- Superando.it - https://www.superando.it -

I limiti e le novità di quell’indagine Istat sull’integrazione

Ragazzo con disabilità a scuolaIl 12 gennaio scorso l’Istat ha pubblicato la ricerca (visionabile integralmente cliccando qui) intitolata L’integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado statali e non statali, realizzata tra il 26 aprile e il 10 giugno 2011.
Uno studio tutto da analizzare e in tal senso diamo ben volentieri spazio, qui di seguito, alle approfondite riflessioni di Donatella Morra di
LEDHA Scuola (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità).

L’Istat (Istituto Centrale di Statistica) ha pubblicato il 12 gennaio scorso i risultati dell’indagine sull’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, effettuata via web dall’Ente tra il 26 aprile e il 10 giugno 2011, attraverso la realizzazione di un questionario elettronico.
La rilevazione – svolta in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e con quello del Lavoro e delle Politiche Sociali – ha riguardato tutte le scuole, pubbliche e private, primarie e secondarie di primo grado e ha ricevuto informazioni esattamente da 22.808 scuole, pari al 90% delle scuole oggetto di indagine.
Le informazioni rilevate sono state (si veda a tal proposito la “Nota informativa” allegata all’indagine) «concordate con entrambi i Ministeri coinvolti e con le Federazioni delle associazioni delle persone con disabilità. In particolare, sono state raccolte le seguenti informazioni: N° alunni iscritti, N° alunni con disabilità/sostegno, N° di insegnanti di sostegno e il N° di insegnanti di sostegno a tempo pieno; Accessibilità (viene indicato se l’edificio è dotato di accorgimenti per il superamento delle barriere architettoniche in conformità al D.P.R. n° 503/96); Postazioni informatiche adattate adibite all’integrazione scolastica (numero, collocazione, appartenenza); Docenti di sostegno che utilizzano le tecnologie educative e che hanno frequentato corsi specifici. Inoltre, sono state rilevate a livello aggregato la tipologia di disabilità degli alunni iscritti e la presenza di figure professionali adibite allo sviluppo dell’integrazione scolastica».
E ancora, sono state raccolte «numerose altre informazioni su un campione di studenti. In particolare sono state rilevate le seguenti informazioni: Tipologia di disabilità, Diagnosi, Presenza di autonomia, Uso di ausili assistivi e di ausili didattici, Tipo di certificazione, Data di nascita, Classe, Ore di sostegno settimanali, Ore settimanali dell’Assistente Educativo Culturale, Orario di frequenze delle lezioni, Presenza di un Comunicatore per sordi, Presenza di un Facilitatore della Comunicazione, Terapia a scuola, Trasporto scolastico, Istruzione domiciliare, Diagnosi funzionale [DF], Profilo dinamico funzionale [PDF], Programma educativo individuale [PEI, che è anche “Piano Educativo Individualizzato”, N.d.R.] e la check-list dell’International Classification of functioning, disability and health Children and Youth edition [l’ICF dedicata ai giovani, N.d.R.]».

