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Quel che non va in quell’Ordinanza del Tribunale di Roma

Persona con disabilità davanti alle scale di una metropolitanaAlla luce della lettura del testo completo di quell’Ordinanza prodotta il 22 ottobre scorso dal Giudice Civile del Tribunale di Roma Federico Salvati,  riguardante l’accessibilità della metropolitana e degli autobus capitolini [se ne legga nel nostro sito cliccando qui e qui, N.d.R.], riteniamo necessario commentare alcuni passaggi di tale provvedimento, anche a parziale rettifica di quanto riportato da alcuni articoli di stampa nei giorni scorsi.

Va detto innanzitutto che quell’Ordinanza ci sembra importante e condivisibile, rispetto ai princìpi generali che sancisce e alle motivazioni che esplicita. Grazie ad essa, infatti, la Legge 67/06, che tutela le persone con disabilità dalle discriminazioni dirette e indirette, si configura come un potente strumento di effettiva tutela del diritto alla mobilità e al trasporto pubblico per le persone con disabilità.
Da un punto di vista prettamente tecnico-operativo, invece, il provvedimento prescrive delle soluzioni pratiche di rimozione delle barriere che ci paiono inadeguate nel caso della metropolitana e incomplete in quello dei bus di superficie. Con tali soluzione tecniche, infatti, il diritto alla mobilità – pur così efficacemente sancito dall’Ordinanza – rischia di restare un buon principio teorico, ma con insufficienti ricadute pratiche in termini di effettiva accessibilità quotidiana del trasporto pubblico.
Non si può ovviamente pretendere che un Tribunale Civile abbia competenza tecnica sulle questioni di accessibilità dei trasporti, ma proprio per questo sarebbe assai auspicabile che – a fronte di future analoghe cause legali – i Giudici si avvalessero del parere tecnico degli esperti associativi che conoscono la materia, onde evitare che la salvaguardia dei diritti non possa tradursi in pratica a causa di prescrizioni tecniche inadeguate.

Ma vediamo ora di passare brevemente in rassegna i punti insoddisfacenti dell’Ordinanza di cui si parla.
In primo luogo, per quanto riguarda la metropolitana di Roma – diversamente da quanto riportato anche da alcuni articoli di stampa – il Giudice ha prescritto al Comune di Roma di installare pedane servoscala e non ascensori. Si tratta di una scelta tecnica non condivisibile, perché, ad oggi, solo gli ascensori sono in grado di garantire l’effettivo diritto all’accesso in metropolitana per le persone con disabilità. I servoscala, invece, non possono essere ritenuti una soluzione adeguata, perché non garantiscono un accesso in autonomia e sicurezza.
In particolare, alla luce delle esperienze e dei ricorrenti inconvenienti degli ultimi anni, è emerso con chiarezza che gli impianti servoscala:
– sono spesso fuori uso, per problemi legati alla manutenzione e all’esposizione alle intemperie;
– si guastano talvolta a metà della salita, costringendo a richiedere l’intervento dei Vigili del Fuoco o di passanti volenterosi, con grave disagio psicofisico e forte rischio per l’incolumità della persona trasportata;
– prevedono a inizio scale un sistema di chiamata citofonica per richiedere l’intervento dell’operatore di stazione, ma capita spesso che il citofono sia guasto o che l’operatore sia impegnato in altre incombenze, costringendo la persona con disabilità a lunghe attese;
– sono dotati in genere di sistemi sonori e luminosi che – per ragioni di sicurezza – avvisano i passanti durante il funzionamento dell’impianto, esponendo la persona trasportata ai loro sguardi incuriositi e alla ghettizzante condizione di “trasportato speciale”, in altre parole al motto “Attenzione! Pericolo! Disabile in movimento!”.
Pertanto – pur avendo il vantaggio di essere più facili da installare e meno costosi rispetto agli ascensori – i servoscala sono un palliativo che maschera il problema dell’accessibilità, senza risolverlo.

