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Fare sport fa bene al cervello

La squadra di basket in carrozzina della Santa Lucia di RomaLe attività sportive fanno bene alla salute psicofisica. Questo lo sappiamo tutti. Per le persone con disabilità, però, la questione a volte si complica. C’è infatti chi teme – ed è ancora più difficile se si è nel ruolo di genitore – che alcuni movimenti possano mettere a rischio la fragilità ossea e muscolare. Eppure, un recente studio della Fondazione Santa Lucia lo dice in termini scientifici: migliorano le funzioni cerebrali quando c’è interazione con un ambiente mutevole e in collaborazione con l’Università del Foro Italico di Roma, sono state rilevate delle modificazioni a livello di funzioni cognitive superiori.
A rendersi disponibile per l’osservazione è stata la squadra di basket in carrozzina della Fondazione, che gioca a livello agonistico. Lo stesso ha fatto quella di nuoto.
Il basket è uno sport cosiddetto open-skill, che comporta cioè un’interazione con un ambiente imprevedibile, mentre il nuoto richiede un approccio mentale diverso, dal momento che l’ambiente offre poche variabili. È stato chiesto quindi ai vari atleti di sottoporsi a un test che misura la velocità dei processi neuronali. In particolare, essi dovevano rispondere il più velocemente possibile a questioni poste tramite stimoli visivi. Ebbene, la velocità di reazione dei giocatori di basket è risultata molto rapida e stabile e ottima anche la flessibilità. Un esito migliore di quello conseguito dai nuotatori. Tutti però hanno superato i risultati di soggetti che non praticano alcuno sport.
L’elaborazione dei dati raccolti ha portato quindi all’affermazione di valenza scientifica secondo cui praticare un’attività sportiva compensa il rallentamento dei processi esecutivi osservato nei soggetti con disabilità con stile di vita sedentario e la compensazione è maggiore se lo sport comporta l’interazione con un ambiente esterno mutevole.

La professoressa Donatella Spinelli, docente di Psicologia dello Sport nell’Università romana del Foro Italico, in base alla ricerca di cui è stata parte, afferma che la pratica sportiva – oltre ai benefìci fisici di rafforzamento della muscolatura e in termini di agilità, e oltre a quelli registrati a livello sociale per la condivisione nell’azione con i compagni di squadra – porta anche a un miglioramento dei processi esecutivi. «I processi esecutivi – spiega – sono responsabili della pianificazione delle azioni, dell’acquisizione di regole, dell’inizio di azioni appropriate e dell’inibizione di azioni non appropriate».

Perché il test è appropriato per arrivare a dedurre risultati del genere?
«Il test utilizzato chiedeva di rispondere ad alcuni stimoli visivi premendo un pulsante e di inibire la risposta ad altri stimoli visivi (gli stimoli consistevano in quattro figure geometriche). Questo test misura dunque la capacità di discriminare visivamente fra stimoli diversi, di imparare la regola che associa ogni stimolo a una specifica risposta, di attivare un programma motorio e di eseguire o inibire la risposta motoria secondo la regola. Questo compito simula in laboratorio alcuni dei processi neuronali coinvolti nello sport di situazione».

Quali dati sono stati rilevati?
Nuotatore in azione«Abbiamo misurato il tempo di reazione, cioè quello che intercorre fra la presentazione dello stimolo e la pressione del tasto e, simultaneamente, l’attività cerebrale. Si tratta rispettivamente di rilievi comportamentali ed elettrofisiologici».

Su quanti soggetti è stata fatta la ricerca?
«Nove giocatori di basket, otto nuotatori e diciotto persone senza disabilità che non praticano alcuno sport».

Che riscontri ha avuto questa ricerca nella comunità scientifica? E nel mondo delle persone con disabilità?
«I tempi per la diffusione dell’informazione scientifica non sono mai brevi. Certamente ci auguriamo che i risultati contribuiscano alla diffusione dello sport da parte di persone con disabilità».

La ricerca sta ora proseguendo?
«Come è noto, i finanziamenti per la ricerca in questo difficile periodo per il Paese sono veramente ridotti al minimo. Ed è davvero un peccato non potere proseguire su questi temi».

Che differenza c’è a livello neuronale tra il praticare uno sport e giocare a un videogioco con le stesse caratteristiche open-skill? Può essere utile esercitare il cervello con esercizi di visualizzazione, utilizzati ad esempio dagli sportivi per la preparazione atletica?
«Gli studi in questo campo sono pochi ma le domande che lei mi pone sono molto interessanti. Ci aspettiamo alcuni benefìci sui processi cognitivi a livello mentale (e neuronale) anche nel caso di simulazione di attività. Questo, desidero precisare, non è un dato sperimentale, ma una ragionevole aspettativa che andrebbe supportata con dati sperimentali. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che lo sport praticato aggiunge il piacere dell’interazione con i compagni di squadra, con gli avversari, con l’allenatore. E questo contatto umano non è simulabile».

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