Criticità
L’impressione che si ricava dall’indagine – avvalorata anche dalla scarsa eco che la pubblicazione di essa ha finora sortito – è quella di una buona occasione poco sfruttata, alla pari dell’inchiesta analoga edita lo scorso anno [visionabile cliccando qui, N.d.R.] e condotta più o meno con la stessa metodologia, sul biennio scolastico 2008-2009 e 2009-2010.
A fronte di aspetti positivi, infatti, ci sono alcuni rilievi critici che come associazioni di persone con disabilità ci sentiamo di sollevare:
1) Innanzitutto i destinatari dell’inchiesta: perché limitarsi ancora, come nella precedente indagine, alle scuole del primo ciclo di studi (primaria e secondaria di primo grado, ovvero le “vecchie” scuole elementari e medie)? Se anche la logica perdurante fosse quella di dare uno spaccato della scuola dell’obbligo, ci si sarebbe aspettato che si tenesse conto del fatto che l’obbligo (dai 6 ai 16 anni) può essere adempiuto dagli alunni con disabilità sino al compimento dei 18 anni (sulla base dell’articolo 14, comma 1 della Legge 104/92) e che la Sentenza 215/87 della Corte Costituzionale ha affermato il diritto pieno e incondizionato di tutti gli alunni con disabilità, anche gravissima, a frequentare le scuole superiori.
In tal senso, nelle tabelle fornite dal Ministero dell’Istruzione (dati SIDI [Sistema Informativo dell’Istruzione, N.d.R.] al 27 ottobre 2011), su 198.672 studenti con disabilità (delle scuole statali, con esclusione della Valle d’Aosta e delle Province Autonome di Trento e Bolzano), 49.942 frequentano le scuole secondarie di secondo grado, ossia circa il 25% degli studenti con disabilità e quasi il 2% degli studenti totali che frequentano le scuole superiori.
Anche gli alunni con disabilità che frequentano la scuola d’infanzia statale delle diciotto Regioni tabulate non sono trascurabili (14.139, pari al 7% circa di tutti gli alunni con disabilità) e sarebbero stati indicativi di un’evoluzione prospettica dello stato dell’integrazione scolastica in Italia.
Positivo invece che, pur non fornendo i dati disaggregati, le recenti statistiche Istat includano nel campione le scuole non statali, in cui sono comprese le paritarie, che includono le scuole pubbliche della Valle d’Aosta e delle Province Autonome di Trento e Bolzano e le non paritarie.
I dati a tutt’oggi forniti dal Ministero e dalle Direzioni Regionali e Provinciali di esso non ne tengono invece quasi mai conto, soprattutto per quel che riguarda l’integrazione degli alunni con disabilità, nonostante le nostre associazioni abbiano più volte denunciato questa grave lacuna.
2) In secondo luogo l’oggetto dell’inchiesta: le informazioni rilevate trascurano alcuni aspetti essenziali per misurare la qualità dell’integrazione.
Nel 2005-2006 l’Invalsi (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione) aveva condotto una ricerca ben più “mirata” in tal senso, organizzata logicamente secondo tre chiari gruppi di informazioni e sarebbe stato opportuno che l’Istat ne tenesse conto, pur integrandola alla luce di quesiti più attuali.
Bimba da sola in classe«Nonostante il carattere volontaristico della rilevazione – affermava a suo tempo Salvatore Nocera, vicepresidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), commentando lo studio dell’Invalsi [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.] il 62% di tutte le scuole hanno risposto. E tuttavia la partecipazione degli istituti di secondo grado è stata esigua e quindi la ricerca riguarda solo le scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione che hanno comunque risposto per il 60% circa. Lo studio è stato condotto con metodologia scientifica dagli esperti dell’Invalsi, che hanno predisposto un questionario sulla base delle indicazioni fornite dagli esperti delle associazioni; si può dire, in tal senso, che i risultati siano largamente attendibili. Il questionario si suddivide in tre parti, ciascuna delle quali elenca alcuni descrittori sintomatici della qualità dell’integrazione. Dapprima gli indicatori strutturali, ovvero quei fatti e quelle circostanze che costituiscono le precondizioni per l’integrazione e debbono essere presenti in ogni istituto, come ad esempio il numero di alunni per classe, il numero di docenti specializzati, l’eliminazione di barriere architettoniche e sensopercettive e così via. Poi gli indicatori di processo, cioè le modalità con cui si svolge l’integrazione, come la formulazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI) o l’accoglienza degli alunni con disabilità nella classe. Infine gli indicatori di risultato, tramite i quali fornire indicazioni sulle modalità di valutazione dei risultati annuali di integrazione non solo sotto il profilo degli apprendimenti formalizzati, ma anche della crescita nella comunicazione, nella socializzazione e nell’autonomia».
I risultati della ricerca dell’Invalsi – secondo Nocera – evidenziavano tra gli indicatori strutturali la mancanza di taluni presupposti fondamentali per la qualità dell’integrazione: eccessivo affollamento delle classi; inadeguata preparazione specifica dei docenti curricolari e dei dirigenti scolastici, soprattutto nelle scuole non statali; ritardi nelle nomine e discontinuità degli insegnanti di sostegno (definita come «una sorta di “cancro” che rode da dentro la qualità stessa dell’integrazione, poiché autodistrugge quello che annualmente si riesce a realizzare»); una carente assistenza educativa e generica di base; insufficienti stanziamenti nel bilancio delle scuole autonome per ausili e sussidi didattici; la presenza ancora consistente di barriere architettoniche (assenza di bagni per disabili, ascensori e servoscala ecc.).
Anche tra gli indicatori di processo pesavano negativamente sulla qualità dell’integrazione l’inesistenza in molte istituzioni scolastiche dei Gruppi di Lavoro per l’Handicap collegiali, la scarsa tempestività e la mancanza di indicazioni significative con cui da parte dei sanitari viene formulata la Diagnosi Funzionale, necessaria per l’attivazione delle risorse umane e materiali per l’integrazione, e la mancanza di coralità nella stesura del PEI, per lo più affidato al solo insegnante di sostegno.
Segnali allarmanti provenivano anche dalle risposte date nei questionari relative agli indicatori di risultato, alla valutazione degli alunni disabili, all’autovalutazione da parte delle scuole della qualità realizzata e delle risorse umane e strumentali messe in campo, mentre più positiva, da parte dei docenti intervistati, era stata la percezione di cambiamenti nella didattica conseguenti all’integrazione.

