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Andare oltre la paura e il disincanto perché il futuro è possibile*

Foto da dietro di classe piena di alunniGentile ministro Profumo [Francesco Profumo è il nuovo ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, N.d.R.], ci piace pensare che il suo cognome sia sinonimo del nuovo che chiede il nostro Paese per i propri figli: aria fresca e pulita per la scuola.
Se Lei non fosse stato in questi giorni, doverosamente, al Parlamento per la fiducia al nuovo governo, con umile presunzione siamo certi che avrebbe iniziato con piacere la sua carriera di ministro dell’Istruzione qui a Rimini, assieme a 3.000 tra insegnanti, genitori, studiosi, associazioni, professionisti sociali. Persone che in questi ultimi anni hanno tenuto duro, non si sono rassegnate alla deriva darwinista, hanno continuato a lavorare, credendo e facendo una scuola buona per tutti.
Non si confonda se, in apparenza, il tema del nostro convegno – La Qualità dell’Integrazione Scolastica S sociale – potrebbe far pensare a una nicchia minoritaria, un po’ romantico-buonista, o peggio ancora specialistica, che si occupa di coloro che per la natura, il destino, il fato potrebbero essere considerati un peso, un caso assistenziale, vuoti a perdere, cui una società egoista e impaurita pensa solo con caratteri compassionevoli. Non è così: per noi la questione dell’integrazione non è una parte della scuola, è il centro vitale e ineludibile del senso dell’educazione nelle moderne società.
Abbiamo invece avuto il mito perverso di una scuola che, per una maldestra idolatria del merito e per tagli orizzontali ciechi, rischia oggi di essere non solo ingiusta per alcuni, ma disintegrativa di tutti, anche di coloro che si volesse eleggere eccellenti e che in realtà corrono il pericolo di essere aridi burattini di una società di cattivi e solitari lupi.

La questione della scuola e del sistema formativo oggi è l’eccellenza per tutti, è quel cosiddetto “capitale sociale” che si forma non nelle singole teste degli alunni, magari messi in gara uno contro l’altro, ma nell’interazione plurale tra stili, attitudini, desideri, competenze di cui ogni nostro studente è pieno. Pieno e non vuoto. È nella qualità dell’interazione tra differenze (non in una formalistica integrazione come somma di sedie riempite da alunni/studenti) il destino di una scuola che si ponga l’obiettivo delle cittadinanze sociale e individuale di persone libere, creative, responsabili, capaci di dare a sé e al mondo un senso di futuro possibile.
Noi ogni giorno andiamo oltre, oltre anche la paura che un futuro migliore non sia più possibile, legato ai fantasmi delle crisi, non solo quelle economiche, ma anche quelle ben più gravi di natura valoriale. Noi non abbiamo paura del futuro e non siamo neppure tanto disincantati da pensare cinicamente solo al nostro privato. Sappiamo invece che usciremo dalla crisi, da tutte le crisi, se saremo uniti.
Ci occupiamo di integrazione scolastica perché vogliamo cambiare la scuola per tutti e a nome di tutti gli alunni, non solo di quelli con disabilità.
Non ci piace resistere passivamente, né indignarci con narcisistico snobismo, né restare a guardare il mondo dall’alto del nostro ego valoriale soddisfatto.

