«La disabilità di tua figlia è contagiosa?»: questa – purtroppo – è una delle domande più frequenti che Luca Trolton si sente fare quando cerca di far socializzare le sue bambine. Quarantaquattrenne, sposato e con due bellissime bambine, Trolton ha avuto un’idea che riteniamo geniale, per dare il suo contributo a combattere i pregiudizi tuttora presenti nella nostra società: immaginare e realizzare luoghi di lavoro accessibili come il suo Bar Cip & Ciop.
«Vivo a Gravese in provincia di Torino – racconta Luca – lungo la strada che va a Bardonecchia, insieme a mia moglie e alle mie bimbe Alessia di 13 anni e Gessica di 12. La mia vita ritengo sia abbastanza comune a quella di milioni di italiani. Purtroppo le mie bambine, una dopo l’altra, sono state colpite dall’epilessia e la primogenita è affetta anche dal disturbo della crescita».
Ma cos’è questa storia della disabilità contagiosa? La nostra società “ultramodernizzata” sta per caso regredendo?
«Le mie bimbe sono state vittime di episodi di emarginazione palpabili; infatti, in più di un’occasione, in passato, talune mamme, dopo un giro di confortanti parole sulle mie bambine, finivano sempre con il chiedermi: “Ma quanto può essere contagiosa la disabilità di tua figlia?”».
Quest’ignoranza, questi pregiudizi lampanti che Luca Trolton e le sue figlie subiscono, l’hanno reso consapevole, negli anni, che tutto ciò debba essere combattuto in un modo o nell’altro. «Da dove nasce – gli chiediamo perciò -questa idea innovativa che ti è balenata, riguardante i luoghi di lavoro accessibili?». «Mi arrabbio sempre – ci dice – quando trovo i marciapiedi occupati, anche solo parzialmente, da autovetture di persone che pur di non fare quattro passi in più, sostano senza pensare che non tutti hanno la fortuna di fare un gradino o semplicemente di spostarsi agevolmente. Come quando trovo parcheggi per disabili occupati da automezzi che non hanno alcun diritto a occuparli. Così, con il tempo, ho maturato l’idea dell’accessibilità fuori, ma soprattutto nei luoghi pubblici e nei luoghi di lavoro. Io ho un bar e ho voluto cominciare proprio da questo. L’idea era di renderlo accessibile non solo ai clienti e agli avventori, ma soprattutto a qualche eventuale collaboratore, barista, cuoco!».
E come sei riuscito a realizzare tutto questo?
«Quando ho acquistato l’immobile e l’ho completamente ristrutturato, ho semplicemente pensato che ci andava una rampa accessibile a tutti e così è stato e poi tutto il resto. Ad esempio, per la realizzazione del bancone ho dovuto studiare le varie posizioni delle braccia e delle gambe di persone che si muovono in carrozzina. In questo mi ha aiutato un amico che dopo un incidente stradale è finito sulla carrozzina: Danilo. Con lui abbiamo eseguito le prime prove su dei frigoriferi posti su ruote, per muoverli nella posizione più corretta. In seguito Danilo mi ha dato diversi suggerimenti che poi ho messo in pratica nella costruzione del bancone.
Per il futuro spero che la mia iniziativa possa essere copiata da altri, come ad esempio nei supermercati. Spero anzi che questo progetto possa diventare la base di un vero e proprio disegno di legge. E quando in futuro cercherò collaboratori, di sicuro mi piacerebbe che al mio fianco ci fossero delle persone con disabilità».
Un plauso, dunque, a Luca Trolton che ha saputo trasformare la sua vicenda personale e familiare di emarginazione in una lotta contro il pregiudizio e contro l’inaccessibilità dei luoghi di lavoro.