Omissioni
Secondo Nocera, invece, l’inchiesta Istat dello scorso anno – e a nostro parere nemmeno la presente indagine, nonostante il numero maggiore di informazioni raccolte rispetto agli anni precedenti – appare in grado di far emergere, a differenza dell’indagine Invalsi, il livello di qualità (o meno) dell’integrazione scolastica nella scuola italiana. Nelle inchieste Istat, infatti, vi sono notevoli omissioni, essendo stati totalmente ignorati quesiti che le nostre associazioni ritengono “marcatori” essenziali per far emergere da un lato buone prassi, dall’altro mancanze e debolezze del percorso di inclusione dell’alunno con disabilità in Italia. Il tutto a più riprese evidenziato – soprattutto dalle associazioni federate nella FISH – su cui sarebbe stato utile avere un riscontro in termini quantitativi.
Con riferimento agli indicatori di tipo strutturale mancano infatti quesiti su:
– numero degli alunni disabili per classe, di cui con certificazione di gravità/complessità;
– numero totale degli alunni della classe in cui sono inseriti alunni disabili;
– numero dei docenti specializzati, non solo tra gli insegnanti di sostegno, ma anche tra i docenti curricolari e i dirigenti delle scuole;
– numero dei docenti (di sostegno ma anche curricolari) che hanno seguito corsi di formazione in didattica speciale, oltre che sull’uso delle nuove tecnologie per la didattica.
Tra gli indicatori di processo manca poi qualsiasi rilevazione su:
– regolarità di convocazione dei Gruppi di Lavoro di Istituto (GLHI e GLHO);
– tempestività di stesura e completezza di informazioni nella Diagnosi Funzionale da parte degli operatori sanitari;
– compilazione collegiale da parte di tutto il GLHO dei documenti di programmazione (Profilo Dinamico Funzionale-Piano Educativo Individualizzato);
– coinvolgimento delle famiglie e degli assistenti educatori e di base nella progettazione del percorso educativo-didattico, di autonomia e socializzazione;
– modalità di accoglienza-inserimento dei nuovi alunni con disabilità;
– orientamento verso il percorso scolastico successivo all’ordine di scuola frequentato dall’alunno.
Ragazzo con disabilità insieme a compagno di classeSono poi totalmente tralasciati gli indicatori di risultato sulle modalità di valutazione degli alunni con disabilità e sull’autovalutazione da parte delle scuole dei risultati raggiunti nell’integrazione e non sono nemmeno stati restituiti i dati – per altro interessanti -, forniti nella precedente inchiesta Istat, sulla disponibilità di collaboratori scolastici per l’assistenza di base, di comunicatori per sordi e facilitatori della comunicazione, nonché sull’utilizzo da parte dell’alunno con disabilità del trasporto fornito dal Comune, da altro Ente Locale o da terzi.