In questo convegno abbiamo trattato molto anche questioni concrete sul “che fare”, riflettendo su processi organizzativi, di sistema, di sviluppo che rendano concreta la qualità. I toni e gli argomenti sono stati dialettici, articolati, vivi anche di sfumature e positivi contrasti. Ma è così che si cresce.
Per la verità, vorremmo dirLe che per superare molti dei problemi dell’integrazione scolastica e sociale delle persone con disabilità non ci vorrebbero affatto nuove leggi, né nuovi decreti, e neppure solo (anche se servono) nuovi e ulteriori fondi. Ci sono già buone leggi, ma non ci sono corrispondenti buoni comportamenti a tutti i livelli del sistema scolastico e sociale: dal governo alle realtà locali, alle scuole, fino alle singole classi. Quando lo scarto tra leggi e comportamenti non adeguati è così aspro, si corre il rischio del ridicolo, e non quello di diventare solitari tormentoni del moralistico dover essere. Noi vogliamo andare oltre anche a questo.
Chiediamo a noi in primis, e a tutti gli altri poi, comportamenti veramente adeguati alle leggi. Ci dispiace farLe notare che questa sembra un’ovvietà, ma in questo strano Paese non lo è affatto. Da noi tra il dire e il fare ci sono di mezzo la politica, l’etica, i soldi, le responsabilità spesso confuse, retoriche, false. Noi invece puntiamo a comportamenti centrati sulla responsabilità, individuale e collettiva.
In questo documento non intendiamo stendere una sorta di cahier de doléance dei punti critici, né sindacalizzare ogni singolo piccolo interesse di una qualche categoria. Le proponiamo invece quattro questioni strutturali, sulle quali siamo pronti a collaborare “oltre la paura e il disincanto”.

Alunna in carrozzina si gira verso l'obiettivo della macchina fotografica1. La questione economica
Ci fa molto piacere sentire dal presidente del Consiglio Monti che il governo intende far pagare la crisi a chi finora ha pagato di meno. Anzi, abbiamo imparato da don Luigi Ciotti, nel suo intervento al nostro convegno, che si dovrebbe anche far pagare a chi ha rubato il presente e il futuro di molte parti del nostro Paese.
La scuola, dalla sua parte, ha già dato! Troppi alunni per classe, insegnanti mal formati, mal pagati, risorse ridotte al lumicino non sono una “riduzione degli sprechi”, ma semplicemente spesa differita nel tempo, perché i danni sociali, civili, culturali di una scuola arida si riverberano nel futuro in una società più stupida.
Vorremmo che Lei lavorasse con noi a stimare i costi dell’ignoranza, che sono molto alti. Alti come i costi causati dal pericolo di una deriva sociale, dai giovani che rischiano di restare senza un futuro, che non sia quello di seguire le strade perverse proprio di coloro che rubano il futuro al Paese.
Ma sappiamo che la scuola non ha bisogno di finanziamenti a pioggia: noi vogliamo osare proporLe la capacità selettiva e qualitativa di una politica economica che non sia meramente distributiva (come meramente orizzontali sono stati i tagli), ma di sostegno e sviluppo dei punti reali di qualità e di difficoltà.
La scuola è un investimento, che deve essere pensato e gestito come fa il buon contadino che compra buoni semi, usa buon concime, cura con amore la terra perché i frutti siano buoni nell’estate dei nostri figli. Ma per fare questo estirpa anche la gramigna.

2. La scuola come opportunità civile per tutti
Una scuola delle opportunità educative per tutti pensa al futuro e va oltre la paura. Il futuro già presente oggi ci parla di un forte aumento dell’eterogeneità sociale, individuale, economica, esistenziale dei nostri alunni.
Non vogliamo correre il rischio di continuare a separare i bambini per categorie ognuna titolare di un cosiddetto “problema” o “disturbo”. Tale eterogeneità chiede invece oggi non solo meno alunni/studenti per classe, ma un approccio aperto alle ricerche didattiche e all’organizzazione curricolare: flessibilità, competenza creativa, insegnanti come comunità professionale e non solitari esegeti, “capitale sociale”, dove tutti gli alunni/studenti, ognuno con la sua identità, si facciano colleghi, maestri e allievi dei compagni.
In questa nuova eterogeneità sociale, figlia della globalizzazione, anche l’integrazione dei nostri alunni/studenti con disabilità prende nuova spinta: non è una nicchia a sé, da trattare con la compassione, e neppure nei tribunali, ma uno dei punti forti delle relazioni che aiuta tutti a crescere.
Per questo ci piace provare a fare integrazione con una prospettiva che sappia anche eliminare la G, e consideri interessante l’integrazione – appunto – come interazione tra tutti.
Non abbiamo dunque timori a chiederLe di lavorare per un metodo di valutazione dinamico del nostro sistema scolastico, smettendola di valutare in una specie di gara tra poveri; un metodo capace di aiutare chi fa fatica a trovare la strada migliore, che riconosca le scuole di eccellenza come buone pratiche da socializzare e condividere.
Riteniamo anche sia urgente saper riprendere una ricerca pedagogica e didattica oggi desueta, perché soffocata dalla numerologia valutativa che provoca nel nostro Paese non una seria docimologia, ma solo una docimologia dannosa [la docimologia è il ramo della pedagogia ove ci si occupa dello studio dei sistemi di valutazione delle prove di verifica e dove il voto non viene più inteso in ambito strettamente numerico, N.d.R.].
In questo scenario aperto, abbiamo molte cose da osare ancora, sapendo che la scuola o sarà capace di armonizzare le eterogeneità senza condizionare nessuno, o sarà solo un tritacarne selettivo, nuovo strumento di darwinismo sociale.