In secondo luogo, non convince il punto in cui il Tribunale ritiene di non imporre l’esecuzione di alcuna misura nelle stazioni della metropolitana non munite di ascensori, e in cui non sia possibile installare i montascale.
Su materie così complesse le deroghe ci possono stare, ma una deroga così vaga e generica lascia francamente un eccessivo margine di discrezionalità al Comune di Roma. In altre parole, sorge il seguente dubbio: chi decide quando non è possibile installare servoscala o ascensori? In base a quali criteri? Chi può eventualmente confutare queste valutazioni tecniche?
A fronte di queste ambiguità, dunque, il rischio è quello di scelte discrezionali da parte del Comune di Roma, che riducano nei fatti la portata dei princìpi sanciti dall’Ordinanza.

In terzo luogo, per quanto riguarda le linee di superficie, la prescrizione fatta dal giudice alla Societa ATAC, di esercitare il trasporto con bus tutti muniti di pedana, è da ritenersi incompleta e insufficiente, al fine di garantire una reale accessibilità del trasporto su gomma, quanto meno per due ragioni.
Innanzitutto la pedana non è condizione sufficiente per rendere accessibile un bus. In aggiunta, è necessario che il veicolo possieda anche questi requisiti:
– pianale ribassato, cioè assenza di gradini;
– alloggiamento interno specifico per carrozzina, che consenta un ancoraggio sicuro e l’utilizzo di una pulsantiera con i tasti di richiesta per la prossima fermata e richiesta aiuto;
– avvisatori luminosi e sonori di prossima fermata.
Forse – parlando di «bus muniti di pedana» – il Giudice intendeva far riferimento a tutti questi aspetti assieme, ovvero al concetto più ampio di bus attrezzato per persone con disabilità. E in ogni caso, ai fini della piena accessibilità del trasporto di superficie, non è sufficiente nemmeno la presenza di veicoli attrezzati per persone con disabilità. Infatti, è indispensabile anche che tutte le fermate siano esse stesse accessibili. Su questo punto, invece, nell’Ordinanza in questione il Giudice non si è pronunciato e ciò rappresenta una grave lacuna, perché invece il Tribunale avrebbe dovuto prescrivere al Comune di Roma l’obbligo di adeguare tutte le fermate.
A cosa serve infatti un bus attrezzato, se poi le fermate hanno barriere tali per cui i passeggeri con disabilità non possono scendere o salire dal mezzo? Si veda in proposito – su questo aspetto – l’azione legale avviata dall’Associazione Luca Coscioni nei confronti del Comune di Roma, per chiedere al Giudice di prescrivere al Comune stesso la rimozione delle barriere alle fermate dei mezzi di superficie [se ne legga anche nel nostro sito, cliccando qui, N.d.R.].

Un’ultima breve considerazione riguarda le linee di superficie e le fermate della metropolitana interessate dall’Ordinanza.
Il Cittadino che ha promosso l’azione legale si è “limitato” a chiedere al Tribunale di prescrivere l’accessibilità delle linee e delle fermate che utilizza solitamente. Di conseguenza il Giudice ha ristretto gli effetti del provvedimento solo ad esse.
Forse sarebbe bastato che il Cittadino chiedesse di poter accedere pienamente a tutta la rete di trasporto urbano, per ottenere un provvedimento che vincolasse l’ATAC e il Comune di Roma a garantire la piena accessibilità in tutta la città. Se infatti la mobilità urbana è un diritto, tale diritto non può essere limitato solo a quelle zone del centro abitato che un Cittadino frequenta più spesso.

*Esperto della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

Sui temi trattati nel presente testo, suggeriamo anche la lettura – sempre nel nostro sito – di: Quel provvedimento apre una strada da percorrere (cliccare qui) e Accessibilità dei trasporti: quel prezioso precedente (cliccare qui).
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