Incongruenze
Nella recente inchiesta pubblicata dall’Istat vi sono inoltre delle incongruenze, tra cui, anche quest’anno, l’inclusione – che le norme vigenti sulla certificazione non ammettono – degli alunni con DSA (disturbi specifici di apprendimento) tra gli alunni con disabilità (si veda in tal senso il Prospetto 2, che suddivide gli alunni con disabilità per tipologia di problema), il che giustifica l’eccessivo numero di alunni con disabilità senza certificazione nella scuola primaria (13,5%) e nella scuola secondaria di primo grado (15,9%), all’interno della tabella (Prospetto 3) sulle tipologie di certificazione (disabilità/invalidità).
Abbastanza inspiegabile è pure il grande divario tra gli alunni non autonomi nel Sud rispetto al Centro e al Nord (Prospetto 2): non è dato sapere, in tal senso, se la prevalenza di non autonomi in tutte le tre attività al Sud nella scuola primaria (10%) e nella secondaria di primo grado (6,9%), rispetto alle medie nazionali di 8,1% e 5,5%, corrisponda a un’effettiva maggiore presenza nel Meridione di disabilità complesse o – come sostiene Nocera – a una maggiore larghezza nella certificazione di grave disabilità.
E ancora, non brillano per trasparenza neppure i valori assoluti degli alunni con disabilità e degli insegnanti di sostegno del primo ciclo nelle scuole statali e non statali forniti all’Istat dal Ministero, non presentati in modalità disaggregata per scuole statali e non statali: complessivamente 78.000 alunni con disabilità (pari al 2,8% del totale degli alunni) nella scuola primaria e poco più di 61.000  in quella secondaria di primo grado (3,4% del totale), per un totale di 139.000 alunni con disabilità; dall’altra parte, poco più di 63.000 insegnanti di sostegno, con un rapporto medio nazionale di 1,83 alunni con disabilità per docente di sostegno nella scuole primaria e di 1,94 in quella secondaria.
Sembrerebbero per altro troppi gli alunni e quasi inesistenti gli insegnanti di sostegno delle scuole non statali, sottraendo ai suddetti totali i dati forniti dal Ministero sulle scuole statali di diciotto Regioni (dati SIDI dell’ottobre 2010: 127.510 alunni con disabilità e 63.241 Insegnanti di sostegno nel primo ciclo).

Conferme e novità
Non mancano tuttavia nell’indagine importanti conferme e significative novità. Come nelle sue precedenti inchieste, l’Istat aggrega i dati di ogni rilevazione per ripartizione geografica (Nord-Centro-Mezzogiorno) e ordine scolastico (scuola primaria-scuola secondaria di primo grado), consentendone un’agevole lettura.
Ad esempio, il confronto tra il Grafico 3 (numero medio di alunni con disabilità per insegnante di sostegno), il Grafico 5 (numero medio di ore settimanali di sostegno per alunno) e il Prospetto 5 (numero medio di ore settimanali di assistente educativo culturale – AEC – o assistente ad personam per alunno, a seconda del grado di autonomia), ci permette da un lato di rilevare differenze territoriali molto marcate (in media più ore di sostegno per alunno al Sud: 14,1 nelle primarie e 11,4 nelle secondarie di primo grado, a fronte di 11,3 e 8,9 al Nord e 10,9 e 9 al Centro), dall’altro di farcene una ragione: al Sud, cioè, si farebbe un “uso improprio” dell’insegnante di sostegno, attribuendo a tale figura  le funzioni dell’assistente ad personam che gli Enti Locali competenti, per le ristrettezze di bilancio, non forniscono in misura necessaria alle oggettive esigenze degli alunni con disabilità, soprattutto quelli con autonomie scarse o nulle.