3. Gli insegnanti
Sugli insegnanti, gentile ministro, vorremmo proporre almeno una moratoria sulle tante/troppe chiacchiere circa il loro valore o il loro fare o non fare nulla.
Gli insegnanti, come tutti gli esseri umani, hanno bisogno di uno scopo e di un sogno, nel loro caso professionale e civile. Per questo lavoriamo per una revisione positiva di questo profilo, partendo dalla considerazione che il docente deve interagire con l’alunno/studente in quanto persona e non perché appartenente a determinate categorie.
Questa relazione ci obbliga a superare artificiose distinzioni e separazioni tra insegnanti di sostegno e insegnanti curricolari, per una effettiva corresponsabilità e partnership educativa del progetto che è di tutta la classe. Consente invece – e finalmente – di affrontare la classe come comunità e non come semplice somma di individui. Una positiva interazione tra tutti gli insegnanti e tutti gli alunni/studenti permette un fare scuola ponendo il cosiddetto “programma scolastico” nella giusta dimensione di strumento e non di fine.
Classe piena di alunni. In primo piano un'alunna in carrozzinaInsomma, è giunta l’ora, dopo un secolo e più di disillusioni, di affermare chiara e forte l’esigenza di rivedere la formazione iniziale degli insegnanti sotto l’aspetto della pedagogia come “scienza primaria della professione docente”, cioè come precondizione di ogni didattica generale e disciplinare. La reintroduzione della formazione in servizio obbligatoria diventa, ovviamente, un tassello ineludibile.
La formazione obbligatoria per tutti, pur con la dovuta concertazione sindacale, deve avere il coraggio della radicalità, diventando un dovere professionale “normale” a cui non si può rinunciare. Da qui ne derivano le giuste forme di incentivazione e di riconoscimento nello sviluppo della carriera professionale, non necessariamente solo economiche.
Noi non temiamo, anzi chiediamo una seria valutazione dei processi formativi, che non può non comprendere anche una onesta e rigorosa valutazione degli insegnanti, non per spirito di punizione e neppure di competizione, ma perché sono attori molto importanti del successo o meno della formazione.
Una scuola che investe sulla formazione ha il dovere di mettere in campo, strutturalmente, un percorso valutativo sull’efficacia e l’efficienza dei risultati che preveda un coinvolgimento anche delle famiglie come dirette interessate, nella prospettiva di recuperare la partecipazione di tutti, in quanto migliora ogni singolo componente della comunità educativa, senza darsi reciprocamente i voti.

