Questa è una delle testimonianze che più mi addolora dover fornire perché presenta tutta l’impotenza con cui spesso ci si trova a dover fare i conti – noi “comuni mortali” -, con l’inefficienza, la poca professionalità, l’incompetenza, l’indifferenza e la presunzione di molti appartenenti alla classe medica.
Mia figlia Claudia ha quasi 38 anni e abbiamo sempre pensato – viste anche le risposte che negli anni sono state date alle nostre domande di genitori – che la sua grave disabilità fosse stata causata da complicazioni insorte al momento della nascita. Non è così, ora sappiamo che non è così.
Parecchie volte, nel corso degli anni, mi era venuto il dubbio che Claudia, la mia dolce Claudia, che “parlava con gli occhi”, che comunicava con il sorriso, che aveva perso tutte le potenzialità acquisite, avesse una malattia genetica conosciuta come sindrome di Rett (nota anche come “malattia delle bimbe dagli occhi belli”).
Tante volte il dubbio si affacciava e mi ponevo delle domande: lei camminava, pur incerta ma camminava, e ha smesso; lei aveva iniziato a parlare, e ha smesso; lei masticava e deglutiva benissimo, e ha smesso; lei prendeva con le mani gli oggetti, e ha smesso. Come mai? Ne parlavo con i medici e mi dicevano semplicemente che non c’erano spiegazioni. Era regredita, era peggiorata, punto e basta!
Mai uno – neurologi compresi, e ci sono anche famosi profesori tra questi -, mai uno che, guardando oltre la disabilità, ma con attenzione alla persona, abbia avuto un dubbio e si sia mai posto qualche domanda. Questo non riesco a metabolizzarlo.
Il motivo è forse che quando c’è una disabilità intellettiva la persona perde di valore agli occhi di molti e quindi non vale la pena di preoccuparsi del suo benessere? “Tamponiamo solo i sintomi e chissenefrega della causa”? Oppure si diventa professori pur con immense lacune? Oppure, e io questa domanda me la porrei, sono in grado quei professionisti di diagnosticare autonomamente e con cognizione di causa anche una patologia rara o invece è necessario prevedere obbligatoriamente percorsi di aggiornamenti anche per i laureati più illustri?
L’anno scorso, per caso – ammesso che siano le casualità a dare svolte nella vita delle persone – ho avuto notizia che con un semplice esame del sangue avrei chiarito i miei dubbi. Ho ricontrollato i sintomi, Claudia li ha tutti, l’esordio della malattia, gli sviluppi e questa volta, mi sono detta, non mi voglio fermare.
Ho contattato dunque i medici di Siena, espresso i miei dubbi, preso contatti con il Centro di Genetica dell’Ospedale Molinette di Torino, effettuato i prelievi e la settimana scorsa ho ricevuto i risultati. Claudia ha la sindrome di Rett, grave malattia genetica rara, senza cura, ma che avrebbe potuto essere mitigata nella sua gravità con terapie, farmaci e riabilitazione mirata.
A questo punto tutti i medici che hanno avuto modo di seguire per molti motivi Claudia dovrebbero – per lo meno quelli degli ultimi vent’anni – fare atto di umiltà e riconsiderare tutto il loro trascorso professionale, perché una madre non può e non deve essere la promotrice di solleciti per eseguire esami diagnostici di tale calibro.
Rivedendo i video, le foto, i comportamenti di Claudia, le mie parole di tutti questi anni, mi chiedo come si sia potuto non accorgersi di quanto oggi io, non medico, vedo in ogni movimento e in ogni particolare. È lampante la patologia per chi almeno una volta ne abbia sentito parlare! I neurologi in primis!
La cecità non è soltanto degli occhi, ma anche del cuore, e già questa è grave; oggi, però, ho avuto la certezza che quella professionale è la più grave di tutte e che il medico il quale si ferma alle diagnosi altrui non è un buon medico.