Bimba in carrozzina insieme a compagne di scuolaTra le conferme, dunque, possiamo elencare le informazioni su:
– la costante crescita percentuale degli alunni con disabilità sul totale degli alunni, passata dall’anno scolastico 2000-2001 all’anno scolastico 2010-2011 nella primaria dal 2,0% al 2,8%, nella secondaria di primo grado dal 2,5% al 3,4% (Grafico 1);
– la netta prevalenza del sesso maschile tra gli alunni con disabilità (più del 60% in entrambi gli ordini scolastici) (Grafico 2);
– l’elevata età media degli alunni con disabilità (9,7 anni nella scuola primaria, 13,7 nella scuola secondaria di primo grado, per via di una percentuale marcata di ripetenze: l’11% degli alunni con disabilità ha nella scuola primaria più di 11 anni e il 20% nella scuola secondaria di primo grado ha più di 14 anni);
– l’elevata presenza di non autonomie nelle tre attività fondamentali (mangiare, andare in bagno, spostarsi): il 21,4% degli alunni con disabilità nella primaria e il 14,9% non è autonomo in almeno una delle tre attività e rispettivamente l’8,1% e il 5,5% non è autonomo in alcuna delle tre attività (con significative differenze territoriali poco spiegabili, come si è già detto più sopra) (Prospetto 1);
– tipologie di problema più frequenti: ritardo mentale; disturbi del linguaggio; disturbi specifici di apprendimento (per questi si confronti anche sopra); disturbi dell’attenzione; disturbi affettivo-relazionali; disturbi generalizzati dello sviluppo, con differenze poco marcate nei due ordini di scuole. Non viene reso noto, invece, a differenza che nell’indagine Istat del 2011, se tali problematiche siano singole o associate (Prospetto 2);
– tipologie di certificazione: l’84,5% degli alunni della scuola primaria e l’82,1% della secondaria di primo grado ha la certificazione di disabilità, mentre rispettivamente il 13,5% (percentuale addirittura superiore rispetto all’11,8% dell’anno precedente) e il 15,9% non ha alcuna certificazione (trattandosi presumibilmente di disturbi specifici di apprendimento, che l’Istat – come detto – colloca impropriamente tra le disabilità). Hanno invece sia la certificazione di disabilità che quella di invalidità il 14,8% degli alunni con disabilità della primaria e il 12,4% di quelli della secondaria di primo grado (Prospetto 3);
– numero medio di alunni disabili per insegnante di sostegno: il Grafico 3 e la Tabella in calce all’indagine confermano che il numero medio si avvicina molto al tetto previsto, come soglia insuperabile, dalla Legge 244/07, di un insegnante di sostegno ogni due alunni con disabilità. All’indomani della Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale, che ha giudicato illegittimi tale tetto e il blocco delle deroghe per gli alunni in situazione di gravità, questo rimane comunque un rapporto tendenziale: dal 2,0 sia nella scuola primaria che in quella secondaria di primo grado dell’anno 2008-2009 (si veda l’indagine Istat dello scorso anno), si passa infatti nel 2010-2011 all’1,83 della scuola primaria e all’1,94 della secondaria di primo grado. Ma le differenze territoriali sono molto marcate: si va da Bolzano, con 3,5 alunni con disabilità per insegnante di sostegno nella primaria e 4,2 nella secondaria di primo grado, al Molise, in cui vi è il rapporto in assoluto più favorevole in Italia di 1,4 alunni ogni insegnante di sostegno nella primaria e 1,6 nella secondaria di primo grado. Un forte divario, compensato – come si è visto – dalla maggiore presenza di assistenti ad personam al Centro e al Nord (soprattutto a Bolzano, dove l’assistente educativo è nominato dalla Provincia Autonoma e dove, a causa del bilinguismo, vi è un maggior numero di insegnanti curricolari);
– numero medio di ore settimanali di sostegno per alunno: come si è visto, più ore al Sud, meno ore al Nord e al Centro (Grafico 5);
– numero medio di ore settimanali di assistente ad personam a seconda del grado di autonomia dell’alunno con disabilità (Prospetto 5), da cui emerge uno “svantaggio” considerevole del Mezzogiorno d’Italia, a cui mancherebbe la presenza di figure professionali a supporto della socializzazione e dell’autonomia del singolo alunno: infatti, a fianco degli allievi più gravi – non autonomi in tutte e tre le attività fondamentali (mangiare, andare in bagno, spostarsi) -, nelle scuole primarie del Nord l’assistente educativo è disponibile per una media di 10 ore settimanali, al Centro per 14,3 ore e al Sud solo per 7,6 ore; nella scuola secondaria di primo grado la situazione va dalle 10,6 ore del Nord alle 7,2 ore del Centro e alle 4,0 ore del Sud;
– tipo e presenza della documentazione (Prospetto 6), prevista dalla legge per la programmazione e la realizzazione del percorso educativo individualizzato: nella tabella sono riportate le percentuali degli alunni con disabilità che dispongono della Diagnosi Funzionale (DF), del Profilo Dinamico Funzionale (PDF) e del Piano Educativo Individualizzato (PEI). Nella scuola primaria il 5,1% e in quella secondaria di primo grado il 4,3% degli alunni con disabilità, non dispone ancora della DF, documento indispensabile, come pure il PDF, per la lettura dei bisogni e la personalizzazione del Piano Educativo. Dati, questi, che sono migliori di quelli emersi dalla citata ricerca Invalsi 2005-2006, in cui addirittura l’8% delle scuole statali e il 14% di quelle paritarie dichiarava di non possedere agli atti tale documento, ma peggiori dei dati emersi lo scorso anno nella ricerca Istat sul biennio 2008-2010, che presentava valori del 4,4% e del 3,8%.
Va peggio ancora per il PDF, di cui risulta privo il 13,6% degli alunni della primaria e l’11,2 della scuola secondaria di primo grado; almeno va meglio per il PEI, di cui è privo il 2,5% degli alunni con disabilità della primaria e l’1,3% della secondaria di primo grado;
– barriere architettoniche: nel Prospetto 9 si indaga sulla presenza di “caratteristiche a norma” negli edifici scolastici (scale, servizi igienici, percorsi interni e percorsi esterni di accesso agli edifici). Dalla tabella emerge come sia ancora il Meridione ad avere la percentuale più bassa di scuole con scale e servizi igienici accessibili, mentre le differenze territoriali diminuiscono quando si passa a valutare i percorsi interni ed esterni. Dal 38,1% delle scuole statali e dal 26,6% di quelle paritarie, che nell’indagine dell’Invalsi avevano dichiarato di non avere nel 2005-2006 bagni accessibili, si è passati al 24% del 2010-2011, mentre il 18,8% non ha scale accessibili (per l’assenza di servoscala, scivoli o ascensori);
– presenza di postazioni informatiche adattate, adibite all’integrazione scolastica: molto spazio viene conferito da parte dell’Istat, nella presente indagine, come in quella dello scorso anno, alle nuove tecnologie e in particolare all’hardware e al software adattato (Grafico 6), al numero di insegnanti di sostegno che utilizzano la tecnologia per la didattica speciale (Grafico 7) e che hanno frequentato corsi specifici in materia di tecnologie educative (Grafico 8).
Bimba con disabilità insieme a insegnante di sostegnoQui dai grafici emerge che ancora più di un quarto delle scuole primarie e secondarie di primo grado non hanno postazioni informatiche dedicate. Le scuole meno dotate per entrambi gli ordini sono quelle della Valle d’Aosta, mentre le più dotate sono quelle dell’Emilia Romagna.
Le postazioni informatiche adibite all’inclusione scolastica sono collocate prevalentemente in laboratori (per una percentuale del 49,3% nelle scuole primarie e del 43,4% nelle scuole secondarie di primo grado). A distinguersi nelle scuole primarie è la Provincia Autonoma di Bolzano, dove nel 34,3% delle scuole le postazioni adattate sono in classe; nella scuola secondaria di primo grado, invece, le percentuali maggiori di postazioni nella classe dell’alunno – in controtendenza rispetto alla situazione generale – si riscontrano nella Provincia Autonoma di Trento (54,8%) e in Puglia (45,1% delle scuole).
Ancora la Valle d’Aosta, seguita dalla Calabria e dalla Campania, è la Regione dove vi è la percentuale più alta di insegnanti delle scuole primarie che non utilizzano le nuove tecnologie per la didattica, mentre nelle scuole secondarie di primo grado le più arretrate sono sempre la Valle d’Aosta e la Calabria.
Molto elevata su tutto il territorio nazionale (circa un terzo in entrambi gli ordini scolastici) è infine la percentuale di scuole in cui nessun insegnante di sostegno ha frequentato corsi specifici per le tecnologie educative, mentre un altro terzo di scuole ha tutto il personale di sostegno formato con corsi specifici.

