 2010, sono esattamente 96 i Paesi che appaiono nell’elenco ufficiale prodotto dall’ONU, come ratificatori della Convenzione, più l’Unione Europea (23 dicembre 2010). Si tratta esattamente di (l’ordine è cronologico ed è quello che risulta dalla data pubblicata nel portale dell’ONU):
– Giamaica (30 marzo 2007) – Ungheria (20 luglio 2007) – Panama (7 agosto 2007) – Croazia (15 agosto 2007) – Cuba (6 settembre 2007) – Gabon (1° ottobre 2007) – India (1° ottobre 2007) – Bangladesh (30 novembre 2007) – Sudafrica (30 novembre 2007) – Spagna (3 dicembre 2007) – Namibia (4 dicembre 2007) – Nicaragua (7 dicembre 2007) – El Salvador (14 dicembre 2007) – Messico (17 dicembre 2007) – Perù (30 gennaio 2008) – Guinea (8 febbraio 2008) – San Marino (22 febbraio 2008) – Giordania (31 marzo 2008) – Tunisia (2 aprile 2008) – Ecuador (3 aprile 2008) – Mali (7 aprile 2008) – Egitto (14 aprile 2008) – Honduras (14 aprile 2008) – Filippine (15 aprile 2008) – Slovenia (24 aprile 2008) – Qatar (13 maggio 2008) – Kenya (19 maggio 2008) – Arabia Saudita (24 giugno 2008) – Niger (24 giugno 2008) – Australia (17 luglio 2008) – Thailandia (29 luglio 2008) – Cile (29 luglio 2008) – Brasile (1° agosto 2008) – Cina (1° agosto 2008) – Argentina (2 settembre 2008) – Paraguay (3 settembre 2008) – Turkmenistan (4 settembre 2008) – Nuova Zelanda (25 settembre 2008) – Uganda (25 settembre 2008) – Austria (26 settembre 2008) – Costarica (1° ottobre 2008) – Vanuatu (23 ottobre 2008) – Lesotho (2 dicembre 2008) – Corea del Sud (11 dicembre 2008) – Ruanda (15 dicembre 2008) – Svezia (15 dicembre 2008) – Oman (6 gennaio 2009) – Azerbaijan (28 gennaio 2009) – Uruguay (11 febbraio 2009) – Germania (24 febbraio 2009) – Yemen (26 marzo 2009) – Guatemala (7 aprile 2009) – Marocco (8 aprile 2009) – Sudan (24 aprile 2009) – Isole Cook (8 maggio 2009) – Mongolia (13 maggio 2009) – Italia (15 maggio 2009) – Gran Bretagna (8 giugno 2009) – Belgio (2 luglio 2009) – Siria (10 luglio 2009) – Haiti (23 luglio 2009) – Burkina Faso (23 luglio 2009) – Danimarca (24 luglio 2009) – Serbia (31 luglio 2009) – Repubblica Dominicana (18 agosto 2009) – Malawi (27 agosto 2009) – Portogallo (23 settembre 2009) – Laos (25 settembre 2009) – Repubblica Ceca (28 settembre 2009) – Turchia (28 settembre 2009) – Seychelles (2 ottobre 2009) – Iran (23 ottobre 2009) – Montenegro (2 novembre 2009) – Tanzania (10 novembre 2009) – Bolivia (16 novembre 2009) – Algeria (4 dicembre 2009) – Mauritius (8 gennaio 2010) – Zambia (1° febbraio 2010) – Ucraina (4 febbraio 2010) – Francia (18 febbraio 2010) – Lettonia (1° marzo 2010) – Canada (11 marzo 2010) – Bosnia-Erzegovina (12 marzo 2010) – Emirati Arabi Uniti (19 marzo 2010) – Maldive (5 aprile 2010) – Nepal (7 maggio 2010) – Slovacchia (26 maggio 2010) – Etiopia (7 luglio 2010) – Malaysia (19 luglio 2010) – Lituania (18 agosto 2010) –  Senegal (7 settembre 2010) – Moldavia (21 settembre 2010) – Armenia (22 settembre 2010) – Nigeria (24 settembre 2010) – Sierra Leone (4 ottobre 2010) – Saint Vincent e Grenadine (29 ottobre 2010).  

Per quanto riguarda invece il Protocollo Opzionale alla Convenzione (testo che consentirà al Comitato sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità di ricevere anche ricorsi individuali – di singoli o di gruppi di individui – e di avviare eventuali procedure d’inchiesta), a ratificarlo sono stati finora i seguenti 60 Paesi:
– Ungheria (20 luglio 2007) – Panama (7 agosto 2007) – Croazia (15 agosto 2007) – Sudafrica (30 novembre 2007) – Spagna (3 dicembre 2007) – Namibia (4 dicembre 2007) – El Salvador (14 dicembre 2007) – Messico (17 dicembre 2007) – Perù (30 gennaio 2008) – Guinea (8 febbraio 2008) – San Marino (22 febbraio 2008) – Tunisia (2 aprile 2008) – Ecuador (3 aprile 2008) – Mali (7 aprile 2008) – Slovenia (24 aprile 2008) – Bangladesh (12 maggio 2008) – Arabia Saudita (24 giugno 2008) – Niger (24 giugno 2008) – Cile (29 luglio 2008) – Brasile (1° agosto 2008) – Argentina (2 settembre 2008) – Paraguay (3 settembre 2008) – Uganda (25 settembre 2008) – Austria (26 settembre 2008) – Costarica (1° ottobre 2008) – Ruanda (15 dicembre 2008) –  Svezia (15 dicembre 2008) – Azerbaijan (28 gennaio 2009) – Germania (24 febbraio 2009) – Yemen (26 marzo 2009) – Guatemala (7 aprile 2009) – Marocco (8 aprile 2009) – Sudan (24 aprile 2009) – Isole Cook (8 maggio 2009) – Mongolia (13 maggio 2009) – Italia (15 maggio 2009) – Belgio (2 luglio 2009) – Siria (10 luglio 2009) – Haiti (23 luglio 2009) – Burkina Faso (23 luglio 2009) – Serbia (31 luglio 2009) – Gran Bretagna (7 agosto 2009) – Repubblica Dominicana (18 agosto 2009) – Australia (21 agosto 2009) – Portogallo (23 settembre 2009) – Turchia (28 settembre 2009) – Montenegro (2 novembre 2009) – Tanzania (10 novembre 2009) – Bolivia (16 novembre 2009) – Nicaragua (2 febbraio 2010) – Ucraina (4 febbraio 2010) – Francia (18 febbraio 2010) – Bosnia-Erzegovina (12 marzo 2010) – Nepal (7 maggio 2010) – Slovacchia (26 maggio 2010) – Honduras (16 agosto 2010) – Lituania (18 agosto 2010) – Lettonia (31 agosto 2010) – Nigeria (24 settembre 2010) – Saint Vincent e Grenadine (29 ottobre 2010) – Turkmenistan (10 novembre 2010).

Per ulteriori approfondimenti: www.un.org/disabilities.

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