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L’importanza di un progetto emancipativo

Kanaka e Jyoti, operatrici della riabilitazione coinvolte nella ricercaL’auspicio della Convenzione ONU delle Persone con Disabilità circa il coinvolgimento diretto di queste ultime nei processi decisionali e organizzativi trova una sua concretezza nel progetto multidisciplinare che l’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau) insieme al WHO/DAR, il team Disabilità e Riabilitazione dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), conduce nello Stato del Karnataka nel sud dell’India.
In questi giorni, vicino alla città di Bangalore, si sta svolgendo la riunione di verifica dell’ultima fase del progetto (fino al 17 dicembre), la cui conclusione è prevista per il mese di giugno del 2012. Ne abbiamo intervistato il referente principale, il responsabile del dipartimento medico-scientifico per l’AIFO Sunil Deepak, a ridosso della sua partenza per l’India, e ci siamo fatti mostrare in anteprima i documenti che verranno discussi durante l’incontro. Il report che ci ha sottoposto evidenzia come il progetto non solo si ispiri ai princìpi enunciati nella Convenzione ONU, ma che intenda proporsi come mezzo per la loro affermazione.
Il lavoro di ricerca – denominato S-PARK/CBR – verte in sostanza sullo studio dell’impatto di due programmi di riabilitazione su base comunitaria (CBR), così come sono stati svolti negli ultimi dieci anni nel Distretto di Mandya e in alcune zone confinanti, per un totale di 5.000 chilometri quadrati, a beneficio di 22.000 persone con disabilità (il distretto conta due milioni di abitanti), tenendo conto che i programmi CBR sono stati recentemente caldeggiati dall’OMS e che ad oggi non è ancora stata prodotta alcuna documentazione scientifica riconosciuta internazionalmente circa l’impatto di questi programmi nei territori in cui si collocano.
L’aspetto più interessante di S-PARK/CBR sta nelle due fasi di cui è composto (ce n’è anche una terza di sintesi conclusiva, attualmente in corso). Accanto infatti a una prima fase di studio scientifico, ve n’è una seconda cosiddetta “emancipativa”, che prevede il coinvolgimento diretto e attivo delle persone con disabilità.
«La terza fase – precisa Deepak – non ha solo la funzione di sintesi, ma anche di integrare l’approccio emancipativo nelle attività ordinarie della riabilitazione su base comunitaria. A questo proposito intendiamo anche realizzare un manuale».

Quali sono i soggetti coinvolti nel progetto?
«La ricerca coinvolge una vasta rete di partner, a partire dalle persone con disabilità, le loro organizzazioni, formali e informali, e le loro famiglie e comunità che vivono nel Distretto di Mandya e nelle zone vicine. Altri partner coinvolti a livelli diversi sono le federazioni locali di persone con disabilità, le organizzazioni e il personale coinvolto nell’implementare il CBR nel Distretto di Mandya, esperti e docenti universitari indiani e provenienti da altri Stati».

Quando ha avuto inizio la ricerca?
«Nell’aprile del 2009».

Nella prima fase cos’è stato fatto più precisamente?
«Abbiamo somministrato un questionario a un campione casuale di duemila persone con disabilità residenti nelle aree coperte dal servizio riabilitativo e a un gruppo controllato di quattrocento persone con disabilità residenti in distretti non coperti dallo stesso. Altri questionari sono stati rivolti a ulteriori figure chiave, inclusi gli assistenti, gli operatori della riabilitazione nel villaggio, i rappresentanti politici di esso, i docenti della scuola di infermieristica e alcuni esponenti delle federazioni locali delle organizzazioni di persone con disabilità. I dati raccolti sono stati poi analizzati dall’Università di Firenze».

Con quali risultati?
«È stato rilevato che i programmi di riabilitazione su base comunitaria hanno un impatto positivo sul benessere delle persone con disabilità per quanto riguarda la salute, l’educazione, il sostentamento, l’inclusione lavorativa e la partecipazione sociale. Importantissimo il dato rilevato circa il contributo dei programmi in termini di cambiamento di mentalità e nella lotta contro il pregiudizio e l’esclusione».