Le novità più rilevanti dell’indagine – che non per nulla sono quelle a cui la stampa ha dato maggiore enfasi – sono le informazioni su:
– alunni con disabilità, in riferimento alla presentazione di un ricorso da parte delle famiglie per ottenere un aumento delle ore di sostegno (Prospetto 4), da cui emergono dati – a nostro parere tutti da convalidare -, secondo cui avrebbe fatto ricorso al TAR [Tribunale Amministrativo Regionale, N.d.R.] quasi il 10% delle famiglie intervistate (9,6% nelle scuole primarie e 9,4% nella secondaria di primo grado, con punte al Meridione del 13,1% e del 12,5%, il doppio rispetto al Nord, per il quale si parla di 6,2% e 6,5%);
– insegnanti di sostegno che svolgono attività a tempo pieno nello stesso plesso scolastico (Grafico 4), da cui emerge che sono titolari nella stessa scuola di un orario cattedra – e quindi più stabili e disponibili -, gli insegnanti di scuola primaria della Valle d’Aosta e di scuola secondaria di primo grado della Campania, mentre le percentuali più basse si riscontrano per entrambi gli ordini di scuola nella Provincia di Bolzano;
– frequenza di incontri tra famiglia e insegnanti curricolari (Prospetto 7). Qui è Interessante e segnala senz’altro un maggior coinvolgimento di tutti i docenti nel processo di integrazione, il fatto che gli incontri più “informali” – al di fuori, cioè, di quelli di Istituto dei Gruppi di Lavoro sull’Handicap – siano più frequenti nelle scuole del Sud, dove il 68,7% delle famiglie di alunni con disabilità delle primarie si incontra con gli insegnanti curricolari da una a più volte al mese, contro il 43,8% del Centro e il 41,6% del Nord. Discorso analogo nella scuola secondaria di primo grado, dove il 53,1% delle famiglie del Mezzogiorno si incontra almeno una volta con gli insegnanti curricolari del figlio, contro il 40,2% del Centro e il 30,4% del Nord;
– frequenza di incontri tra famiglia e insegnanti di sostegno (Prospetto 8). Decisamente più frequenti sono gli incontri delle famiglie con gli insegnanti di sostegno, che per il 35,3% dei casi hanno luogo, in entrambi gli ordini di scuola, più volte al mese, con differenze territoriali (nelle primarie del Sud l’80,3% delle famiglie ha almeno un colloquio mensile con l’insegnante di sostegno al di fuori del Gruppo di Lavoro sull’Handicap Operativo e nella secondaria di primo grado il 79,4%, percentuale che scende nelle primarie e secondarie del Nord e del Centro, rispettivamente al 52,8% e 54,9% e al 51% e 59,7%);
– numero medio di ore settimanali passate in classe e fuori classe, in rapporto al livello di autonomia (Prospetto 10): a nostro parere, le risposte date a tale quesito meriterebbero una convalida da parte di osservatori esterni, dal momento che le ore passate in classe da alunni con disabilità totalmente non autonomi (in media 21,3 ore nelle primarie e 23,1 nelle secondarie di primo grado) e fuori classe (rispettivamente 7,0 e 10,1), con un maggior numero di ore al Nord (10,6 e 14,3) e un minor numero al Sud (4,0 e 7,2), sembrano eccessivamente “ottimistiche”;
– partecipazione alle attività extrascolastiche (Prospetto 11): resta molto difficile la partecipazione degli alunni con disabilità alle attività extrascolastiche (in media solo il 50,5% vi partecipa); peggio ancora la partecipazione ai campi scuola (Prospetto 12), che vede un’adesione solo del 15,8% degli alunni con disabilità.