4. L’integrazione, l’autonomia e il territorio
E, infine, gentile ministro, richiamiamo la Sua attenzione sul fatto che una buona integrazione scolastica e sociale non la fa il ministero ma il territorio. L’integrazione è un processo a valore orizzontale, in cui scuola, famiglia, servizi sociosanitari, volontariato, enti locali sono attori di qualità se sanno integrarsi e interagire tra di loro.
Noi vogliamo andare oltre le pigrizie, le deleghe dall’alto, e puntare, osare, per una massima valorizzazione degli aspetti orizzontali dell’integrazione. Quindi: Le chiediamo vivamente di restituire l’autonomia alle scuole, quell’autonomia soffocata sul nascere e che per anni è stata mortificata da una gestione centralistica, che ha bloccato la creatività pedagogica, la libertà didattica.
Abbia fiducia nelle scuole e nei suoi operatori. Abbia fiducia nei loro dirigenti scolastici, troppo spesso in questi anni ridotti a sergenti del ministero, di cui ci piace segnalarLe la necessità di dotarli del più importante carisma oggi chiesto a un buon dirigente scolastico: il carisma pedagogico, non solo quello meramente organizzativo. Quindi anche per loro la formazione permanente è decisiva.
Se mortificate dal centralismo, le nostre scuole inaridiscono, se valorizzate nell’autonomia fioriranno. E non abbia paura, in cambio di molta autonomia restituita alle scuole, di attivare un sistema di controllo, monitoraggio e valutazione, che abbia valore di sviluppo, ma che non abbia paura di punire chi sbaglia o non fa.
Altrettanto La preghiamo di valorizzare la crescita di una governance territoriale in cui tutti si sentano vincolati e obbligati dal dovere di collaborare, senza supremazie l’uno sull’altro, ma nella considerazione che ciò che conta davvero sia quel “progetto di vita”, che comincia con la nascita, si sviluppa a scuola, e nell’età adulta ha un vero successo se parla di lavoro e di vera cittadinanza sociale per tutti.
Il progetto di vita è di titolarità di ogni persona, in particolare di quella con disabilità, cui va dato protagonismo, partecipazione, autodeterminazione e, da parte di tutti gli operatori, quell’umana simpatia e rispetto tali da non diventare noi, operatori del territorio, la loro vera e principale barriera.

Gentile ministro, La preghiamo di tirar fuori dai cassetti, dove è stata dimenticata, per applicarla con urgenza, la preziosa Intesa Stato/Regioni del 20 marzo 2008 proprio sull’integrazione delle competenze territoriali, la governance locale e la semplificazione della burocrazia certificativa. Come vede, non c’è da inventarsi molto di nuovo.
Ciò vuol dire anche governance tra ministeri, perché sanità, welfare e istruzione siano partner di un processo di qualità della vita per tutti, restituendo al territorio autonomia e responsabilità.
L’autonomia e la responsabilità chiedono venga ripristinato l’Osservatorio Nazionale sull’Integrazione Scolastica e Sociale, meglio ancora se in modo interministeriale.

Le auguriamo buon lavoro, sappiamo che sarà dura. Crediamo però che nessuna difficoltà sarà insormontabile, se sarà presente in Lei e in noi una visione generale delle cose, una visione che vada oltre il presente, che sappia osare, desiderare. Progettare il futuro, con il coraggio di andare oltre la paura.
E infine, gentile ministro, Le vorremmo offrire un piccolo ma essenziale promemoria che parte dal nome. Il nome del ministero italiano che si occupa di formazione/educazione/istruzione è sempre ambiguo e cambia con le epoche politiche. Ci piacerebbe proporLe, questa volta, di chiamarlo “Ministero del futuro”. A cui aggiungeremmo, per passione civile, “pubblico”. Cioè buono, ovviamente, per tutti.

*Mozione finale dell’Ottavo Convegno Internazionale La Qualità dell’Integrazione Scolastica e Sociale, tenutosi a Rimini dal 18 al 20 novembre, con l’organizzazione del Centro Studi Erickson. Il presente testo è stato sottoscritto dalla Direzione Scientifica dell’evento, dai duecento relatori e dai tremila partecipanti. Del Convegno di Rimini si legga nel nostro sito cliccando qui e qui.

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