Quante persone con disabilità beneficiano dei programmi?
«Quasi il sessanta per cento. Si tratta di ventiduemila persone. Il restante quaranta, tra l’altro, tende a essere il meno povero, ad avere disabilità lievi o ad essere più anziano in età».

Ventiduemila è un numero molto alto: quanti operatori ci sono?
«Ogni operatore si rivolge a trecento, trecentocinquanta persone con disabilità. Le principali attività sono collettive e consistono ad esempio nella formazione di gruppi di auto mutuo aiuto. Inoltre, si fornisce assistenza in attività come la certificazione della disabilità, la gestione delle pensioni e l’erogazione di ausili».

I sondaggi hanno rilevato altri benefìci?
«Sì, indiretti. Voglio dire che nelle zone in cui operano i due CBR, aumenta il benessere non solo delle persone con disabilità che direttamente ne usufruiscono, ma anche di altri soggetti della communità».

Ad esempio?
«Gli assistenti, chi frequenta altri ambienti sociali della comunità, i responsabili del villaggio, i lavoratori sociali e gli insegnanti».

Del gruppo scientifico fanno parte anche Giampiero Griffo (Disabled Peoples' International) ed Enrico Pupulin (ex responsabile dell'unità DAR dell'OMS)La ricerca emancipativa, seconda fase del progetto, in che cosa consiste esattamente?
«Si tratta di una ricerca qualitativa condotta secondo il nuovo principio per cui essa spetta direttamente alle persone con disabilità, sostenute, per quanto riguarda le competenze tecniche e non di contenuto, da ricercatori esperti.
Abbiamo creato un gruppo di diciotto persone provenienti dal Distretto di Mandya, per metà donne, con disabilità diverse e di diverse estrazioni sociali e le abbiamo istruite in modo che potessero assumere il ruolo di ricercatori, accanto ad altre dieci persone, sempre con disabilità, scelte all’interno della comunità per assolvere al ruolo di facilitatori. Tutti insieme si sono riuniti in diciassette incontri residenziali della durata di quattro giorni ciascuno, basati sulla condivisione di storie di vita e riflessioni critiche sulle barriere incontrate dalle persone con disabilità e sulle strategie per superarle. Queste riunioni, organizzate dai ricercatori, hanno coinvolto circa quattrocento persone con disabilità, alcune delle quali non erano mai uscite prima dai loro villaggi. Ogni incontro toccava in particolare uno specifico tema, come la salute, l’educazione, la povertà, eccetera. La supervisione della loro attività è stata assegnata a un comitato scientifico composto da dieci esperti, tra accademici, rappresentanti di organizzazioni non governative nazionali e internazionali impegnate nell’ambito della disabilità e rappresentanti di organizzazioni di persone con disabilità: costoro hanno definito la metodologia di ricerca».

Dev’essere stata un’esperienza molto forte per le persone coinvolte.
«Certo, e la ricerca ha portato poi diversi cambiamenti non solo nelle persone coinvolte con il ruolo di ricercatori, ma anche sul personale che lavora ai progetti di CBR e che ha potuto individuare nuove risposte più efficaci da dare agli utenti».

Qualche esempio?
«Dagli scambi tra i ricercatori qualitativi è emerso ad esempio che le persone con le colvulsioni non sapevano che farmaci prendere e da dove riceverli. Una volta emersa questa informazione, il personale si è attrezzato per raggiungere queste persone e spiegare loro come agire. Inoltre, molte associazioni sono venute a conoscenza del fatto che per legge il tre per cento del bilancio del villaggio dovrebbe essere destinato alle attività legate alle persone con disabilità. Prima non lo sapevano. Adesso, si stanno facendo avanti per proporre iniziative di cui hanno diritto».

Ora, dunque, attendiamo il ritorno in Italia di Sunil Deepak per farci raccontare i contenuti della terza e conclusiva fase del progetto e per chiedergli ciò che sarà emerso durante l’incontro attualmente in corso.

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