In calce all’indagine di quest’anno, l’Istat ha collocato infine un Glossario che appare abbastanza corretto ed esauriente, se si esclude l’impropria definizione iniziale degli alunni con disabilità come «alunni iscritti nella scuola che usufruiscono dell’insegnante di sostegno», a rafforzare, semmai ce ne fosse ulteriore bisogno, il pregiudizio dell’inscindibilità del binomio alunno con disabilità-insegnante di sostegno, che tanto danno ha fatto e che continuerà a fare, a spese della vera inclusione dell’alunno con disabilità, non solo nel sentire comune, ma purtroppo anche tra gli addetti ai lavori.

Conclusioni
Per concludere, ci sembra che se le indagini statistiche servono per inquadrare oggettivamente i fenomeni, individuandone caratteristiche positive e negative per numerosità e frequenza spazio-temporale, ma anche per ingenerare positivi cambiamenti, è sempre oltremodo importante coinvolgere maggiormente chi le tematiche affrontate le vive di persona o se ne occupa per professione.
In questo caso – per ripetere il motto stesso della Convenzione ONU del 2006 sui Diritti delle Persone con Disabilità, Nulla su di Noi Senza di Noi -, sarebbe stato meglio e avrebbe fatto sprecare meno energie e denaro pubblico, fare qualche giro di consultazione in più tra le nostre associazioni, per sentire le persone con disabilità, le loro famiglie e le loro organizzazioni, oltre naturalmente agli esperti (pedagogisti, docenti, educatori) che si occupano ogni giorno di integrazione. Fare le domande giuste, infatti, serve per dare e darci le risposte giuste, anche in tema di pari opportunità e non discriminazione dell’alunno con disabilità.

*LEDHA Scuola (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità). Il presente testo è già apparso nel sito della LEDHA «Persone con disabilità.it», con il titolo Pubblicati i risultati dell’indagine ISTAT sull’integrazione scolastica e viene qui ripreso, con gli opportuni riadattamenti al contesto, per gentile concessione.

Suggeriamo anche la lettura – sempre nel nostro sito – di: Una ricerca sulla qualità dell’integrazione scolastica (a cura di Salvatore Nocera, cliccare qui).
Please follow and like us:
Pin Share